Alluvione Polesine 1951 ‘vissuta’ by Visentin a Occhiobello/ Con gli amici di San Benedetto PO (Pincella, Gavioli, Bertazzoni) , subito dopo la ROTTA, salva col burchio le persone dell’isolotto sul PO e a Canaro, Fiesso…


Partiamo finalmente proponendovi una serie di ‘amarcord’ raccontati direttamente da CHI quella tragedia della Alluvione del Po 1951 l’ha vissuta sulla propria pelle e delle loro famiglie.
Come peraltro vi avevamo già anticipato, segnalando come meritoria la scelta della Università Popolare Polesana fatta durante l’anno Accademico 2002, quando ha coinvolti i suoi ’studenti’ che , proprio perché evergreen e direttamente coinvolti nella tragica Alluvione del 1951, hanno trasmesso emozioni speciali nei loro racconti.
Tutti pubblicati peraltro in uno speciale libretto/opuscolo, completato da altri Dati Istituzionali relativi al Polesine, sia quello danneggiato dalla tragedia dell’Alluvione del PO, causata dalla ROTTA a Malcantone di Occhiobello che dai primi risultati relativi alla sua Rinascita.
A questo punto senza tanti preamboli, partiamo proprio dalla Rotta del PO a Occhiobello, in quel novembre 2021, anche perché a completamento di quanto già raccontatovi nella precedente ‘serie’ sulla Alluvione stessa ( ma allora raccontata dagli studenti ‘figli’ degli Alluvionati) vi proponiamo quanto raccontato da B. Visentin , uno tra i primi protagonisti in soccorso a Occhiobello.
Un modo per ricordare e onorare, sia la Gente alluvionata rimasta sull’Isolotto ( tra le due falle del fiume) e i soccorritori di San Benedetto PO a partire dal capitano del burchio, il signor Pincella e i suoi aiutanti Enea Gavioli, Athos Bertazzoni e appunto B. Visentin che ci racconta come segue al sua esperienza e le sofferenze degli alluvionati.

 

UNA STORIA DELL’ALLUVIONE DEL ’51 ( di B. Visentin, testimonianze raccolte a Irene Borletti, 1989, pubblicate su “Polesine 1951” by Università Popolare Polesane nel 2002)
CRONACA DA OCCHIOBELLO / QUEI SOCCORSI DA SAN BENEDETTO PO .. COL BURCHIO E LE BARCHE A SALVARE LA GENTE SULL’ISOLOTTO TRA LE DUE FALLE; E POI ANCHE ALTRI ALLUVIONATI A  FIESSO, CANARO…
Anche a S. Benedetto Po i problemi e le ansie non mancavano perché il grande fiume aveva superato gli argini secondari ed invaso tutte le terre di golena, minacciando con forza spaventosa anche gli argini maestri che, in alcuni punti, non riuscivano più a contenere l’acqua che pian pino iniziava a straripare.
Tutta la gente spaventata, si dava da fare per riempire, trasportare sacchi di terra per alzare l’argine e fermare la fuoriuscita d’acqua.
 Io abitavo in una cascina a circa 200 metri dall’argine maestro, il pozzo che avevamo nel cortile, a causa della pressione della falda, cominciava a traboccare acqua allagando piano piano il cortile stesso.

 Un mattino di buon’ora mentre stavo dormendo – lo si faceva vestiti - ho sentito delle persone che gridavano “ha rotto, ha rotto”. Come un fulmine sono balzato dal letto e ancora a piedi nudi mi sono precipitato nella stalla a liberare gli animali dalle catene e li ho fatti andare sull’argine.

 

Poi, sempre di corsa e terrorizzato, ho trasportato sull’argine quante più cose ho potuto, compresi pesantissimi sacchi di farina ( non ero abituato a lavori pesanti e mi sembravano intere montagne). Ad un certo punto mi sono accasciato a terra sull’argine e mi sembrava di non farcela più.
L’acqua del fiume scorreva veloce e lambiva le persone accalcate l’una all’altra fra mille cose ed animali. Le cime dei pioppi sommersi si agitavano curvandosi a destra ed a sinistra quasi volessero ventilare la paurosa corrente d’acqua che trasportava pagliai, animali morti, tronchi d’albero, masserizie e tanta, tane altre cose.
Era stato un allarme! Erano arrivati in soccorso il Genio Civile, i militari e molta gente dal vicino modenese; tutti eravamo impegnati con sacchi di terra, trattori, aratri per cercare di alzare l’argine nei punti deboli e più bassi.

