Grande Torino …“Invincibili & Indimenticabili” dalla Seconda Guerra Mondiale oltre la Tragedia di Superga 1949/ Nei racconti dei Ballarin-nipoti, Erno Egri Erbstein-figlia a Sky e Caraccio-Mesola, Sarti-Adria, Siviero-Taglio di Po

Mi sono riguardato, emozionandomi, #Buffa racconta su Sky, l’altro giorno, lunedì 4 maggio 2020, a 71 anni dalla tragedia di Superga, perché per ricordare il Grande Torino intervistava Susanna Egri Erbstein figlia del DT morto nella tragedia di Superga. Tra i 31 morti dell’aereo schiantatosi contro la collina torinese ai piedi della Basilica di Superga.
In una giornata in cui ho letto su La Gazzetta dello Sport la intervista a Sandro Mazzola figlio del mitico Valentino capitano di quel Grande Torino, che tra l’altro diceva che in tempo di coronavirus avrebbe festeggiato il ricordo del Grande Torino insieme al nipote Valentino mostrando orgogliosamente al maglia numero 10 granata.
In una giornata in cui, dopo aver girato la ‘pagina’ e La Gazzetta a Davide Bovolenta, nipote di Dino Ballarin, ho ricevuto due foto speciali che ...vi proponiamo in fotogallery perché con sovrascritta www.museoballarinchioggia.it, che vi invito a visitare perché dimostra tutta la passione e l’orgoglio chioggiotto dei nipoti di Aldo e Dino Ballarin.
E allora , mentre stavo preparando l’amarcord pro Grande Torino sottolineando, che da #Buffaracconta, il viaggio amarcord con Susanna Egri Erbstein sulla vita di suo padre, ci ha fatto conoscere tutto il dramma degli ebrei sia in Europa che in Italia, raccontando fatti che hanno ‘segnato’ la Storia dell’umanità e la storia del Calcio in Italia a partire dalle disposizioni FIGC by Arpinati , che già dal 1926 ha ‘escluso’ tutti i giocatori ebrei dai campionati italiani , mentre erano ‘permessi’ i lori tesseramenti come allenatori.
Anche per questo vi propongo in sequenza News la Biografia completa by wikipedia dell’allenatore ungherese Egri Erbstein rimandandovi all’Extratime per ulteriori commenti su aneddoti e confidenze familiari di Susanna su quel periodo storico quando il nazismo ha messo in atto le note discriminazioni razziali, sia in Italia che in Olanda e Ungheria.
Ma è stata una settimana in cui la memoria del Grande Torino ha trovato anche in Polesine e nel Delta Po anche ferrarese alcuni particolari amarcord, con personaggi di storica fede granata, di cui ci racconta tutto Emiliano Milani – ormai storico cronista de IL Gazzettino - nella successiva Main News che emoziona e si commenta da sola.

PRIMA MAIN NEWS ( by wikipedia ) / ERNO EGRI ERBSTEIN - BIOGRAFIA
Ernő Egri Erbstein (Nagyvárad, 13 maggio 1898 – Superga, 4 maggio 1949) è stato un calciatore e allenatore di calcio ungherese, scomparso nella tragedia di Superga.
CARRIERA DA GIOCATORE
Erbstein nacque nel 1898 in una famiglia ebraica a Nagyvárad — odierna Oradea — in Transilvania, all'epoca provincia ungarofona dell'impero asburgico e oggi in Romania.
Quando aveva due anni la sua famiglia si stabilì Budapest e lì crebbe, diplomandosi alla locale scuola superiore di educazione fisica[1]. Inoltre, entra nell'associazione locale di atletica, il Budapesti Atle'tikai Klub, che conta anche una squadra di calcio, il BAK Budapest, che lo ingaggia nel ruolo di mediano e dove resta dal 1915 al 1924.
Dopo il diploma inizia a lavorare come agente di borsa e, anche se il calcio passa in secondo piano, milita sempre nelle file del BAK. Nel 1924 però l'Olympia Fiume, oggi Fiumana, lo nota e lo porta in Italia. Con questa maglia, Erbstein disputa 18 incontri e mette a segno 5 gol. L'anno successivo è un giocatore del L.R. Vicenza, nell'allora seconda divisione, l'attuale Serie B, (ma più simile, come struttura, alla Lega Pro odierna), dove gioca 28 partite e segna 2 reti.

