Benito Merlin ‘fullback’ della Rugby Rovigo: 207 match in 17 stagioni e “Tre Scudetti” 1961-62-63 con Campice
Nessuna meta, se non quella …di una lunga carriera da “fullback all’antica” con la gloriosa maglia rossoblu dei Bersaglieri della Rugby Rovigo.
Nessuna meta, perché Benito Merlin non poteva sbilanciarsi in avanti, ma con 207 partite disputate in 17 stagioni e ben “Tre Scudetti” con la Rugby Rovigo allenata da Giordano Campice ad inizio anni ’60 è stato uno straordinario protagonista insieme a quei ‘Bersaglieri’ che sotto la presidenza dell’avvocato Lino Rizzieri hanno cominciato a tenere alta la bandiera dei ‘Polesani nel Mondo’.
E allora, eccovi questa Benito Merlin Story raccontata a ‘modo suo’ da Raffaello Franco cantastorie del Mondo Ovale, anche perché in premessa mail ci ha scritto quanto segue:<< Ciao Sergio, a pochi giorni dalla scomparsa, ti invio la Benito Merlin Story. Tra i vari personaggi che avevo avuto la fortuna di incontrare tempo fa per Area Sport, avevo avuto modo di conoscerlo ed intervistarlo. Ho rielaborato il pezzo di allora per riproporlo a PolesineSport. Purtroppo di foto da mandarti non ne ho, comunque so che il tuo archivio è ben fornito e qualcosa saprai sicuramente recuperare.
Grazie. Alla prossima story! / Raffaello >>.
E allora , premesso che di storie del Mondo Ovale ne abbiamo già altre in attesa di pubblicazione, eccovi tout court la storia del “Full Back all’antica” corredata da alcune significative immagini ad onore e gloria anche della Rugby Rovigo in the world.
MAIN NEWS ( di Raffaello Franco, mail 01.05.2018) / BENTITO MERLIN STORY : FULLBACK ALL'ANTICA
Fa un caldo anomalo per essere solo al 25 di Aprile. Si certo, la cosa va bene per i tanti impegnati a festeggiare con le tradizionali grigliate all'aperto, tra amici o in famiglia, ma questo 25 di Aprile c'è una "famiglia di amici" che non ha avuto modo di festeggiare perché, proprio in questo giorno così festaiolo, in silenzio e senza clamori, com'era da sempre nel suo stile, se n'è andato uno dei suoi componenti, uno di quelli che, grazie alle sue imprese, seppe scrivere una bella fetta della gloriosa storia della "famiglia di amici" che risponde al nome di Rugby Rovigo.
Perché diciassette stagioni di rugby giocato ad altissimo livello non si possono certo dimenticare, eppure Benito Merlin spesso non è stato ricordato tra i grandi come invece avrebbe meritato. Sarà forse per il fatto che in tanti anni di campionato non ha mai realizzato una meta, ma bisognerebbe però chiedersi quante furono, vi assicuro moltissime, quelle che riuscì ad evitare.
Grinta, forza, posizione e placcaggio, queste erano le caratteristiche di uno dei migliori estremi italiani tra la metà degli anni ’50 ed i primi anni ’70 del secolo scorso, caratteristiche che contribuirono a segnare un'epoca.
Ebbe la fortuna di avere a disposizione dei grandi maestri. Da “Maci” Battaglini apprese la tecnica ma fu con Campice che maturò. Questi due allenatori straordinari furono quelli che lo improntarono come giocatore. “Topa “ Milani poi fu per lui una specie di “Angelo Custode” in campo. Quando debuttò con la maglia rossoblu lui ancora giocava, lo consigliava e lo esortava a mantenere la calma: Milani contribuì molto alla sua maturazione come giocatore.
Benito Merlin: diciassette stagioni ad alto livello non sono uno scherzo, soprattutto se vissute nell’ombra ma con la consapevolezza di avere comunque un compito vitale nell’economia di gioco della squadra. Giganteggiò nel suo ruolo ed i suoi allenatori si sentivano più tranquilli con lui la dietro a presidiare l’area di meta. Dopo tutto, se una volta appese le scarpette al fatidico chiodo, guardandoti indietro ti accorgi di aver totalizzato la bellezza di oltre 200 partite di campionato con la gloriosa maglia dei “Bersaglieri”, beh questo significa che, anche se tanti magari non se ne sono neppure accorti, hai contribuito decisamente a scrivere un pezzo importante della storia della Rugby Rovigo.
