Baratella Milto, eroe all’Appiani (vs Maci & Petrarca) e 5 scudetti "Rugby Rovigo"


12/08/2010

Facciamo un viaggio nel tempo e torniamo nel 1954.
Sul neutro dello Stadio “Appiani” di Padova, va in scena lo spareggio-scudetto tra Rovigo e Treviso.
Come l’anno prima il tricolore necessita di una coda stagionale, cambia solo l’avversaria dei “Bersaglieri” che nel 1953 era stata il Parma.
Le due contendenti arrivano entrambe a 28 punti, in un campionato duro e molto scorretto. Le cronache, parlano di diversi incontri finiti a scazzottate e gli arbitri hanno il loro bel da fare per mantenere calmi gli animi.
Il Rovigo arriva alla penultima giornata con 3 punti di vantaggio sul Treviso. Il 23 Maggio, al “Tre Martiri”, si gioca lo scontro diretto. Sotto la pioggia e con un terreno pesantissimo vincerà il Treviso per 8 a 0 con cinque punti segnati da “Maci” Battaglini passato proprio in quella stagione tra le fila dei trevigiani.
Il Treviso ci crede e spera nell’aggancio ai rossoblu, ma il calendario sembra più favorevole ai “Bersaglieri” che devono andare a Trieste per incontrare una squadra praticamente già retrocessa. Incredibilmente pareggeranno per 6 a 6, mentre un brillante Treviso, guidato ancora una volta da Battaglini autore di 11 punti, s’ impone a Milano con il punteggio di 14 a 6. E’ spareggio!

Il 20 Giugno l’estate è già scoppiata. Il clima allo Stadio “Appiani” di Padova è torrido e non solo per la temperatura atmosferica. Agli ordini del signor Lena, scendono sul terreno di gioco due squadre esauste e provate da una stagione molto “ruvida”. Nel Rovigo mancano “Topa” Milani e Sartori. I rossoblu puntano tutte le loro “fiches” sulla forza della mischia. Il Treviso non si tira indietro e ribatte colpo su colpo con i suoi avanti, molto forti ma meno esperti di quelli rodigini. Al 20’ Cecchetto scatta da una mischia ordinata, finta il passaggio e va in meta, portando il Rovigo in vantaggio per 3 a 0. Passano 6 minuti e Zucchello pareggia i conti con un drop velenoso.
A quel punto la partita si spegne. Il caldo è insopportabile e la paura di “vincere” attanaglia le gambe dei protagonisti di entrambe le squadre che si contendono lo scudetto. Gli errori non si contano e questa antesignana delle finali scudetto dei giorni nostri offre al numeroso pubblico assiepato sugli spalti uno spettacolo indegno di questo nome. Nel tempo regolamentare non succede più nulla e tanto meno nei due supplementari. Anzi! I giocatori sono sempre più sfatti e privi di forze e nemmeno i numerosi ‘spugnaggi’ disponibili a bordo campo, sembrano ridare vigore a questi corpi straziati dalla calura e dalla fatica.

 

 

Il regolamento di allora prevede i tempi ad oltranza. Il primo che segna è campione d’Italia (ai giorni nostri diremo golden point o meglio sudden death: letteralmente morte improvvisa).
L’occasione per chiudere la sfida c’è l’ha il Treviso. L’arbitro Lena assegna un penalty che “Maci” però sbaglia.
Al 20’ minuto di oltranza è il Rovigo ad avere a disposizione il match point, grazie alla concessione di un calcio dai 30 metri.
Nessuno ha il coraggio di piazzare. I muscoli ed il cervello sono intorpiditi dall’afa, dalla fatica e dalla tensione.
Si fa avanti un venticinquenne studente d’ingegneria, con alle spalle 36 incontri in 5 stagioni con i “Bersaglieri”. Lentamente piazza l’ovale, guarda i pali e poi concentrandosi sulla palla retrocede di qualche passo. Sembra assente e non sente i fischi dei tifosi avversari. Isola la mente ed in campo è come se ci fossero solo lui ed il pallone, entrambi immersi in una sconfinata solitudine. Parte la rincorsa. Colpisce di destro, chiude gli occhi ed abbassa la testa. Il pallone fa un’ampia parabola e finisce la sua corsa in mezzo ai pali. Dall’urlo delirante della folla, il ragazzo intuisce di aver consegnato il quarto scudetto della sua storia alla Rugby Rovigo e capisce di essere entrato nell’olimpo degli eroi.