Durante il suo soggiorno a Vicenza, sposa, nel 1926, Jolanda Hunterer, che aveva conosciuto in Ungheria[2]; il 18 febbraio dello stesso anno, viene al mondo, a Budapest, la loro prima figlia, Susanna, in seguito diventata una rinomata ballerina, coreografa e maestra di danza classica[2].
La carriera di Erbstein, però, non riesce a decollare, anche a causa della Carta di Viareggio, documento pubblicato in Versilia il 2 agosto 1926 e che non permetteva agli stranieri di partecipare al campionato tricolore, a partire dall'anno 1928 (provvedimento legato al fascismo che colpì duramente la maggior parte delle società italiane, che contavano, complessivamente, più di ottanta giocatori provenienti da Paesi esteri)[2][3]. Dunque, anche per motivi riguardanti il suo lavoro in banca, Erbstein decide di trasferirsi negli Stati Uniti, trovando però anche un ingaggio nell'American Soccer League giocando con i Brooklyn Wanderers, allenati da un ex-attaccante angloamericano, Nathan Agar, che è anche stato, nel 1905, tra i fondatori della United States Football Association (della quale fu prima segretario e poi Presidente), dove milita anche il connazionale Béla Guttmann. Gioca un paio d'anni poi la crisi nell'attività borsistica lo porta ad abbandonare gli Stati Uniti e a chiudere la sua carriera con il calcio giocato e a rientrare in Ungheria.

CERRIERA DA ALLENATORE
Ritornato in Ungheria riversa tutte le sue energie nello studio del calcio come fenomeno, nelle tattiche di gioco e nella preparazione fisica degli atleti[4]. Cerca di rimanere informato su ogni novità e mutamento che avviene in Inghilterra, patria del football, a cui tutti, in quel periodo, guardavano e si ispiravano.
In Italia, intanto, qualcuno si ricorda di lui, specialmente come istruttore, una fama che lo accompagnava anche durante gli anni giocati. La sua prima esperienza in panchina è con la Fidelis Andria, formazione pugliese fondata negli anni '20 da Amerigo De Meo e che partecipava a campionati non ufficiali[5].
Nel 1928, la dirigenza del Bari lo chiama ad allenare la squadra nella Divisione Nazionale, dove chiude la stagione in tredicesima posizione. L'anno dopo passa alla Nocerina, portando la squadra al quinto posto in classifica nel girone finale meridionale di Prima divisione (ovvero il terzo livello del campionato di calcio dopo la riforma dell'anno precedente).
Questo risultato soddisfa la società campana a tal punto da dedicargli, nel secondo dopoguerra, il viale attiguo allo stadio[6]. Per l'annata 1930/31, Erbstein si trasferisce al Cagliari, sempre in Prima divisione.

Qui ottiene la promozione dopo aver vinto il girone F ed il successivo girone finale del sud. L'anno successivo porta i sardi fino al tredicesimo posto del campionato di serie B. Sempre nel 1931, inoltre, nasce a Budapest la sua secondogenita, Martha[6]. Nel 1932/33, Erbstein torna al Bari, ormai in serie A, per sostituire Arpad Weisz; la stagione inizia negativamente, tanto che Ernest è esonerato dopo sette partite e la sua squadra retrocede a fine campionato, piazzandosi soltanto diciassettesima. Così, l'anno successivo, Erbstein diventa il nuovo allenatore della Lucchese di Giuseppe Della Santina[7], in prima divisione: vince subito il girone F ed il girone finale C, portando la sua nuova squadra in serie B.
Nel 1934/35 ottiene solo il settimo posto, ma l'annata seguente la Lucchese arriva in testa al campionato, davanti al Novara. Durante la prima stagione nella massima serie, la Lucchese arriva incredibilmente al settimo posto, con lo stesso punteggio dell'Ambrosiana. Nel 1937/38, ultima sua stagione alla guida della formazione toscana, a causa di problemi di salute, viene affiancato da Umberto Calligaris, ex-Juve, con il quale porta la squadra al quattordicesimo posto, riuscendo così ad ottenere la salvezza[8].

