Il Po e la Guerra. E i tedeschi che scappano dalla Bassa Reggiana. Lo spiega ”Alba sul Po – La mia terra” , il Libro Story by Serafino Prati. Dalla sua giovinezza alla sua “Italia che verrà”


La Gente del Po, quello che nasce dal Monviso e scende fino al Delta polesano/ferrarese e nel Mare Adriatico. E Serafino Prati la conosce ‘dal di dentro’ , sopra tutto quella della Bassa Reggiana, dove prima è stato partigiano e poi sindaco. E io ho avuto la fortuna di farmi raccontare alcune coso di Lui, da alcuni suoi compaesano ora Made in Polesine.
Precisamente di Polesella (Vigilio Raboni & Family Magistrato del Po), gli stessi che mi parlano di Gualtieri e di Ligabue ( dei suoi dipinti, dei suoi ‘colpi di testa’ e dei suoi quadri bruciati)  perché l’hanno conosciuto direttamente, anzi entrambi. E che mi hanno dato da leggere alcuni libri che parlano di …entrambi.
Così in parallelo col mondo polesano, partiamo da questa pagina di Serafino Prati che ci racconta IL PO cosa ha fatto nella fase finale della Secvonda Guerra Mondiale e che poi , dalla prossima puntata ci parlerà della ALLUVIONE DEL 1951, ma quella che è avvenuta per “sormonto del Crostolo” sempre là nella Bassa Reggiana. Perciò spazio al nostro reggiano, attraverso le sue pagine storiche che vi proponiamo.

LIBRO STORY/ Alba sul Po – La mia terra- by Serafino Prati / (Edizioni Tip. Riunite Donati Spa – Parma, 15 dicembre 1963)

<<Nel primo capitolo ci sono tre titoli. Il primo è GIOVINEZZA, il secondo è “IL BATTESIMO DEL MANGANELLO” il terzo titolo è “EMIGRAZIONE”.
Poi il racconto di Serafino Prati si snoda, senza titoli particolari, fino al CAPITOLO VIII.

Una storia ‘personale’ dentro la storia dell’Italia, Ambientata dove e da quando?
Eloquente l’incipit di pag. 31 quando ‘sotto il titolo EMIGRAZIONE c’è questo inizio-racconto:<< Il 24 ottobre 1924, senza salutare mio padre che lavorava fuori paese, presi la via dell’esilio interno. Non sapevo ancora cosa mi aspettasse nel paese dove andavo. Andai a Collegno>.
E spiegava a seguire:<< Collegno è un grosso, industre paese che dista otto chilometri da Torino, è bagnato dalle acque del torrente Dora, che alimentano di forza motrice diverse industrie tessili fiorenti. Una famiglia emigrata di quel paese da diversi anni, mi ospitò. Ad essa serbo nel profondo del cuore tanta gratitudine, quanta me ne concede il ricordo di quei giorni lontani.
Se non avessi avuto la costante fraterna solidarietà della famiglia Landini, non posso immaginare quanto più desolata sarebbe stata la mia esistenza. Avevo trovato un’altra famiglia….>> 


PRESENTAZIONE DI SERAFINO PRATI/
<<Chiedo venia a chi legge questo libro, se in esso non trova quanto di meglio anela provare l’animo suo, le sue aspirazioni spirituali, i suoi gusti ideali di lettore appassionato.
Senza intenzioni letterarie ho cercato di narrare un lungo periodo della mia vita, perché ciò si inquadra in un ambiente, espressione di una epoca sconosciuta alle nuove generazioni le quali vivono all’alba di una giornata che sarà, almeno spero, più radiosa e promettente di quella tramontata ieri, in un triste bagno di sangue.
E con questo augurio, dedico questo documento di sofferenze e di speranze, a mio figlio e alla mia famiglia, agli amici che mi hanno spinto a scrivere, a tutti coloro che lottano con entusiasmo su ogni orizzonte, perché sia estirpata la miseria ovunque si trova, prevalga sull’ombra del male la luce del bene, non si spenga mai la fiaccola della bontà, si spanda sempre più alto e più dolce l’umano canto dell’amore.>>  

PREFAZIONE DEL PROF. RENZO BARAZZONI/

<<Fra le innumerevoli testimonianze dell’epoca che corre dal primo dopoguerra alla Liberazione questa di serafino Prati si raccomanda per la sua singolarità: si tratta infatti dell’autobiografia di un bracciante, oggi Sindaco di un Comune della “bassa” reggiana, nato e cresciuto in un ambiente di cronica miseria, resa ancor più avvilente dall’oppressione politica che il fascismo fece pesare soprattutto suoi ceti più umili, per punirli di aver ubbidito al richiamo di una dottrina emancipatrice.
E appunto il Prati ripercorre l’umile sua odissea di un ragazzo senza giovinezza e senza istruzione, di autodidatta appassionato e irregolare, di pioniere socialista e poi di perseguitato tristemente randagio, proponendo nelle sue pagine un “campione” di esperienze amare e sofferte, che furono comuni a tanta parte degli uomini della sua generazione, a tutti coloro che”hanno sete e fame di giustizia” per usare una delle espressioni che ricorrono frequenti nel discorso del Prati, così spesso memore della evangelica predicazione di Camillo Prampolini.
M ail libro è singolare anche per l’ingenua immediatezza di uno stile che, se può apparire un arcaico allo smagato lettore moderno, d’0altra parte rivela senza schermi l’umanità dell’autore, ci aiuta a ritrovare la temperie di un romanticismo socialista che fu nobilmente parte della storia del popolo italiano.>>


