Ciclismo Amarcord 1910/ Al Giro vince Galetti, al Tour de France vince Lapize su Faber; ma doppio esordio amari ritiri per Lauro Bordin


29/02/2020

Ho letto le prime pagine de La Gazzetta dello Sport raccolte nel ‘librone’ dal titolo “ Le emozioni , i Protagonisti, le sfide dalla nascita fino ala XXX Olimpiade’ , a cura di Elio Trifari e Franco Arturi, con introduzione di Andrea Monti.
E allora, avendo la possibilità di incrociare ‘note storiche’ così autorevoli con alcune personalissime testimonianze raccolte dal sottoscritto in una …vita di attenzione allo Sport a tutto campo,, eccomi a proporvi alcuni speciali ‘incroci’ tra quanto si è meritato il CICLISMO sulle famose ‘prime pagine’ della blasonata r’rosa’ e quanto è arrivato al sottoscritto da speciali fonti autorevoli e …dirette.
Perciò qui su questo sito www.polesinesport.it partiamo con questo ‘Ciclismo Amarcord 1910’ anche perché le citazioni de La Gazzetta dello Sport posso incrociarle con quanto vissuto e raccontato direttamente in quelle due corse da Lauro Bordin, nato a Selva di Crespino il 9 luglio 1990 e che proprio in quell’anno 1910 , alla giovanissima età di 20 anni, faceva l’esordio nel mondo del Ciclismo professionistico gareggiando in modo ‘sfortunato’ prima al Giro d’Italia e poi al Tour de France in rappresentanza dell’Italia.
Detto peraltro che la Lauro Bordin Story l’abbiamo già raccontata in modo speciale sempre qui su www.polesinesport.it in più occasioni ( basta chiedere a Google e vi rimanda alle pagine interessate), voglio partire con la sua testimonianza diretta in entrambe le corse in quella storica annata 1910 , giusto per dedicarla a Lauro Bordin – il corridore polesano peraltro vincitore di una tappa del Giro con arrivo a Rovigo - titolandola “Giovanissimo Dal Giro al Tour” , due kermesse che da sempre sono la quintessenza del ciclismo poi certificata dalle ‘doppie vittorie’ di Gino Bartali e Fausto Coppi ben note a tutti.

 

MAIN NEWS ( di Lauro Bordin, dal suo libro “ Carriera di un Corridore artista” ) / LAURO BORDIN STORY : GIOVANISSIMO DAL GIRO AL TOUR
E torniamo al Giro d’Italia 1910: la prima tappa è Milano-Udine di 400 km. Un incidente el quale era vittima Ganna, nei pressi di Brescia, dava fuoco alle polveri: ed era Petit Breton, vincitore di due Giri di Francia , ad imporre un passo infernale. Dei 200 corridori ancora in gruppo  Brescia, solo 18 finirono col trovarsi riuniti all’ultimo chilometro.
Iocercai invano di mettermi a ruota dei primissimi. Gli avversari approfittarono però ella mia inesperienza per respingermi con male parole, minacciandomi di farmi cadere. Piuttosto che finire in coda inizia allora la mia volata con n violento sforzo progressivo fino a portarmi al fianco del terribile Petit Breton; questi scorgendomi con la coda dell’occhio , mentre avanzava con la testa bassa, sbandò gradatamente verso destra a ridosso di me, così costringendomi ad interrompere la mia azione e a frenare per non finire contro lo steccato dietro il quale una folla enorme assisteva alla volata.
Approfittando del centro della strada resosi in tal modo libero partì di scatto Ernesto Azzini che giunse primo con Galetti a ruota. Io rimonti alcuni arrivando affiancato a Menager, ma ormai non più in tempo per sorpassare i primi due. La mia casa non mi permise di reclamare perché Atena era una sottomarca della Legnano per la quale correva il poco corretto francese.

 