LE LEGGI RAZZIALI E LA GUERRA
A Lucca, Erbstein era osannato e sicuramente sarebbe rimasto volentieri, ma le prime Leggi razziali fasciste emesse a partire dal 1938 lo colpiscono direttamente. I suoi motivi di apprensione, specialmente per la sua famiglia, sono da prendere in seria considerazione. Si ritrova a non poter più far frequentare una scuola pubblica alle sue figlie. Decide così di accettare l'offerta della dirigenza piemontese dei granata a guidare il Torino: il trasferimento sarebbe servito, in parte, a giustificare alle sue figliole l'iscrizione in una nuova scuola privata. Dalla Lucchese, l’allenatore ungherese si porta dietro Aldo Olivieri, fresco campione del Mondo (aveva infatti sostituito Giampiero Combi), e permette a Raf Vallone, promettente centrocampista delle giovanili del Toro, di esordire in prima squadra.
Inoltre, Erbstein ritrova nella sua nuova formazione Bruno Neri, mediano ex-Lucchese e con tre presenze in Nazionale. Neri, che diventerà un partigiano nel corso della guerra, muore in uno scontro con i tedeschi sull’Eremo di Gamogna il 10 luglio del 1944[7]. Il Toro inizia il campionato 1938-1939 con il piede giusto, battendo subito la Lucchese per 5-1 e sconfiggendo, clamorosamente, il Bologna di Arpad Weisz, con un secco 3-0. Nonostante la testa della classifica, conquistata al pari del Liguria, il Torino inciampa contro Lazio e Roma, ottenendo solo un pareggio ed una brutta sconfitta. I granata tornano in testa al campionato il 18 dicembre 1938, battendo l’Ambrosiana per 2-1. Quella stessa sera, però, Erbstein viene convocato dalla questura: anche se non pratica nessuna religione da anni, ha origini ebraiche, e quindi deve abbandonare il lavoro e l'Italia (mentre le figlie, seppur battezzate, non potranno più frequentare la scuola)[9].

La sua ultima partita, giocata il 29 gennaio del 1939, sarà una sconfitta per 3-1 sul campo della Triestina. Viene sostituito, come direttore tecnico, da un altro ungherese, Ignac Molnar (consigliato dallo stesso Ernest, poiché erano vecchi amici), mentre il ruolo di allenatore continua ad essere di Mario Sperone. La squadra, come sottolineato da Vittorio Pozzo, non esprimerà più il gioco brillante di prima e, a causa di una sconfitta per 6-1 rimediata contro il Genoa, arriverà solo seconda in campionato, con 38 punti, alle spalle del Bologna (che di punti ne ottiene 42)[9][10]. Inoltre, anche per i campioni d’Italia si verifica una situazione analoga: Arpad Weisz, anch’esso ebreo ungherese, viene improvvisamente cacciato dalla squadra emiliana per essere sostituito da Hermann Felsner. Nonostante questo, Ferruccio Novo, presidente del Torino dal 1939, cercherà in tutti i modi di aiutare Erbstein[11][12].
L’allenatore ungherese riesce a trovare un accordo con il Feyenoord grazie a Molnar (che, tra l’altro, gli aveva procurato anni prima l’ingaggio con l’Olympia Fiume), che sedeva proprio sulla panchina degli olandesi prima di passare al Toro. Purtroppo, Erbstein non arriverà mai a Rotterdam: il treno su cui viaggia viene fermato a Kleve, sul confine tra Germania e Paesi Bassi e non gli è permesso di entrare in Olanda (nonostante il visto rilasciato dal consolato e il contratto già firmato con il Feyenoord). È quindi obbligato a passare diversi mesi in Germania, dove però, in quanto ebreo, non viene accolto praticamente da nessuno.
L’unica soluzione, quindi, è quella di ritornare a Budapest, dove vivevano ancora alcuni parenti di Ernest: con l’aiuto di Novo, Erbstein riesce a trarre in salvo la sua famiglia riportandola nella capitale ungherese. Sempre grazie alla collaborazione con il presidente granata, poi, ottiene un lavoro presso una ditta tessile del biellese, cosa che gli permette di tornare in Italia più volte (aveva inoltre mutato il suo cognome in Egri, per renderlo simile all’italiano). In questo periodo, dunque, riesce, anche se clandestinamente, a collaborare con il Toro, suggerendo l’acquisto, tra gli altri, di Valentino Mazzola ed Ezio Loik[4][13].