Così si è dipanata tutta la carriera di Benito Merlin. Lunghissima militanza in rossoblu chiusa appunto dopo 207 match all’attivo senza mai la soddisfazione di realizzare una meta. Sul suo tabellino verranno registrati solo 3 drop. Niente se raffrontati al numero di stagioni e di match disputati. Ma Benito Merlin possedeva una dote non comune e forse più importante di quella di realizzare mete a grappoli: lui le mete le salvava.
Un vero peccato che gli statistici non abbiano tenuto conto di quante ne abbia evitate. Di sicuro sarebbe stato un dato molto interessante da elaborare ed avrebbe reso più giustizia alla carriera di un atleta dotato di grande umiltà e che ha lavorato sempre nell’ombra. Talmente nell'ombra che spesso doveva giocare anche sotto falso nome per evitare che il lunedì il suo datore di lavoro leggesse sui quotidiani il suo nome tra quelli della formazione rossoblu! Questa cosa gli costò anche la nazionale. Il suo più grande rammarico, infatti, era quello di non aver mai avuto modo d'indossare la maglia azzurra. Solo una volta ebbe la possibilità di partecipare ad un allenamento della nazionale, mentre in altre sette occasioni dovette rinunciare alla convocazione sempre per lo stesso motivo: il suo titolare non gli permetteva di lasciare il negozio di alimentari che gli aveva affidato in gestione perché temeva che potesse infortunarsi perdendo così giornate di lavoro.
Anche per andare in trasferta e poter così raggiungere i compagni di squadra, era spesso costretto, dopo aver lavorato tutto il giorno, a partire da solo in treno a notte fonda!
Merlin è l’estremo ideale per il rugby dei quegli anni. Non era dotato della velocità sufficiente per fare degli inserimenti efficaci, ma nemmeno gli schemi di quel rugby glielo permettevano. L'estremo di allora era ancora "legato" all'area dei "ventidue", retaggio dell'antico gioco del football sviluppatosi nei secoli e che ha lasciato al calcio il portiere ed al rugby l'estremo che, a ben vedere, era una sorta di "portiere volante", l'ultimo baluardo della difesa.
Quando giocava Benito Merlin non si parlava ancora di "triangolo allargato". Il "15", che in epoca antica, guarda caso, portava sulla schiena il numero "1" (come succede ancora oggi nel Rugby League, n.d.A.), copriva quasi esclusivamente tutta la linea dell'area di meta e non poteva certo sganciarsi per partecipare agli inserimenti dei trequarti come accade nel gioco "evoluto" che siamo abituati a vedere oggi.
Per l'epoca è il prototipo del ruolo, ha un senso della posizione al di sopra della norma ed è dotato di spalle possenti che sormontano un busto e delle gambe corte che gli permettono di fare dei recuperi precisi: gli anglosassoni lo definirebbero un “safe fullback” ossia il tradizionale estremo di sicurezza. Negato per i calci piazzati sapeva trovare grande precisione nel calciare in touche prediligendo il piede sinistro a quello destro.
Rispetto agli altri "colleghi di ruolo", lo contraddistingueva anche un’altra caratteristica, ossia quella di saper leggere con precisione scientifica il rimbalzo del pallone tanto da riuscire anche a colpirlo spesso con la testa se questo fosse servito a liberare più velocemente la sua "area dei 22" dalla pressione avversaria. Nonostante tutto però, in qualche rarissima occasione, provava anche a sganciarsi per inserirsi nel gioco arioso dei trequarti. Anche lui, nonostante le sue caratteristiche difensive, avrebbe desiderato provare l'ebbrezza, almeno una volta in carriera, di schiacciare l'ovale oltre la linea di meta avversaria, ma ogni volta che provava ad "evadere" dalla sua zona di competenza, veniva ripreso e ricacciato indietro da compagni di squadra ed allenatori.