Fra gli arrivati in coda notai il corridore che l’anno prima al passaggio el giro el Veneto aveva minacciato di farmi finire giù nel fossato. <<Hai visto >>, gli dissi << che qul ciclista che chiamasti “sciarada” l’anno scorso è arrivato davanti a te?>>. E quello fece una smorfia. Era Eberardo Pavesi, ancora oggi sulla breccia in qualità i direttore sportivo ella Legnano.
La media da Milano a Udine fu di 29,246. Con quelle strade e quelle biciclette su un percorso i 400 km non c’era male davvero!.
Nella notte seguente, stando ai bene informati, dovevamo finire tutti bruciati! La cometa di Stanley avrebbe dovuto avvolgere la terra con la sua coda infuocata e incenerirla. Mentre Udine pullulava di folla, in parte festosa perché incredula e in parte terrorizzata, io dormii di un profondo sonno perché i casi erano due: o la catastrofe si avverava e non me ne sarei accorto, o tutto filava licio e mi sarei ritrovato riposato e fresco.
Infatti il giorno dopo un sole splendente entrò ad illuminare la mia camera d’albergo…ma non per questo doveva brillare in tal giorno la mia buon stella.
Nella Udine – Bologna, mentre a Rovigo gli amici attendevano con ansia di vedermi passare, a Monselice fui vittima di un disastroso incidente mentre ancora una volta Petit Breton, a scatti, entrava ed usciva dalla banchina sfiorando in velocità i paracarri. Urtai contro uno di questi , rimasi tramortito e dovetti ritirarmi. Mi dispiacque soprattutto per il dolore dato a mia madre che dal balcone di un casa di amici, a Rovigo , attese invano il passaggio del suo primogenito.

DAL GIRO AL TOUR/ Vinto il Giro d’Italia da Galetti, dal canto io fui invitato dalla Casa a prepararmi per il Giro di Francia. Non avevo ancora venti anni e tra i miei amici non ci fu, né poteva esserci, il consigliere che mi dissuadesse dal compiere tanto sforzo ancora così giovane. Venni quindi a trovarmi in uno squadrone allestito dalla Legnano con elementi italiani e francesi, e precisamente: io, Albini, Ernesto e Luigi Azzini, Petit Breton, Georget, Menager, Brocco e Duboc.
Noi quattro italiani partimmo dall’Italia su una vettura Wolsit col nostro direttore sportivo Ferrario, l’allampanato  e lungo ex pistaiolo che una volta aveva gareggiato in tandem con la famosa attrice Lina Cavalieri. Mi sentivo come un piccolo conquistatore. Pensate! L’anno innanzi ancora dilettante, ed ora rappresentante d’Italia al famoso Tour.

 

Poche ore dopo l’arrivo volli sgranchirmi le gambe sui Boulevard che conducono all’Arco di Trionfo. Mi feci risucchiare da un veloce taxi, quando un vigile si accorse della mia infrazione e fece segno di fermarmi. Non gli badi  e allora un coro di colpi di fischietto che gendarmi che sbucavano ad ogni svolta di via mi accerchiarono. Riuscii però ad infilare una strada secondaria e quindi a rientrare sbuffando,  all’albergo. Il tutto mi era servito come collaudo finale al Tour.

La prima tappa del Tour  1910 si svolgeva da Parigi a Roubaix, percorso della famosa classica. Era da poco dato il via alle ore 4, quando incominciò a piovere mentre un gelido vento provenire dl Mare del Nord. Io non avevo ingrassate le gambe e le mani mi tremavano sul manubrio, mentre la strada selciata da grosse e sconnesse piastrelle rendeva il famigerato pavée pericoloso per il continuo salire e scendere dalle banchine laterali.  Talvolta si dovevano fare autentiche acrobazie. Io riuscivo però a condurmi abbastanza bene anche perché avevo partecipato a diversi. ( A proposito di cross-country, riordo di averne vinto due a Padova, uno a Milano, a Bologna e a Gallarate). Mentre sotto l’urgano ci si avviava verso Roubaix, forai una gomma impiegando vari minuti nel cambio causa le mani intirizzite. Mi consolai quando inseguendo, tutto solo, scorsi il grosso Francesco Faber , vincitore di un Tour, con il compagno di squadra Petit Breton. Mi unii a loro cercando un po’ di sollievo alla pioggia e al forte vento insidioso, mettendosi un po’ di lato o alle spalle del <<gigante di Colombes>>, questa essendo la qualifica di cui allora godeva Faber.
I due francesi cercarono di staccarmi ma io resistevo bene così che destai meraviglia nello stesso Desgrage, ideatore del Tour e fondatore de <<L’Auto>> , tant’è vero che mi dedicò un trafiletto sul suo giornale.