Anche questa volta, però, la pace di Erbstein dura poco: il 18 marzo 1944, le truppe tedesche invadono l’Ungheria. Ernest viene internato in un campo lavoro finalizzato alla costruzione di strade e ferrovie, ma scampa comunque alle prime ondate di deportazioni. La figlia Susanna, invece, riesce a farsi accogliere in un pensionato per ragazze cattoliche nella periferia di Budapest, dove porta anche la madre. Dopo l’assalto del pensionato da parte delle truppe tedesche, però, le due ragazze sono costrette a fuggire, per raggiungere la sorella di Jolanda, che farà ottenere loro dei documenti falsi. Anche Erbstein riesce a fuggire e a ricongiungersi con la famiglia. I pericoli, però, non sono finiti: a causa dell’assedio finale di Budapest, iniziato il 20 dicembre 1944, Ernest, grazie all’aiuto di Susanna, è costretto a mettersi in salvo presso Raoul Wallenberg, funzionario svedese, incaricato dalla War Refugee Board (istituita dal presidente americano Roosevelt) di istituire una “sezione umanitaria” al fine di salvare gli ebrei ungheresi, che erano più di 800.000. Questa pericolosa azione porta Wallenberg all’arresto il 17 gennaio 1945: probabilmente, muore il 17 luglio dello stesso anno nella prigione Lubyanka. Ad oggi, Wallenberg è stato riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni”[14]. Salvato ancora una volta ancora da Susanna ( crocerossina per aiutare il padre)[15], Erbstein ritorna dalla sua famiglia, e con questa, dopo un breve periodo, giunge in Italia, dove viene nascosto da Ferruccio Novo fino al termine della guerra[11].

IL GRANDE TORINO E LA TRAGEDIA DI SUPERGA
Dopo la guerra, viene rintracciato dal presidente Novo e fa il suo ritorno nella squadra granata[16], che nel frattempo aveva vinto l'ultimo campionato disputato, quello del 1942/43, in qualità di consulente prima e di direttore tecnico poi. È il periodo del Grande Torino. Vince subito lo scudetto, battendo all’ultima giornata il Livorno per 9-1[10].
Nei quattro anni successivi, durante i quali i granata vinsero sempre il tricolore, la squadra diretta da Egri Erbstein collezionò numerosi record: nel 1947-1948, ad esempio, concluse la stagione con 125 gol segnati, 10 dei quali in un memorabile Torino-Alessandria del 2 maggio 1948. Proprio dopo quel 10-0 fu curiosamente richiesto dalla stessa Alessandria, società a rischio retrocessione con la quale aveva già collaborato ufficiosamente nel novembre 1946 (aveva consigliato, tra l'altro, alla dirigenza grigia l'assunzione dell'allenatore Lajos Kovács, suo connazionale e amico); la società granata – già virtualmente campione – accettò il «prestito» del suo direttore tecnico, che guidò quindi l'Alessandria per l'ultima parte di campionato, dapprima operando sul campo e poi supervisionando altri tecnici (Kovács, il dirigente Michele Roncali, Dadone); malgrado un iniziale miglioramento dei risultati, la squadra non ottenne la salvezza ed Egri Erbstein tornò, come previsto, al Torino[17].
Il gioco del Torino è spiccatamente offensivo (Erbstein utilizza la famosa tattica «WM» di Chapman), grazie soprattutto ad un mirata preparazione fisica e ad uno studio specifico dei movimenti dei giocatori in campo. Per tutti, però, la forza di quella squadra è l’affiatamento tra i giocatori, sia dentro che fuori il rettangolo verde[18]. Quella formazione è considerata da molti come la squadra più forte d’Europa, tanto che la Nazionale di allora conta tra i suoi titolari ben 10 nomi che vestono la maglia del Toro. Il 4 maggio del 1949, però, Erbstein, insieme a tutto il Grande Torino, perde la vita nella tragedia di Superga, quando l’aereo su cui la formazione viaggiava dopo un’amichevole a Lisbona si schianta contro il poderoso bastione della Basilica piemontese[19]. Nove giorni dopo sarebbe stato il suo cinquantunesimo compleanno[20].
SECONDA MAIN NEWS ( di Emiliano Milani, mail 05.05.2020) / GRANDE TORINO, UNA PASSIONE CHE NON SI SPEGNE MAI / LO RACCONTANO E LO DIMOSTRANO MARIO CARACCIO ( MESOLA) , RENZO SARTI ( ADRIA ), GIAN LUCA SIVIERO ( TAGLIO DI PO)
Un appuntamento, un impegno, una promessa, c’era tutto questo nel mio intento, un anno fa, quando decisi di intervistare tre persone per me molto speciali, diverse tra loro ma accomunate da una grande passione in comune: quella per il Grande Torino. Tre personaggi ognuno a modo suo, innamorati di quel Toro e della sua storia che ancora oggi, a distanza di 71 anni dall’anniversario della tragedia di Superga, appassiona ed emoziona al raccontare di uomini, di calciatori, di una squadra indimenticabile, invincibile. Il cuore granata, il cuore di tutta Italia in quel 4 maggio 1949 si fermò di battere a Superga, a Torino come a Chioggia dove la straziante notizia della morte dei suoi “bocia” Aldo e Dino Ballarin ammutolì dal dolore l’intera città. Alle lacrime e al silenzio, nel corso degli anni, però pian piano si è sostituito un entusiasmo e un orgoglio sempre più grandi. Oggi quel cuore ha ripreso a battere, o forse non si era mai veramente fermato, e a dimostrarlo è il vivo il ricordo con il quale il nostro Grande Torino continua a vivere anche negli animi di chi non ha mai avuto la fortuna di vederlo giocare.
Tornando al mio impegno, alla mia promessa, un anno fa, in occasione del settantesimo anniversario dalla tragedia di Superga, dopo essere stato invitato dall’amico Marco Lanza all’inaugurazione della mostra sulla storia di Aldo e Dino Ballarin organizzata a Chioggia nel mese di maggio, non ho potuto fare a meno di coinvolgere tre grandi tifosi e ricordare a modo mio gli Invincibili.