Quel ragazzo si chiama Milto Baratella, è un’atleta brillante ed un po’ guascone. Nella sua indole alberga la vena dell’artista. Studia da ingegnere e diventerà poi anche architetto. Fa parte della schiera dei “nuovi”: i cittadini, ragazzi che hanno studiato ed abitano in centro. I “vecchi” li guardano con distacco, ma i vari Bobisse, Zanardi, Laurenti ed il nostro Baratella,  portano una ventata di aria fresca utile al Rovigo per raggiungere ancora tanti prestigiosi traguardi.
Milto è un po’ così. Alterna periodi di grande passione e sacrificio ad altri di disimpegno, dando spazio più agli studi ed alle “gogliardate” che agli allenamenti. In 13 stagioni di serie A comunque, conquisterà la bellezza di 5 scudetti, collezionando un bottino di 78 match nella massima serie.

Atleta estroso, dotato di grande intelligenza e classe cristallina, spreca troppo per diventare un azzurro famoso come avrebbe meritato anche se, a dire il vero, la fortuna non gli è stata certo d’aiuto:«Il mio rapporto con la nazionale è sempre stato un po’ problematico – ricorda - Rimpiango ancora la mia prima grande occasione avuta nel 1954. La Nazionale doveva incontrare la Germania e la Gazzetta dello Sport dava per certo il mio debutto in maglia Azzurra. Quella maglia invece andò a finire sulle spalle di Stivano, perché l’allenatore preferì inserire lui, ormai a fine carriera, escludendo me che ero ancora molto giovane ed, a suo dire, avrei avuto ancora molte altre occasioni di vestire quella casacca. La sfortuna volle proprio prendersi gioco di me in quel giorno. Infatti, poco dopo l’inizio del match, Stivano s’infortunò. Il regolamento dell’epoca non prevedeva sostituzioni e così continuai a seguire la partita dal mio posto in tribuna mangiandomi le mani per l’occasione persa. Effettivamente qualche altra occasione l’ebbi, purtroppo però mai da titolare.

 

 