 

Ecco riportato il resoconto di Armando Courgnet sulla <<Gazzetta dello Sport>> del 4 luglio 1910 che descrive quell’episodio.
<<Alle 8,45 arriva  superbamente al controllo di Montdidier, 111 km da Parigi, il piccolo focoso Brocco; seguono a pochi metri Dortigncq, Crupelandt, i fratelli Azzizi e Metron che firmano e ripartono velocissimi. Alle 8,46’30” giunge Garrigou, alle 8,47’30” F. Faber, alle 8,47’45” Bordin, alle 8,49’20” Petit Breton, alle 8,50’12” Georget.
Prima di Amiens , Bordin raggiunge Faber. E assistiamo qui ad un pugnace inseguimento di Petit Breton. Egli riesce progressivamente a diminuire la distanza che lo separa dal suo grande rivale. Sui lunghi rettilinei si vede la maglia giallo-nera seguita da quella bianca di Bordin, fuggire con maggior rapidità.
Ma la visione del nemico fuggente permette all’argentino di calcolare lo sforzo dell’inseguimento. Egli accelera in modo sensibile e irresistibile. Saldo in macchina in una posizione che nulla perde di grazia anche nello sforzo, con un leggero movimento della testa, Petit Breton accompagna il movimento della pedalata. Dopo sei chilometri la distanza è minima, Sul rettilineo in discesa Petit Breton è in piena volata; Faber risponde energicamente avendo alle sue spalle Bordin. Il terreno è  disputato palmo a palmo, ma finalmente la vittoria rimane all’argentino che passa in testa. Mentre qui avveniva questo interessantissimo duello….>>…. io dovevo di nuovo arrestarmi per altra foratura ma rimarrà in me indelebile nella memoria quel luminoso  episodio di una lotta superba fra due grandissimi campioni quando mancavano ancora 150 km all’arrivo e la bufera di vento e pioggia era scatenata. Ed io, che oltre a testimonio ne fui protagonista, ne sono fiero perché seppi tener testa a quelle furiose lotte con i più illustri atleti el ciclismo mondiale di quell’epoca luminosa.
Pensate che più avanti Cougnet scrive:<< Bordin ha avuto una nuova foratura ed è ritornato in compagnia di Petit Breton>>. Nonostante tutto giunsi 23° a Roubaix e la tappa successiva fu vinta da Crupelandt alla media di 30,112

 

La seconda tappa di quel Tour era nientemeno ch di quasi 400 chilometri. Va bene che tra l’una e l’altra  c’era un giorno di riposo ma si partiva così presto e si arrivava così tardi da non accorgersene  nemmeno. Faber stesso non usciva nemmeno di camera e si faceva servire i piatti a letto. Disgraziatamente il tempo continuava  peggiorare. Immaginatevi con tutta quell’acqua della prima tappa , che aveva provocato, e non solo a me, gonfiore alle ginocchia, con che letizia si doveva affrontare l successive asperrime fatiche.
Uno strapazzo simile  a 19 anni non era nemmeno consigliabile. Mi mancavano infatti 24 ore a compiere quella che è la più bella età di un giovane: i vent’anni!
Questa volta si partì un’ora prima : alle tre del mattino.
Diamo la parola ancora a Cougnet:<< Passiamo Coteau, km. 119, alle 6,20, e termina finalmente l’orribile e insidioso pavé. Gli incidenti sono numerosi. Salite e discese a tutto spiano rendono sempre più massacrante questo tratto di percorso e gli uomini sono messi alla prova duramente.
Dal gruppo di testa sono costretti a staccarsi ancora il bravo Bordin che ha una marcia poderosa e coraggiosa e si lamenta del gonfiore al ginocchio sinistro. A Metz firmano: alle 9,40 Faber, Lapize, Garrigoue, Van Huuwaet; alle 9,45 Albini; alle 9,57 Godivier, Bordin, Lafoucade, Bettini, Cornet, Paul, Poulmier, Dortignacq, Menager. Alle 10,3 Petit Breton.
Ma questo secondo gruppo é smembrato da scoppi di gomma e incidenti di macchina. Ricordiamo nell’ordine queste vittime valorose. Ecco Bordin, Dortignacq, Albini, Menager, Troussellier e Blaise sparpagliati anche da un violento uragano scoppiato a Montmédy.

 