MARIO CARACCIO - MESOLA
Basta un post su Facebook del figlio Sandro per innamorarmi subito di papà Mario. Da 71 anni, ogni anno, omaggia a Mesola il Grande Torino. Di cognome fa Caraccio come il mio amico Sebastiano. Un messaggio e scopro che Mario è proprio suo padre. Nasce così la mia voglia di intervistarlo. Lo fa Sebastiano per me, ma la promessa è quella di andarlo a conoscere quanto prima di persona il “Grande Mario”.
D. Come è nata la sua passione per il Grande Torino?
«All'età di 10 anni, finita la 2^ Seconda Guerra Mondiale, ascoltando la RADIO, finalmente libera, la Domenica pomeriggio, con il commento di Nicolò Carosio, seguivo le gesta di quello che sarebbe diventato IL GRANDE TORINO. Eravamo un gruppo di quattro amici, due nati nel 1933 e due nel 1935, di questi uno ero tifoso del BOLOGNA e tre del TORO. Oltre alla RADIO potevo seguire i miei Eroi di bambino leggendo un settimanale chiamato CALCIO ILLUSTRATO, che ancora conservo nella soffitta di casa mia; per acquistarlo andavo a raccogliere ossa di maiale, per fabbricare la colla, stracci, vetro e canne palustri, che servivano a realizzare le scope utilizzate negli Ospedali dell'epoca. In quel periodo c'erano molti che dichiaravano di tifare per il Torino, ma solo pochi ,dopo la Tragedia di Superga, hanno mantenuto la fede granata; gli altri hanno cambiato bandiera o per la Squadra di Venaria oppure per le milanesi».

D. Che ricordo ha di quel 4 maggio 1949?
«Stavo lavorando come garzone in una bottega da falegname e sono venuti ad informarci dello sciagurato evento. Abbiamo abbandonato gli arnesi e siamo corsi a casa per ascoltare i racconti alla radio. Sono scoppiato a piangere, soprattutto durante la radiocronaca dei funerali, che ho ascoltato con i colleghi sul posto di lavoro da un apparecchio radiofonico».
D. Il Grande Torino e la tragedia di Superga è un avvenimento indelebile ancora adesso dopo 71 anni... Come si spiega secondo lei?
«Questa disgrazia ha marchiato per sempre chi tifava con fede autentica per il Torino. Ho cercato di trasmettere - e ci sono riuscito! - l'amore per la squadra granata prima ai miei figli e poi ai nipoti. Purtroppo non ho avuto il piacere di veder giocare gli Invincibili. Per assistere alla mia prima partita del Torino allo Stadio Filadelfia, ho dovuto attendere il 1956 (Torino vs Milan terminata 1-1), perché mi ero trasferito nel vercellese per lavoro».
D. Alla radio Nicolò Carosio raccontava le gesta di quei campioni. Per un ragazzo di quegli anni quali erano le emozioni che scaturivano
«Il giornalista era in grado di raccontare quanto accadeva sul campo di gioco in modo talmente avvincente che mi sembrava di essere allo Stadio ad assistere all'incontro e non a chilometri di distanza».