La struttura di gioco di quel Rovigo era basata sulla potenza della mischia e sulla difesa, non erano ammessi troppi ghirigori nel gioco che doveva essere il più concreto ed essenziale possibile. Il rugby champagne non era gradito in quel Rovigo. Per quel tipo di gioco Benito Merlin era l'uomo ideale, un grandissimo difensore. Non furono molti gli avversari in grado d'impensierirlo davvero. Ma anche lui ebbe un paio di bestie nere capaci di metterlo in difficoltà: Patelli delle Fiamme Oro, giocatore dotato di grande velocità e, soprattutto, l’ala del Brescia Squassina. Il bresciano aveva un fisico da “antiatleta”, eppure era dotato di velocità straordinaria e capacità unica di infilarsi nei buchi difensivi, un precursore del suo ruolo per l'epoca. La prima volta che affrontò Merlin, qualcuno aveva messo in guardia l'estremo rodigino sulle caratteristiche tecniche di questo giocatore. Nonostante tutto però quel giorno Squassina riuscì a rifilare 3 mete ai "Bersaglieri". Era un vero e proprio demonio capace d'infilarsi tra Busson e Merlin come la lama di un coltello nel burro. Da quel giorno nacque anche una goliardica canzoncina che i compagni "simpaticamente" dedicavano al povero Benito alla vigilia di ogni partita col Brescia:<<Il pericolo numero 1: Squassina…>> e giù risate a non finire! Era un altro rugby, fatto di passione e sacrificio, i compagni di squadra erano la tua famiglia e si giocava solo per l'onore d'indossare quella maglia che nella stragrande maggioranza dei casi rappresentava anche la tua città.
Benito Merlin fu uno dei protagonisti del trittico di scudetti vinto dai “Bersaglieri” tra il 1962 ed il 1964. Erano gli anni delle indimenticabili epiche sfide con le Fiamme Oro di Padova che inanellarono una serie di 5 scudetti, nel decennio '58 - '68, ben 4 dei quali vinti di fila tra il 1958 ed il 1961.
Con il rugby iniziò quasi per caso. Da ragazzo, infatti, giocava a calcio e praticava anche un po’ di pallavolo. Del rugby ne aveva solo sentito parlare. Il caso però volle che una sera si accordasse con l’amico Antonio Camozza per andare al Cinema Apollo a vedere un film. Antonio giocava a rugby con la squadra delle ACLI e cominciò a parlargli di questo sport e di quanto lo appassionasse. Andò a finire che i due giovani non videro il film perché rimasero fuori dall’Apollo a parlare di rugby. L'amico gli tessé le lodi di questo sport e fu talmente convincente che riuscì a far innamorare il nostro Merlin tanto che il giorno successivo si presentò all'allenamento pronto a vivere questa nuova esperienza sportiva. Naturalmente portato per il gioco, dopo poco passò alle giovanili della Rugby Rovigo, qualche presenza con la squadra riserve e la stagione successiva era già pronto per fare il debutto in serie A. Correva la stagione 1955 – '56 e Benito Merlin giocò la sua prima partita nella massima serie italiana affrontando il Pelv Venezia, squadra nella quale militava l’ex ala rossoblu Stievano. Sarà l’unica presenza in quel campionato, ma già nella stagione successiva totalizzerà la bellezza di 18 match in una stagione che vide la Rugby Rovigo vincere il Girone A (in quegli anni il campionato di serie A era suddiviso in gironi prima del ritorno, nel 1961, al campionato a girone unico di Eccellenza, n.d.A.) e fermarsi solo nel “gironcino” di semifinale che andò appannaggio del Cus Torino. Per la cronaca lo scudetto andò poi al Rugby Parma.
I primi segnali di un Rovigo in ripresa erano ormai evidenti anche se, come detto, le speranze di riportare il tricolore in città dovettero scontrarsi con la supremazia delle Fiamme Oro di quegli anni. Comunque sia, Merlin ed i “Bersaglieri”, in quel periodo dettero del filo da torcere un po’ a tutte le pretendenti al titolo e finalmente, nel 1962, riportarono a Rovigo quello scudetto che mancava ormai da otto lunghe stagioni.
Fu un serrato testa a testa per tutto il campionato con le Fiamme Oro che persero di misura (3 a 0, n.d.A.) lo scontro diretto che assegnò matematicamente il tricolore ai rossoblu che riuscirono così ad interrompere il regno dei ”Poliziotti” durato per 4 stagioni consecutive. Le cronache dell'epoca raccontano di una partita spigolosa, giocata con i nervi a fior di pelle tanto che il Rovigo decise subito il match nei primi minuti grazie al penalty di Romano Bettarello assegnato dall’arbitro Pozzi per un fallo nato da una scaramuccia tra le due squadre. Rovigo quel giorno vinse subito l’incontro anche sul piano dei nervi. Poco dopo il vantaggio dei “Bersaglieri”, infatti, la terza linea, delle Fiamme Oro, Sguario si fece pizzicare dal direttore di gara mentre maltratta Vecchi.