Quando passiamo troviamo Pettit Breton lottante in mezzo alle raffiche di vento e tuoni>>.
Francesco Faber, il gigante buono, vince la tappa a 30,600 all’ora! Io mi piazzo sedicesimo davanti ai fratelli Azzini, a Petit Breton, Georget, Dortignacq e ad un’ottantina di altri arrivati.
E Cougnt finisce così:<< l’ottima posizione di Bordin, nonostante parecchi incidenti di bucature, è la più bella lode che si possa fare a questa speranza del ciclismo italiano.
All’arrivo a Metz la nostra auto, guidata da Oreste Garanzini, portava le bandiere francese e italiana. In ispettore di polizia, per ragioni di ordine pubblico, ordinò di levare la bandiera francese e la sola italiana rimase. A Trieste sarebbe successo il viceversa>>:
La prima guerra mondiale era ancora lontana, la Lorena e l’Alsazia erano germaniche e Trento e Trieste ancora austriache!
Riposo il 6 luglio  Metz e poi ecco il giorno del mio compleanno. Vent’anni! 
E dovevo correre un’altra tappa tremenda, quel giorno. Che bellezza! Infatti la Metz – Belfort comportava al termine la scalata del famoso Ballon d’Alsace che, allora., era considerato  una delle più dure salite del Giro di Francia, quando i Pirenei e le Alpi non vi erano stati inclusi. Purtroppo il ginocchio cominciò a farmi maledettamente male e, scalata fra la fitta nebbia e la pioggia la grande montagna, giunsi a Berfort in condizioni disastrose. Che bel compleanno!
Con la terza tappa Metz – Lione comincia il mio vero calvario. Non posso più piegare il ginocchio sinistro. Una tremenda sinovite me lo fa dolorare da non riuscire a chiudere occhio durante la notte, mentre massaggiatori e medici di danno d’attorno per guarirmi.

 

Non volli ritirarmi e partii pedalando con una gamba sola… Ciononostante per cento e più chilometri non ero in coda a tutti. Poi, sorgendo il sole e scaldando i muscoli,  sforzandomi di pedalare a anche con la gamba ammalata, riuscii a raggiungere il traguardo davanti a parecchi, ma egualmente molto in ritardo.
Così continuai sino  Nizza e ilcaldo della Costa Azzurra mi fece migliorare assai, tanto da sentirmi quasi guarito, ed eravamo quasi a metà della nostra fatica. Sarei arrivato  Parigi a qualunque costo! E una tappa almeno volevo vincerla!
Ma ecco ch anche questa volta avevo fatto i conti senza l’oste. Mi sentivo in forza e marciavo speditamente quella mattina, rispondendo agli allunghi di tutti i <<grandi>> che tentavano di involarsene.
Sulla salita del Freyus mi trovai in testa col solo compagno di squadra, il baffuto Emile Georget. Ci precipitammo nella successiva discesa affrontando i tornanti con audacia e con l’intenzione di non farci più riprendere anche se il traguardo era ancora lontano. Ma ecco sterzando in una di quelle curve il palmer anteriore si staccò dal cerchio e si aggrovigliò alla forcella frenando di colpo la ruota. La bici si arrestò di colpo ed io feci un tremendo volo in avanti terminando contro la roccia della montagna. Cadendo dalla parte opposta sarei finito nello strapiombo, giù in mare. Mi alzai presto e dolorante con le gambe ferite  e il gomito e la testa contusi, da non poter più pedalare.
A malincuore dovetti abbandonare. Solo a Parigi il compagno Ernesto Azzini riuscì a vincere . Era la prima vittoria di un italiano al Tour!

 

EXTRATIME by SS/ In cover Lauro Bordin datato 1908 in versione giovane Dilettante pronto per una corsa nel Veneto.
Quindi in apertura di fotogallery lo proponiamo come autor del sul Libro Strory autobiografico “ Carriera di un Corridore artista” , anche perché Lauro Bordin è stato pure pittore e fotoreporter ufficiale della storica trasmissione televisiva “Lascia o Raddoppia” condotta da Mike Bongiorno.
A questo punto in sequenza vi proponiamo alcune ‘prime pagine’ de La Gazzetta dello Sport che onorano il mitico ciclismo pionieristico d’inizio secolo scorso, in cui viene segnalato Lauro Bordin ( vedi anche sua prima tessera da corridore datata già 1909) protagonista sia nel Giro d’Italia 1910 che Giro di Francia 1910 .
Oltre che per alcuni anni anche nelle stesse kermesse oltre che nelle varie classiche, di cui proponiamo a titolo semplificativo la Milano –Torino.

 

Una classica di cui vi abbiamo già dato conto , come per il Giro di Lombardia, perché vinte da Lauro Bordin, come peraltro alcune storiche tappe del Giro d’Italia;  che abbiamo già personalmente raccontate in una specifica Story su IL Resto del Carlino ( vedi pagina datata 21 maggio 2010) in una specie di Centenario del suoi primi Giri d’Italia.
Sperando che proprio in onore del suo Centenario , venga ‘intitolata’ proprio a Lauro Bordin almeno il traguardo volante che passerà per Rovigo durante il prossimo Giro d’Italia.

Sergio Sottovia
www.polesinesport.it