D. Ha qualche aneddoto da raccontare?
«Dopo un mese dalla disgrazia, alcuni Dirigenti del Mesola F.C. e i Giocatori ritornati dalla Guerra decisero di far celebrare una Messa nella locale Chiesa in suffragio dei Caduti. Al termine abbiamo sfilato in corteo fino al porticato della Piazza del Castello Estense di Mesola, per deporre una lapide, sul retro della quale è stata inserita una pergamena con le firme di tutti gli sportivi locali. Da allora, in occasione della Festa dei Defunti e in occasione dell’anniversario della disgrazia il 4 Maggio, espongo la BANDIERA e porto ROSE ROSSE e BIANCHE, per commemorare gli “Invincibili”. Parecchi bambini avevano deciso di farsi tingere di rosso scuro le maglie di lana bianche a maniche lunghe per emulare i mitici Campioni. Giocavamo a calcio con un pallone fatto di stracci o con la carta dei sacchi di cemento avvolto dallo spago, che si utilizzava per insaccare i salami. Negli anni '80 è stato restaurato il tetto del porticato di piazza Castello, quindi è stata tolta la lapide in modo che fosse posizionata in altro luogo, ma GRAZIE alla provvidenziale "soffiata" del Capo della Polizia locale di allora, Adriano Camattari, mi sono attivato per far sì che la lapide rimanesse nel suo posto originario».

D. Aldo e Dino Ballarin come venivano raccontati?
Aldo all'epoca veniva marchiato come terzino, ma era in grado sia di difendere, ma anche di offendere le squadre avversarie, pertanto era un precursore dell'attuale fluidificante. Era conosciuto da tutti come uno tosto, che rispecchiava appieno le sue origini "ciozote". Nella sacra formazione era il secondo ad essere nominato; prima di MAROSO e dopo BACIGALUPO. Dino ricopriva il ruolo di terzo portiere, alle spalle di Valerio Bacigalupo e Renato Gandolfi. Non avrebbe dovuto prendere parte alla trasferta di Lisbona, ma il destino li ha uniti per l'eternità».

RENZO SARTI – ADRIA
Un grande amico, un vulcano, un istrione, Renzo Sarti, in Polesine non ha bisogno di tante presentazioni perché è conosciutissimo soprattutto ad Adria dove vive e dove, galvanizzato da quell’entusiasmo contagioso che lo contraddistingue sempre in tutto quello che fa, un anno fa ha organizzato al teatro Ferrini, insieme a champ Sergio Sottovia, con la collaborazione di Nicoletta Perini & Davide Bovolenta, una serata indimenticabile tutta dedicata al Grande Torino e ad Aldo e Dino Ballarin in particolare.
D. Il Grande Torino e la tragedia di Superga. Tu non eri ancora nato naturalmente, come la maggior parte di noi. Eppure è un avvenimento indelebile ancora adesso dopo 71 anni... Come si spiega secondo te?
«Quando ancora bambino mio papà Giorgio mi raccontò quello che successe al Grande Torino ma, soprattutto, chi fosse il Grande Torino, dopo pochi minuti sapevo già la formazione a memoria. Ho raccontato la stessa storia a mio figlio, mia figlia e a tanti ragazzini, anche non appassionati di calcio, tutti rimangono stupiti e considerano i ragazzi del Grande Torino degli eroi immortali e invincibili. Ecco perché é un avvenimento indelebile ancora adesso anche dopo 71 anni».

D. Da Adriese e grande tifoso della squadra della tua città che effetto ti fa sapere che i fratelli Ballarin fanno parte della storia calcistica dell'Adriese
«L’Adriese e’ nata nello stesso anno del Grande Torino e ha gli stessi colori sociali, ha avuto tra le proprie file Aldo e Dino Ballarin. Provo emozioni fortissime quando penso a tutti questi legami che ha l’Adriese con gli “Invincibili”. Consiglio vivamente, a tutti i tifosi dell’Adriese, di andare a Chioggia a vedere la mostra e soffermarsi sull’angolo dedicato all’Adriese...da pelle d’oca.
D. La presentazione della mostra ha emozionato tutti.... Che valore ha per te ricordare questi campioni per Chioggia e per il Polesine?
«La presentazione della mostra ha trasmesso emozioni fortissime a tutti i presenti ricordare questi campioni ha un valore enorme per tutti gli amanti del calcio e non solo, per il Polesine, per Chioggia e per tutto il mondo sportivo».