Veniva schierato sempre qualcun altro ed io invece finivo sempre in tribuna. Con le regole di allora non raccolsi nemmeno un Cap. A dire il vero, un incontro lo giocai in Francia contro il Comiteé des Alpes con una “fantomatica” selezione Italia Nord, nome che nascondeva nella realtà la nazionale maggiore visto che tra le sue fila erano schierati anche giocatori napoletani e romani. L’escamotage della selezione Italia Nord, in quegli anni, era spesso utilizzata dalla Federazione per camuffare la Nazionale ed evitarle “figuracce” contro le formazioni più impegnative».
Nel 1960, Milto Baratella, sembra dare l’addio al rugby giocato ma dopo una stagione di stop, decide di rientrare nel campionato 1961/1962 dove vince il suo quinto ed ultimo scudetto con il quale chiuderà definitivamente la sua carriera da giocatore. Fino al 2002 poi saranno solo anni da allenatore e dirigente, anni nei quali saprà togliersi molte altre soddisfazioni:«Da tecnico della giovanile, ho avuto la fortuna di allenare gente del calibro di Raffaello Salvan, Brevigliero, Degan, Bagatin, Narciso Zanella e “Banana” Visentin, tanto per fare alcuni nomi, tutti atleti che poi sono stati protagonisti degli scudetti degli anni ’70. Quel periodo, con tutti quei campioni in erba, è stato uno dei più divertenti della mia carriera, periodo che mi ha regalato soddisfazioni pari solo a quelle raggiunte da giocatore. E’ stato un onore per me insegnare a ragazzi che poi hanno portato con onore la maglia del Rovigo e qualcuno anche quella della Nazionale.
Ma la mia esperienza di allenatore non si è limitata solo alle giovanili. In alcuni particolari periodi infatti ho avuto la fortuna di guidare anche la prima squadra ed anche questa volta le soddisfazioni non sono di certo mancate». Nella stagione 1966/1967 infatti, gli venne consegnata, a quattro giornate dalla fine del campionato, una squadra penultima in classifica alla disperata ricerca di punti per non retrocedere. All’ultimo incontro del campionato i “Bersaglieri” guidati da Baratella vinsero in casa della Lazio con meta di “Gioanon” Raisi, meta che significava salvezza!
Milto guidò i “Bersaglieri” anche per tutto il girone d’andata del campionato 1969/1970 in attesa dell’arrivo di Alex Penciu, designato per guidare i rossoblu in quella stagione e che per problemi con il visto non arrivò in tempo per l’inizio del campionato. Durante la gestione Baratella, debuttarono moltissimi di quei giovani della sua spettacolare giovanile, giovani che contribuì a lanciare definitivamente nella loro splendida carriera rugbistica. 
Facciamo ancora un passo indietro per scoprire come nacque il rugbista Milto Baratella-giocatore. La sua “stella” si accese grazie ad Antonio Radicini (allenatore dei “Bersaglieri” tra il 1946 e il 1950, ndr), il quale aveva l’abitudine di “catturare” letteralmente i ragazzi in piazza e fuori dalle scuole perché provassero a giocare a rugby. La stessa tecnica di Antonio, la usò successivamente lo stesso Milto per “catturare” i sui ragazzi e portarli al campo. Con Radicini disputò la sua prima “Coppa Cicogna”, così allora si chiamava il campionato giovanile. Al debutto segnò subito una meta in mezzo ai pali! Il giovane Baratella aveva estro per il rugby tanto da diventare appetibile anche per il Petrarca Padova. I dirigenti patavini lo notarono mentre giocava nel campionato universitario.  Come sono cambiati i tempi! Per convincere Milto, il Petrarca,  offriva come benefit la pensione gratuita all’Istituto Antoniano. Alla fine non se ne fece comunque nulla,  perché la manovra del Petrarca venne scoperta dal Rovigo e poi, a dirla tutta, lo stesso Baratella non aveva molta voglia di giocare con i “Tuttoneri”.  Il suo vero desiderio era tornare ad indossare la gloriosa maglia rossoblu, per togliersi tante soddisfazioni fino a quel calcio decisivo dell’Appiani:«Devo premettere – ricorda con orgoglio Baratella - che quella partita cominciai a vincerla a Trieste, perché riuscii a pareggiare con tre calci le tre mete segnate dai giuliani (la meta allora valeva 3 punti, come un calcio, ndr). Se non ci fossi riuscito, non ci sarebbe stato spareggio, perché lo scudetto l’avrebbe vinto il Treviso dell’ex “Maci” Battaglini. In quella stagione, comunque, eravamo organizzati in maniera che dalle lunghe distanze i calci li battevo io, mentre per le distanze più brevi, ci pensava Romano Bettarello. In quell’occasione, il pallone era a circa 30 metri dall’H e di conseguenza la responsabilità sarebbe toccata a Romano. Bettarello però era talmente distrutto dopo quasi due ore e mezza di “battaglia”, che si era già tolto le scarpe! Non ne poteva veramente più. Toccò quindi a me. Non è stato coraggio…possiamo dire che è stata semplicemente una necessità. Vi assicuro però che le gambe tremavano anche a me». Quando il pallone superò la traversa successe il finimondo. Tutti si gettarono addosso al nuovo eroe di Rovigo. Arrivò pure Casagrande che era stato espulso e nell’impeto di scavalcare la rete di recinzione per la gioia, ci rimise i pantaloni. Fu una festa straordinaria, una festa che scacciò immediatamente la stanchezza e la paura avuta poco prima quando “Maci” Battaglini sbagliò quel calcio che avrebbe decretato la fine dell’incontro ed assegnato il tricolore al Treviso.

 

 

Il “piazzato” dell’Appiani diventò una leggenda da tramandare ai posteri, ma tutta la brillante carriera di Milto Baratella è costellata di migliaia di episodi, episodi che contribuirono a scrivere la grande storia della Rugby Rovigo, dentro e fuori dal campo. Per raccontarli tutti non basterebbe un libro. Ogni singolo episodio à ancora vivo nella testa di Baratella e nemmeno il tempo è riuscito a sbiadirli. Se stimolati però iniziano ad uscire ed allora ecco l’ingegner Baratella aprire la sua ricchissima collezione:«Vi racconto il primo che mi viene in mente, tanto per buttarne li uno. Fine degli anni ’70. Al termine della stagione si organizza un’amichevole alla quale vengo invitato a giocare anch’io che all’epoca ero il direttore sportivo del Rovigo. Scommetto con Dino De Anna che segnerò almeno una meta. Si noti che avevo quasi 50 anni e non giocavo già da moltissimo tempo. Entrai  negli ultimi 20’, nel ruolo di trequarti centro. Alle ali avevo De Anna e Rossi. Parte un’azione, chiamo il taglio a Dino che mi avrebbe aperto la strada della meta. De Anna, non mi sentì e portò l’azione a spegnersi nelle maglie avversarie.
Una volta in spogliatoio, sotto la doccia, Dino cominciò ad inveire contro di me:”Ma dov’eri Milto su quella palla? Perché non ti sei fatto vedere?” ed io ad insistere dicendogli che l’avevo chiamato più di una volta. Sul più bello della discussione, intervenne  Nino Rossi in mia difesa:”E’ vero che ti ha chiamato. L’ho sentito io gridare. Dinhooo…..”, pronunciando il nome aspirando la voce come farebbe  un asmatico! Quei ragazzi sono incredibili, tra di noi c’è sempre stata e c’è ancora oggi grande complicità anche se di anni ne sono davvero trascorsi molti».
Sia da atleta che da direttore sportivo ha lavorato con molti allenatori. La personalissima classifica del Milto Baratella-giocatore vede al primo posto “Maci” Battaglini, certamente un grandissimo personaggio. Il Milto Baratella-DS sceglie invece Francesco Dotto, allenatore indubbiamente valido tecnicamente anche se un po’ lacunoso sul piano caratteriale.

