Cristina Berti racconta la sua “drammatica storia” dell’affitto da pagare ai sensi della L.R. n.10/1996 / Ben € 1132 annui perché ‘lavoratrice autonoma’ e non beneficia della “fascia di protezione”


Cristina Berti vive a Castelnovo Bariano, ha 37 anni e sta vivendo mesi, anni che per usare un eufemismo posso essere definiti ‘impegnativi’.  Vive a Castelnovo Bariano  in una casa dell’Ater dal 1996, anno in cui la madre ottiene l’assegnazione della ‘casa popolare’. Dopo la morte della mamma, è il 1999, Cristina Berti ha ovviamente  continuato a vivere in quell’appartamento, il contratto è adeguato alla nuova inquilina ma fino a questo momento tutto è all’interno di confini unanimemente condivisi.
“In quel momento – inizia il racconto Cristina – Ater ha giustamente adeguato il contratto e il canone d’affitto. Avevo un lavoro dipendente e il reddito annuo mi garantiva una vita dignitosa. Concretamente, in base alla Legge Regionale 10 del 1996, sono stata classificata all’interno della ‘fascia sociale’ e ammessa al pagamento del relativo canone, 116 euro al mese. Importo equo, tranquillamente onorabile in considerazione del reddito che riuscivo a percepire”.
La crisi ha però colpito duro e la storia di Cristina, nel giro di qualche giorno, cambia radicalmente: <<Nel 2008 sono stata licenziata e, nonostante estenuanti ricerche e innumerevoli tentativi, non sono riuscita a trovare un lavoro.  La crisi iniziava ad attanagliare il Veneto produttivo, allo scopo di tornare a guadagnare soldi per la sopravvivenza, decisi di avviare un’attività in proprio, una piccola impresa, come lavoratrice autonoma>>.

E insieme all’attività aumentano i problemi: << E’, forse sarebbe meglio dire era, una piccola impresa che ha richiesto investimenti molto modesti e non necessitava di particolari competenze. Non avevo soldi e non potevo perdere altro tempo. Scelsi di porre l’attenzione al commercio ambulante, ho fatto un mutuo per acquistare un piccolo furgone e ho raggiunto accordi per la vendita di maglioni per taglia conformate, ‘fine serie’, con alcuni maglifici.  Purtroppo le cose non sono andate bene, mi accorsi subito che vendere un numero sufficiente di capi per coprire tasse dirette e indirette non sarebbe stato semplice. Dovevo pensare poi alla vita quotidiana, la spesa, le utenze e, a volte ritornano, il canone d’affitto>>.
Ecco, eravamo rimasti a 116 euro mensili: <<Già, l’affitto. Il contratto è stato rivisto e corretto dopo la decisione di iniziare l’attività autonoma.  Il reddito annuo attualmente non supera i 2.000 euro, ampiamente documentato, quindi pesantemente ridotto rispetto al passato ma la mia condizione di lavoratrice autonoma non consente di essere inserita nella ‘fascia di protezione’ e l’affitto è incredibilmente rimasto inchiodato ai 116 euro mensili, 1132 annui, impossibile da sostenere. E questo perché sono una lavoratrice autonoma>>.
A questa ingiustizia Cristina ha detto no: <<Basta, non posso più tollerare di vivere al freddo per risparmiare soldi da consegnare per saldare un canone abnorme e non riesco più a vivere nell’incubo di uno sfratto per morosità, a questo punto inevitabile perché non riesco più a pagare>>.
La denuncia, per Cristina Berti, corre parallela all’azione: <<Ho scritto una lettera che ho indirizzato all’Ater di Rovigo, al Comune di Castelnovo Bariano, all’Amministrazione Provinciale di Rovigo, a Regione Veneto e anche a Matteo Salvini, visto che il presidente della nostra Regione è il leghista Luca Zaia, comunicando loro che da oggi in avanti pagherò solo il canone minimo avvisandoli fin d’ora che eventuali iniziative tesa a contestare la mia presunta morosità verrà opposta in tutte le sedi per affermare l’illegittimità della Legge 10, evidentemente contraria ai principi costituzionali!. >>


EXTRATIME by Sergio Sottovia/ La cover è ovviamente dedicata a Cristina Berti. Per tutto il resto non c’è proprio bisogno di aggiungere altre parole su un problema di cui Cristina è la ‘drammatica testimonianza vivente’ raccontata alla sensibilità e all’autorevolezza di Sandro Partesani storico ‘cronista’ dell’enclave altopolesano.
Un problema che fa a pugni col buonsenso, e che dal punto di vista delle Giustizia e della Morale  merita una pronta risposta in sede istituzionale ( leggi i nomi citati dalla stessa Berti ) anche perché è di carattere generale.


Sandro Partesani
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