Nel chiostro del monastero benedettino di San Benedetto Po ( del 1500 ), era stata installata una grande cucina dove al signora Bianca Berzuini e molte altre donne preparavano e servivano pasti caldi in continuazione. Il sindaco Giovanni Cavicchioni a cavallo della sua bicicletta, si spostava in tutta la zona cercando di coordinare i lavori ( gli unici mezzi di trasporto erano un’autolettiga ed un carro funebre)   Mignoni si occupavano delle comunicazioni ed impartivano gli ordini.

 

Facevamo continui turni di vigilanza sull’argine, da un confine all’altro del Comune; nelle campagne si erano formati dei “sifoni” (specie di fontanili o teste di pozzo) dai quali usciva acqua con molta pressione, perciò bisognava intervenire tamponandoli con sacchi di terra.
 (Come vede avevamo anche noi un bel da fare)
 Appena sentita la notizia alla radio che ad OCCHIOBELLO l’argine aveva ceduto, allagando tutto il Polesine, ci siamo riuniti in un gruppo ed abbiamo deciso di accorrere in soccorso alla gente di quei luoghi, con un burchio, una piccola barca viveri e materiali di prima necessità.
La Cooperativa di consumo di S. Benedetto PO aveva messo a disposizione molti generei alimentari che erano subito partiti sul barcone con i miei compagni.
Non avevamo abbastanza pane, ed io sono rimasto ad aspettare sino a notte. Quando il pane fu pronto e messo in sacchi, abbiamo caricato l’autolettiga e, con l’autista del Comune, via nella fitta nebbia verso Occhiobello, allungando il viaggio perché i ponti sul fiume Secchia non erano transitabili.

Infin, arrivati ad Occhiobello, consegnato il prezioso pane al Comitato soccorsi, l’autista è rientrato a San Benedetto Po ed io mi sono unito ai miei compagni, che nel frattempo erano già arrivati.
Abbiamo fatto un’ispezione sull’argine, nella zona della “rotta”, la quale si trovava proprio nella zona della grande curva  che il fiume faceva appena fuori del paese; si vedevano subito anche da lontano le due grandi aperture provocate dal fiume sull’argine maestro, avendo creato fra l’una e l’altra un “isolotto” ( porzione di circa 30 metri di argine circondato da acqua) .

 

Sopra quell’isolotto vi erano persone ed animali da salvare in fretta perché l’acqua continuava a far franare il terreno e l’isola diventava sempre più piccola.
La maggior parte dell’acqua seguiva il normale corso del fiume in curva, ma moltissima acqua entrava nelle due falle, tanto da riuscire di allagare tutto il Polesine.
Bene, noi dovevamo arrivare su quell’isolotto senza farci portare nella valle dietro l’argine. Non era possibile perché le due correnti d’acqua che entravano nelle falle erano velocissime e, quella poca acqua che andava a sbattere sull’isolotto, creava una colma di “stanca” sulla quale noi avremmo dovuto arrivare.
Avevo 23 anni e, solo a pensarci me la facevo sotto.
Il capitano del burchio, il signor Pincella si consigliava con i suoi aiutanti Enea Gavioli ( mio cognato) e Athos Bertazzoni, si scambiavano le loro opinioni e ad un tratto decisero la partenza.
La grande barca prese il largo raggiungendo quasi la metà del fiume, poi, la prua puntò sull’isolotto con i motori a tutto regime.
Io ero a prua, incaricato di “volare” a terra appena possibile; incoscienza e paura non mi hanno dato il tempo di pensare.

Appena la misura è sembrata superabile, ho spiccato il volo, i piedi sono finiti in acqua, mi sono aggrappato ad un pioppo, ero salvo.
A terra erano già state lanciate le “cime” (corde) che ho provveduto a legare rapidamente ai pochi pioppi che avevo attorno.
La gente che era ad attenderci ci ha salutati come degli eroi, mentre l’acqua scorreva veloce dalle due falle, verso Savonarola, Canaro, Gurzone, Fiesso e tutto il Polesine.