D. Mi piacerebbe che raccontassi il famoso aneddoto della radiocronaca con formazione grande Torino. Perché hai scelto proprio quella formazione?
«Circa 10 anni fa l’Adriese giocava nel campionato di Eccellenza in trasferta, mi sembra a Lugagnano (Vr) e io facevo le radiocronache per Deltaradio. Prima della partita mi sono recato in segreteria per avere una copia delle formazioni. Il segretario o chi per esso mi ha risposto che non avevano la fotocopiatrice e dovevo scriverle a mano. Io non ho mai scritto nulla e sono sempre andato in diretta come si dice in gergo “a braccio”, ho risposto che mi arrangiavo. Quando la radio mi chiamo’ all’inizio del match dissi senza alcun problema la formazione dell’Adriese in quanto conoscevo i giocatori uno per uno. Quando dovetti scandire la formazione veronese e non avendo la distinta non esitai un attimo e… dissi la formazione del Grande Torino. Dopo pochi minuti tanti tifosi del Torino telefonarono in radio emozionati per aver ricordato gli “Invincibili”, addirittura, il Gazzettino, il giorno dopo, fece anche un bellissimo articolo firmato da Guido Fraccon. Quando facevo le dirette per Delta Radio, il mio desiderio piu’ grande, dopo i saluti iniziali, era quello di scandire la formazione del Grande Torino all’inizio della radiocronaca e quel giorno realizzai il sogno...perche’ proprio la formazione del Grande Torino? E quale altra avrei dovuto dire?»

GIAN LUCA “JUNIOR” SIVIERO
Altro amico, con Gian Luca quante partitelle abbiamo fatto in campo dai Frati a Taglio di Po. Lui era più grande di qualche anno e la sua particolarità era essere tifoso del Torino. Tant’è che il tutti da sempre lo conoscono più per Junior che per Siviero. La sua passione granata, in mezzo ad un manipolo di juventini, milanisti e interisti, l’ha sempre espressa con convinzione, mai con esasperata insistenza. E quando poteva la sua maglia granata lo distingueva da tutti in mezzo a quel polverone di sabbia dai Frati sollevato da mille corse di ragazzini dietro ad un pallone. Ricordi di gioventù. Virtus, Tagliolese e poi Ausonia, il suo ruolo era attaccante. Per un paio di anni Gian Luca è stato anche iscritto al Toro Club di Rivoli con il quale ha condiviso moltissime emozioni.
D. Come nasce la tua passione per il Toro?
«A Torino ci sono nato e quando nel ‘76 il Toro ha vinto lo scudetto sono rimasto stregato da questa squadra. Avevo 8 anni, quattro anni dopo, con la mia famiglia abbiamo lasciato la Mole per arrivare a Taglio di Po, paese natale dei miei genitori.
D. Del Grande Torino, avrai sentito solo parlare, eppure il suo ricordo per tanti è rimasto indelebile
«Quella tragedia, raccontatami dalla gente più anziana di me mi ha sempre emozionato. Racconta la storia di una squadra fatta di grandi campioni e la sua storia è inevitabile susciti ancora tanto interesse».

Gli invincibili li chiamavano. Fortissimi… Solo il destino li ha fermati. Sei mai stato a Superga?
«Si ci sono stato un paio di volte ed è sempre è una grandissima emozione visitare quel posto».
Il tuo campione preferito?
«E’ ovvio, lui: Leovegildo Lins da Gama Júnior campione brasiliano ricordato in Italia per la militanza nel Torino di Radice e nel Pescara di Galeone negli anni ‘80».
Quale campione del Grande Torino, invece, ti piacerebbe poter vedere giocare?
«Anche qui non ho dubbi: il capitano Valentino Mazzola».

EXTRATIME by SS/ In cover la certificazione che il ricordo del Grande Torino è tuttora religiosamente intatto, tra foto e vasi floreali decorati.
Per quella mitica squadra di ‘Invincibili’ che vi proponiamo in team Grande Torino con a dx il DT Erno Erbstein ( un cognome ‘magiarizzato’ , altrimenti, come ha precisato sua figlia Susanna, sarebbe finito in ‘er’ come si usava nell’Impero austro-ungarico).
Una della tante confidenze segnalate da sua figlia Susanna ( eccola in kit sia da giovane che matura in studio intervistata da Sky in#Buffaracconta ), come quando ha parlato della ‘Scuola danubiana del calcio’ ( erano diversi allora gli allenatori ungheresi in Italia) .
Oltre che del rapporto straordinario che c’era col presidente Novo anche quando non poteva restare a Torino a causa delle leggi razziali, tant’è prima che scoppiasse la guerra Erno Erbstein ha allenato il Torino 1938/39 , poi non potendolo più fare è strato sempre in contatto ( andava a visionare i giocatori , come ha fatto con Valentino Mazzola a Venezia, segnalandolo al presidente Novo.
Per quanto riguarda Aldo Ballarin alla Triestina, dico solo che … Erno Erbstein aveva giocato lì vicino a Fiume e per il Torino ha visionato diversi giocatori nel Triveneto.