Da ex dirigente ha vissuto moltissime delle vicissitudini della storia rossoblu, tra le quali anche la grossissima crisi patita alla fine degli anni ’60. Per Milto oggi ci sono molte analogie con quel periodo negli ultimi anni. Crisi economiche a parte, si sta vivendo una sorta di crisi di vocazione tra i giovani. Oggi, come allora, c’è  carenza tecnica, non si trovano giovani nuovi da inserire in prima squadra. All’epoca la crisi si risolse solo dopo qualche stagione grazie ai validissimi innesti di giovani talenti e di stranieri molto forti, il tutto condito da fortunati abbinamenti con gli sponsor. Adesso la situazione è ben diversa e non piace molto al “vecchio” leone rossoblu. Oggi c’è il professionismo ed il budget disponibile non è mai da primato:«Si, è vero, si potrebbe investire e sperare nei vivai, ma con il rugby professionistico, a mio avviso, servono solo budget più alti ed il cuore rossoblu non è più l’unica cosa necessaria per costruire grandi vittorie».

 

 

Quello che proprio non va giù a Milto Baratella è che un procuratore imponga i suoi “clienti” ad una squadra. Quando faceva il direttore sportivo, andava personalmente a selezionarsi i giocatori nella terra d’origine. Li visionava attentamente parlando con i loro responsabili tecnici. Ma ancora non bastava per scegliere bene! Ecco allora il DS Baratella prendere il telefono e contattare gli stranieri che avevano giocato a Rovigo per farsi consigliare. Con i suoi metodi, riuscì a portare in rossoblu gente del calibro di Fitz-Simmons, Gardner ed Ofahengaue. Giocatori così sarebbero forse impensabili da avere oggi in rossoblu, comunque l’esperienza di Milto gli fa affermare che:«Ci sarebbero tantissimi giovani talenti sconosciuti. Basterebbe partire per andarli a visionare senza bisogno di farsi imporre nomi di illustri sconosciuti da un procuratore!» Al vecchio “Cuore Rossoblu”, nonostante l’ormai  “veneranda” età, piacerebbe ancora andare in giro per il mondo alla ricerca di talenti sconosciuti da lanciare, farli crescere tecnicamente con i nostri giovani per tornare davvero a dominare nel rugby come ai suoi tempi…..senza il bisogno di entrare nella Celtic League con la falsa speranza di riuscire così ad aumentare il livello del nostro rugby!
EXTRATIME by SS / Nella fotogallery la foto d’apertura vede Milto Baratella rugbista in foto storica abbracciato a Giovanni Raisi e a Romolo Camuffo ( il chioggiotto che è stato altresì protagonista col Rovigo calcio) sopra gli accosciati Bobisse (tuttora evergreen tennista nel Terzo Millennio) e Navarrini.
Di loro e di certe escursioni all’estero Milto ingegnere/architetto/globetrotter me ne ha raccontate tante, come di alcuni viaggi speciali in Australia ( anche perché gli parlavo di mio fratello Luciano emigrato a Sydney) . A seguire, a scalare dall’alto in basso,  abbiamo messo la foto recente di Milto Baratella ( primo a sx con gli occhiali) in veste di tifoso speciale in tribuna vip a Rovigo guardacaso a maggio 2010 vs Petrarca, assieme alla presidente Susanna Vecchi, agli sponsors by Femi – Cz con Mallett e Carlo Checchinato in visita by Nazionale. Quindi Baratella giocatore della Rugby Rovigo col presidente Davide Lanzoni e l’allenatore Milani, scudettata e didascalizzata 1954, poi coi ‘bersaglieri’ durante la ‘speciale visita’ della Sanson Rovigo al PAPA Giovanni Paolo XXIII. E infine in foto pubblicata da La Gazzetta dello Sport per onorare la scomparsa del ‘grande Doro Quaglio’ (eccolo col microfono assieme a Bettarello e con GC Checchinato e Breviglieri mentre cantano l’inno dei ‘bersaglieri’).



Raffaello Franco
www.polesinesport.it