( PAGINE 134 e 135)/ DAL LIBRO “ALBA SUL PO- La mia terra” / di SERAFINO PRATI
/ << …la saldatura era avvenuta, gli americani verso Parma, c’era altra terra da liberare, bisognava fare presto perché i tedeschi restassero nella sacca fra il Po e la via Emilia. Ci pensassero i partigiani a mantenere l’ordine, se la sbrigassero loro, il C.L.N. aveva il suo compito da svolgere, al democrazia una organizzazione d’assestare, tante ferite da rimarginare.
Ci arrangiassimo a trovare il sistema migliore per rastrellare i tedeschi sparpagliati nei boschi golenali.
Volevano, le ultime code dei tedeschi, guadagnare tempo per poi, col favore delle tenebre, oltrepassare il Po. Illusione, vana illusione, provocata dalla paura di restare nelle mani dei partigiani, stimolata  dalla speranza di guadagnare la momentanea libertà in simili casi della vita.
Ma quella libertà che essi cercavano  di raggiungere, era oltre un vasto specchio d’acqua rotta soltanto da qualche isolotto sabbioso, da qualche cespuglio ceduo dentro al quale non era possibile trovare un sicuro nascondiglio.
L’avida smania di passare a tutti i costi il Po, di passare di là facilmente come quando si passa sulla terra ferma, toglieva ai fuggiaschi il senso della valutazione del pericolo a cui andavano incontro incoscientemente. Osavano tutto pur di sfuggire alla cattura. Le anime pietose del paese che conoscevano le trappole vorticose delle acque del Po, si meravigliavano della cocciutaggine di questi soldati.
Poverini, dicevano, per cercare di andare verso casa vanno verso la morte, sicuramente quasi tutti si annegano, essi non sanno come sia infida la corrente del Po. Ed era vero, le acque del Po che sembravano placide e bonariamente morbide, pigramente indolenti come la nebbia che le accompagna, nascondono i pericoli di morte che non si vedono ma sono sempre pronti a ghermire chi a loro si accosta. Con ogni mezzo, razziato nella fuga,
si buttavano sulle onde del Po, così come niente fosse. E le acque si aprivano all’urto del corpo pesante, e i copertoni delle biciclette avvolti attorno al dorso non contavano niente. L’acqua melmosa pesante, muta e fredda, li accoglieva, li lasciava annaspare per qualche tratto e poi li trascinava al fondo con implacabile volontà. E tornavano a galla ormai privi di vita come tanti pezzi di sughero, roteando sospinti da un vortice e l’altro, e qualcuno restava agganciato ai cespugli dei salici in attesa che qualche anima pietosa lo raccogliesse per posarlo sulla sponda nuda.
Morivano miseramente annegati gli uni  dopo gli altri, come morendo stava il razziale belluino istinto della loro grande Germania. Erano tanti, più di quanti si possa immaginare; galleggiavano andando verso il mare colla faccia rivolta al cielo che non vedevano più splendere di gloria, di svastiche uncinate svolazzanti issate sulle aste alte torri delle capitali conquistate.
Qua e là il secco rumore di qualche fucilata rompeva lo spettrale silenzio della morte galleggiante, lo stupore di sollievo e di gioia dei superstiti, di quella lunga catena di lutti, di delusioni per i vinti, che erano convinti di vincere e per non dimenticarlo lo avevano scritto a caratteri di scatola contro le facciate delle case e delle Chiese.
Allo scalo merci della stazione ferroviaria la popolazione aveva dato l’assalto alle riserve di grano che ivi erano immagazzinate. Era quel grano requisito che i Mongoli intendevano far traghettare nel mantovano. Là di grano, sciolto o insaccato ce n’era per tutti. Centinaia di quintali pronti per essere trasformati in pane, in pane bianco, di quello che da mesi non si mangiava più. Costava soltanto la fatica di andarlo a prendere, i più svelti, i più forti ne prendevano di più. Al diavolo il mercato nero, l’astinenza, la razione, vogliamo fare indigestione di pane bianco, sentire ancora il suo sapore, annusare il suo profumo, sognato per tante notti inutilmente, così gridava la popolazione mentre con carriole, biroccini e qualsiasi altro mezzo portava alle proprie case tutto quel ben di Dio, senza pagarlo un soldo.>>


EXTRATIME by SS/ Come unica foto mettiamo in cover la foto del libro da cui abbiamo estrapolato le pagine. Appunto “ALBA SUL PO” di Serafino Prati. Come prologo alla prossima puntata sulla Grande Alluvione del 1951, quella del Polesine ma anche della Bassa Reggiana, quella che Serafino Prati definisce giustamente “ La mia terra”.




Sergio Sottovia
www.polesinesport.it