"Fiamme" in 14 e Rovigo che si insedia stabilmente nella metà campo patavina grazie allo strapotere del suo pacchetto di mischia. Arriva così il quinto scudetto per la Rugby Rovigo, il primo del nostro Benito Merlin. Non avrebbe potuto chiedere di più dalla vita perché nel corso di quella indimenticabile stagione, oltre a vincere il suo primo tricolore, gli successero anche altre due cose a dir poco straordinarie. Nello stesso anno infatti si sposò e nacque anche la sua prima figlia.
Riassaporerà la gioia del tricolore anche l’anno successivo quando i “Bersaglieri” si troveranno all’ultima giornata del campionato ad affrontare, in un match decisivo, ancora le Fiamme Oro e con un solo punto in classifica di vantaggio da amministrare sui “Poliziotti”. Nel remake della sfida sembra che il destino si sia voluto divertire riproponendo lo stesso identico epilogo dell’anno precedente: stesse squadre, stessi protagonisti in campo, stesso stadio (il “Tre Martiri” di Rovigo, n.d.A.), stessa posta in palio e medesimo risultato finale….Rovigo Campione d’Italia per la sesta volta nella sua storia!
Per Benito Merlin ed i “Bersaglieri” dell’allenatore Giordano Campice, sarà scudetto anche nel 1964, scudetto, se possibile, ancora più sudato dei due precedenti. Le Fiamme Oro sembrano aver perso il loro smalto, il loro ciclo è finito (rivinceranno lo scudetto, l’ultimo della loro storia, solo nel 1968, n.d.A.), ed iniziano ad affacciarsi nuove protagoniste nel panorama rugbistico di vertice come la Partenope Napoli, che si sostituirà nella stagione successiva al Rovigo, ed il Parma. Proprio quest’ultima squadra sarà quella che darà del filo da torcere ai “Bersaglieri” lanciati all’inseguimento del loro settimo sigillo.
Sarà necessario un comunicato Federale per certificare l’assegnazione del tricolore ai rossoblu, giunto tre giorni dopo la conclusione del campionato. Rovigo e Parma infatti, arrivarono alla fine del torneo in perfetta parità: di punti (33) e di vittorie nei confronti diretti (11 – 5 a Parma e 11 – 9 a Rovigo). Per assegnare il titolo di Campione d’Italia, si dovette andare allora a consultare il regolamento e grazie all’articolo 36 la Rugby Rovigo poté cucirsi sulle maglie l’atteso settimo scudetto, il terzo consecutivo, in quanto negli scontri diretti aveva realizzato 3 mete contro le 2 segnate dai parmensi. L’articolo 36 infatti, tra le discriminanti in caso di più parità, assegnava la vittoria alla squadra che negli scontri diretti aveva segnato più mete.
Dovranno passare altri 11 anni prima che i rossoblu possano di nuovo vincere un tricolore, ma il protagonista della nostra storia non potrà riassaporare più questa gioia. Benito, infatti, nel frattempo si è ritirato già da 4 stagioni ma ha comunque fatto in tempo a giocare con gli uomini della nuova generazione, quella che porterà tante soddisfazioni alla Rugby Rovigo targata Sanson.
Per lui, rugbisticamente nato con Mario “Maci” Battaglini, Aldo "Topa" Milani, Romano Bettarello, Bellinazzo, Milto Baratella e Busson, passando poi per i vari Biscuola, Bordon, Raisi e Vanzan ed arrivato ai vari Rossi, Salvan, Visentin, Quaglio e Zanella, è stato come fare un lungo viaggio attraverso varie generazioni di rugbisti rodigini, generazioni che hanno vissuto periodi esaltanti alternati ad altri di profonda crisi, tutti legati comunque da un unico filo conduttore. Storie di un rugby d’altri tempi, un rugby giocato solo per passione ma che aveva ancora il sapore della semplicità e della schiettezza dei suoi grandi protagonisti, gente di ferro come Benito Merlin, gente sempre pronta a sacrificarsi per quella gloriosa maglia rossoblu.
EXTRATIME by SS/ In cover Benito Merlin player , e in fotogallery tutta una serie di immagini ufficiali che non hanno bisogno di ulteriori specifiche didascalie in favore del nostro personaggio evergreen. Salvo sottolineare che nel 'trio kit' vediamo Campice allenare 'fullback' Benito Merlin come fosse un portiere, mentre poi col numero 15 sulla maglia è impegnato in uno speciale placcaggio volante.
Raffaello Franco & Sergio Sottovia
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