Il Romanzo de “La Boje”, scritto da Antonella Bertoli/ Vita e storia di quando nel 1883 a Pezzoli, allora frazione di Adria, scoppiò in Val Padana la ‘rivolta sociale’ dei braccianti e il primo sciopero in Italia contro il Padronato Agrario


Ci sono dei ‘fatti storici’ che sono accaduti nei piccoli paesi e che sono poi diventati ‘fatti sociali’ a livello nazionale. Questo è successo con “La Boje”, il fenomeno scoppiato a partire dal 1882 a Pezzoli, allora come anche Lama frazioni del Comune di Adria, e che ha prodotto la ‘rivolta sociale’ dei braccianti e il primo sciopero post unitario in Italia contro il Padronato Agrario.
Una ‘ribellione’ che era ormai nella logica dei tempi, visto che anche in Emilia Romagna la problematica ( ma potremmo chiamarla ‘miseria’ ) relativa alle condizioni difficili dei ‘braccianti’ sottopagati dal Padronato Agrario ha fatto esplodere una vera e propria ‘rivolta sociale’ sviluppatasi attorno al primo sciopero post Unità d’Italia che ha costretto il primo ministro De Petris ad emanare leggi  più’ giuste’ per quella povera gente che , in Polesine come nel Veneto, sono state anche costrette alla grande emigrazione verso i paesi del Sud America.
Fatta questa premessa, viglio ricordare che il libro “Il Romanzo de “la Boje” me l’ha regalato una compagna di scuola della ‘villadosana’ Antonella Bertoli, oltre al fatto che conosco suo marito Ivan, nato a San Paolo in Brasile come mio trisnonno e come Thiago Motta  e altri sportivi di cui ho raccontato la loro storia qui su www.polesinesport.it ( vedi  l’altopolesano Arnaldo Porta primo calciatore oriundo in Italia….) .

E allora visto che “La Boje” , come fenomeno sociale è stato ‘riscoperto’ soltanto recentemente in epoca internet ( sulla GE 20 della De Agostini non se ne parla…), era giusto ‘promuovere’ il LIBRO scritto dalla Bertoli con focus essenziale sul fenomeno raccontato nel suo “Romanzo” .

Come? In modo più autorevole di quanto non sia il sottoscritto; perciò vi propongo a seguire, oltre alla Scheda biografica dell’autrice e incipit del Libro, soprattutto la “Prefazione”  firma di Antonio Lodo ( professore e storico oltre che già sindaco di Adria) , quindi la “Presentazione” della stessa autrice Antonella Bertoli, infine in Appendice il significativo INDICE con tutti i Titoli dei Capitoli del Libro stesso.
Rimandandovi in calce al nostro tradizionale Extratime per ulteriori commenti e considerazioni personali, su quei piccoli paesi, le osterie di allora, e la miseria dei braccianti e della gente del Polesine , su donne e analfabetismo con alto tasso di analfabetismo; tutto agganciate anche alla fotogallery di un’epoca che poi il Bacchelli racconterà sul “Mulino del Po” sempre tra Polesine e Val Padana quando la miseria faceva ancora ’a pugni’ tra pane, tassa sul macinato e povera gente bisognosa di ‘socialità e di diritti equi e giusti.

 

 

 

IL ROMANZO DE “LA BOJE” - ANTEPRIMA NEWS - ANTONELLA BERTOLI – BIOGRAFIA
E’ nata in provincia di Rovigo dove vive. Sposata, ha una figlia e una nipotina. Ha insegnato lingua italiana in vari ordini di scuola, dedicandosi poi alla politica per molti anni, ricoprendo diversi incarichi a vari livelli. Tiene conferenze su vari temi e si è dedicata alla ricerca della condizione delle donne e in Italia e in Polesine, raccontandone le vicende in una Mostra esposta in molte città.
Ama viaggiare , dipingere, leggere, scrivere. “La Boje” è il suo secondo romanzo dopo “ Bianca, una storia quasi vera”. Ha pubblicato anche una raccolta di testi teatrali “Se come il viso si mostrasse il core” che ha messo in scena in qualità di regista con Compagnie diverse, e una silloge poetica dal titolo “Emozioni per l’uso”.

TITOLO DEL LIBRO: IL ROMANZO DE “LA BOJE” ( ECCO il breve testo ‘proposto’ nel verso della ‘copertina’) /
<< 17 settembre 1882: trasportato dalla furia delle acque fangose dell’Adige il corpicino della piccola Brunetta venne raccolto dalla barca di due cannaroli. Sugli argini la povera gente piangeva e guardava desolata il disastro. Nient’altro che acqua. Niente raccolto, niente lavoro. Nemmeno quella misera paga che il padrone dava per la mietitura e la zapponatura del riso sarebbe toccato loro in quell’anno terribile. La fame era tanta. Le malattie portavano nella fossa bambini, anziani, donne e uomini: tubercolosi, gastroenterite, pellagra, colera, tifo.
I poveri non potevano nemmeno più andare a spigolare e a raccogliere erbe, pescare, tagliare alberi per gli zoccoli. Vivevano in case di canna e fango. La rabbia cominciò a serpeggiare a Pezzoli, tra gli iscritti alla Società Democratica e nell’osteria dell’Adele raggiunse il colmo.
“La Boje” divenne il grido di battaglia dei braccianti polesani che si ribellarono ai soprusi, alla fame, all’ingiustizia, agli stupri del Padronato Agrario. >>

 

 