D’altra parte Erno Erbstein , oltre che a Torino aveva già fatto benissimo a Cagliari nel 1931/32 ( tanto che lo hanno inserito nella ‘Hall of Fame’ ) , poi nella Lucchese 1933/34 dove ha implementato il suo palmares da winner in Serie B nella Lucchese 1935/36.
Da Direttore Tecnico stava vincendo appunto nel Torino 1948/49 quando poi è successo la tragedia di Superga e al Grande è stato comunque assegnato lo scudetto, anche se poi ha giocato con la squadra giovanile ( come hanno fatto anche tante altre squadre quando hanno incontrato i granata).
Di quella tragedia di quei campioni vi proponiamo la cartolina commemorativa della tragedia di Superga, con tutti i nomi dei ‘Gloriosi Campioni del Torino ’ attorno alla Basilica di Superga.
A questo punto, passiamo specificatamente ad onorare i fratelli Aldo e Dino Ballarin proponendoli in foto e nelle mostre ed incontri promossi a Chioggia dai loro nipoti Nicoletta Perini e Davide Bovolenta, con al microfono come conduttore il giornalista Marco Lanza che intervista Maria Rita e Antonio , figli del mitico Aldo.
Mostre tutte interessanti , tant’è che vi propongo in poker da sx Emiliano Milani, Marco Lanza, Sergio Sottovia, Renzo Sarti, perché ci siamo incontrati in più occasioni.

In mostre speciali, come quella andata in scena quest’anno a febbraio 2020 a Vicenza, da dove vi propongo in foto Nicoletta Perini & Davide Bovolenta prima insieme a Mimmo Di Carlo mister del Vicenza, e poi in poker con Renzo Sarti e Alessandro Santagiuliana, figlio del giocatore vicentino che ha giocato con Aldo Ballarin a Torino, ma ha deciso di tornare a Vicenza per combinare sport e lavoro ( salvandosi così dalla tragedia di Superga …un anno prima).
Una tragedia , quella di Superga, che ha reso indimenticabili quel Grande Torino ‘invincibile’ , come dimostra la passione di Mario Caraccio a Mesola dove ha fatto mettere una ‘lapide commemorativa’ , che onora ogni 4 maggio con fiori e bandiere in ricordo di quei Campioni passati dalla storia alla leggenda.
Come dimostra anche il kit che vi propongo in foto con Pablito Rossi (il ‘Campione del mondo ‘ ha giovato nelle giovanili del Torino insieme al polesano Dal Fiume) che mostra la maglia granata del Chioggia /Centenario con sfondo mostra Fratelli Aldo e Dino Ballarin
Una squadra , quella del Grande Torino, che è stata onorata anche ad Adria da Renzo Sarti che ha organizzato al Teatro Ferrini un ‘evento straordinario’ con la presenza di tutti i familiari di Aldo e Dino Ballarin ( che vedete su palco intervistati dal sottoscritto) , presenti i noti assessori di Chioggia e Adria e del sindaco Omar Barbierato.
A questo punto certifichiamo la passione granata di Gian Luca Siviero per il Grande Torino, mostrandolo con tanto i maglia granata e autenticata dall’autografo di bomber Bellotti ,con relativa dedica. Lui , Gian Luca Siviero che proponiamo anche in foto-squadra con l’Ausonia di Taglio di Po dov’era soprannominato ‘Junior’ in onore del suo idolo, mentre per la sua ‘fede’ granata lo proponiamo in visita al Toro Club di Rivoli, sia davanti allo ‘striscione’ che insieme goliardicamente con i fan piemontesi.

Concludendo il nostro viaggio in fotogallery riproponiamo il tandem Nicoletta Perini & Davide Bovolenta insieme a loro figlio Luca e a ‘Pablito ‘Mundial Rossi.
Mentre dulcis in fundo rendiamo onore ancora al Grande Torino , riproponendo tutto l’amore che c’è stato in una delle tante mostre che hanno voluto ricordare ( con cimeli, foto, maglie, scarpe…) i fratelli Aldo e Dino Ballarin e quegli …Invincibili & Immortali giocatori granata.
Emiliano Milani & Sergio Sottovia
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