 

Dopo aver rifocillato quelle persone abbiamo deciso di staccare la barca piccola da quella grande e di assicurarla con una lunga corda ad un pioppo.
L’abbiamo quindi fatta scivolare pian piano nella corrente di una delle falle, dandole sempre corda finché si è venuta a trovare dietro l’isolotto dove, l’acqua fra le due falle era più calma; siamo saliti a bordo, andando a prendere gente nelle case di Savonarola.
Con grande sorpresa abbiamo trovato anche due mucche ancora incatenate, coperte d’acqua e di sabbia, sporgevano solo i musi che le hanno consentito la respirazione. Le abbiamo liberate dalle catene ed una alla volta le abbiamo trascinate sull’argine ( isolotto) ; non si reggevano più in piedi; abbiamo fatto bere ad ognuna una bottiglia di vino, le abbiamo coperte e, verso sera, si sono rimesse in piedi.
Le persone erano già salite sul barcone, abbiamo caricato gli animali e, con altro grandissimo rischio, siamo riusciti a tornare ad Occhiobello.
Abbiamo anche saputo che in quella zona altri soccorritori avevano salvato una bambina che per lunghissime ore era rimasta su di un albero circondato dalle acque e tenuta in vita dal calore del suo gatto che teneva in braccio.
Nei giorni successivi, mentre il barcone grande traghettava gente e merci da Occhiobello alla riva ferrarese e viceversa, io, mio cognato e Bertazzoni abbiamo fatto molti viaggi con l barca piccola a Fiesso, a Canaro ed altri luoghi di campagna per salvare altra gente che stava sui tetti delle case o nei locali del primo piano.

Abbiamo ancora più volte rischiato la vita perché anche lì la corrente era molto forte, e dove attraversava la strada provinciale i fossi creavano due avvallamenti pericolosi.

 

Un uomo ci ha anche minacciato con un fucile da caccia perché voleva essere imbarcato prima degli altri. E’ uscito dalla finestra del primo piano, è alito su una pagliaia che galleggiava, questa si è rigirata e lo ha fatto cascare in acqua, facendogli fre n bel bagno freddo e perdere il fucile.
Il sindaco di Occhiobello ci aveva chiesto di andare a prendere dei documenti che si trovavano in Municipio; la barca, arrivava solo davanti alla costruzione ed abbiamo dovuto entrare in acqua fino al torace, ma siamo riusciti a prendere il materiale.
Qualche anno dopo alcuni amici mi hanno detto che il Sindaco aveva fatto portare in Municipio una lastra d marmo con inciso i nomi di tutto il nostro gruppo. Non sono più andato ad Occhiobello e non ho avuto la possibilità di averne conferma. Chissà nel corso ei secoli e dei millenni quanti danni e quante vittime avrà fatto il nostro grande fiume ridotto purtroppo oggi ad una enorme fogna.
Quando studiavo scultura a Venezia avevo molti amici che venivano da Melara, Borgofranco, Castelnovo Bariano, Castelmassa, Calto ecc; non ho più rivisto nessuno.
Erano giorni difficili nelle nostre terre; nel 1951, al tempo ella piena, avevo da poco iniziato ad insegnare alle Scuole Medie di San Benedetto Po. Abitavo in una frazione a 7 km dal Comune ed ogni mattino facevo il percorso in bicicletta assieme a braccianti e cariolanti, che andavano n paese nella speranza che alla Camera del lavoro vi fossero richieste di manodopera
La nostra conversazione era sempre quella della speranza nel lavoro; mi rattristavano moltissimo anche perché erano tutte brave persone, che conoscevo da sempre.
Si chiedevano fra loro:” Tu quante giornate hai fatto quest’anno?”  E tu? E tu? Nessuno era arrivato a 40-50 giornate di lavoro in un anno!
Ogni giorno gli stessi discorsi. Vivevano tirando avanti con l’orticello, il maiale, le galline e qualche albero rubato di notte nelle campagne, protetti dalla nebbia.

 

EXTRATIME by SS/ In cover e nelle prime immagini della fotogallery la certificazioni della “Rotta del PO” avvenuta ad Occhiobello, quand’era sindaco Nerio Chiarioni e di cui vi proponiamo anche alcuni significativi Dati Demografici.
A seguire due immagini dell’acqua che ha invaso la piazza di Fiesso Umbertiano ( vedi foto davanti al Municipio e poi i soccorritori in barca).
Infine, con riferimento al reportage raccontato da Visentin ( e al suo impegno insieme ai suoi amici di San Benedetto PO, anche a Fiesso e Canaro)  eccovi una immagine della piazza di Canaro invasa dalle acque e con sfondo chiesa-campanile.

 

Sergio Sottovia
www.polesinesport.it