 

IL ROMANZO DE “LA BOJE” -  PREFAZIONE ( di Antonio Lodo)
Tema di fondo di questo romanzo, come da titolo, è il fenomeno de “la Boje”.
C’è qualche ragione, per ritornare ancora su queste vicende.
Intanto, è un momento ( non è l’unico, nella sua storia) in cui il Polesine vive in prima fila, con un protagonismo indiscutibile, un nodo fondamentale della questione sociale di fine Ottocento, che è questione tutt’insieme economica, politica e civile, in cui un nesso unico stringe e le generali condizioni di vita di grandissima parte della popolazione; ed è utile ribadirlo, credo, pe runa forma di consapevolezza dei polesani di oggi, e di domani.
E un’altra buona ragione è costituita dalla presenza tutt’altro che marginale delle donne, se anche la documentazione storica quasi esclusivamente “al maschile” non registra che occasionalmente; una presenza nondimeno forte: voce di basilare esigenza vitale, vien da dire.
Bertoli, che alla questione femminile dedica da tempo particolare e giustificata attenzione, ha inteso anche in questo modo – dopo aver ricavato tempo fa una rappresentazione teatrale, da quei fatti – evidenziare quella presenza, quelle voci pressoché assenti nelle carte cronachistiche e storiche ma certo ben vive, fondamentali, dei bisogni dei desideri delle ragioni della vita quotidiana di tanti e tanti polesani di quel tempo.

E lo ha fatto , stavolta, ricorrendo a una formula narrativa che definisce appunto “romanzo” , precisando scrupolosamente anche con riferimenti bibliografici la componente storico-documentaria e la componente di invenzione, le parole scritte e perciò documentate e le parole di immaginazione dei vari personaggi, storici e inventati.
Il suo racconto, vediamo, alterna varie “scene” in cui sono intercalati momenti e situazioni diversi: dai luoghi , formali e occasionali, delle discussioni e decisioni politiche ai luoghi e alle discussioni e racconti della vita reale, concreta, del vissuto quotidiano; in tal modo le figure femminili  -su tutte “l’Adele” proprietaria dell’osteria di Pezzoli, ma poi anche altre inventate come la “Nana” o la “Mora Mammana”, per esempio – prendono campo alla stregua di co-protagoniste, alla pari delle figure maschili, dalle più importanti storicamente a quelle, se si suol dire, più anonime ma pur significative per dare qualche segno ( e parola) rivelatore del “sentire” , del vivere di quella gente ( se pur lontana, “nostra” gente).
Come proprio l’esclamazione di Torquato, a Pezzoli nel gennaio 1883, de “La Boje!” , diventata il motto e poi la denominazione del complessivo momento che in larga scala parte dalla Val Padana animò agitazioni e scioperi nutrendo le rivendicazioni di aspirazioni e di speranze diffuse dagli ideali socialisti di una società più giusta, più libera.

 

 

 

 

Nella visuale “al femminile” così adottata, non è secondario infatti il rievocare – sia nella loro effettiva realtà sia nella loro verosimiglianza – esperienze che hanno un valore esemplare, quali le rivendicazioni del pane per i figli, o l’umiliazione violenta a opera del padrone della giovane Rosina, il cui stupro assume, perfino nel duplice tragico “fato” che in qualche modo li accomuna, una valenza simbolica rivelatrice di un rapporto di prevaricazione che è tutt’insieme sociale, culturale, personale; o, ancora, la dura, rabbiosa protesta con cui Adele impreca a un’ingiustizia addirittura di ordine, e volontà, superiore.

La presenza, poi, di canzoni e filastrocche popolari, dello stesso inno dell’”Internazionale”, riecheggia – diremmo per coerenza – i suoni, le voci in cui la quotidianità anche tenera, la precarietà e la sofferenza, e insieme la protesta e la rivendicazione, trovano allora le loro vie di espressione magari pure nell’impasto di cruda realtà e di superstiziose credenze e suggestioni che sono affidate alla scena del “filò”.
E vien da pensare che questo racconto , nella commistione di vero e inventato, di reale e di immaginazione, sembra assumere in qualche suo modo una funzione simile a quella di un “filò” popolato da quelle figure e vicende così lontane, quasi arcane, e tuttavia tanto reali e vere ( o verosimili).
Se preoccupazione o intento di natura letteraria c’è, nelle pagine di Bertoli, ci appare come quella di raccontare, “romanzare” con senso di realtà – per così dire – in una forma espressiva che si alimenta nel linguaggio di quella realtà così dura e scabra: una durezza di cose, di persone e di fatti, senza rinunciare , in qualche breve momento, a un’espansione di tenerezza come nella tragedia e nel funerale della piccola Brunetta.
Prendendo per altro, in tante pagine, il tono di una narrazione che vuole rievocare e spiegare la storia di una giusta, sacrosanta ribellione che aspira a diventare e viene repressa dall’Ordine del potere costituito, da una forza violenta in tante forme, da quelle sanguinose a quelle di prevaricazione sociale e culturale.
E’ il Polesine che abbiamo alle nostre spalle , è vero; ma non è meno vero che quelle radici hanno intriso, comunque, il Polesine dei nostri padri e delle nostre madri, da cui discendiamo e di cui portiamo in qualche modo i nostri tratti : riconoscerli nella loro storia ci aiuta a conoscerci meglio.

 

 

 

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IL ROMANZO DE “LA BOJE” - PREMESSA ( di Antonella Bertoli )
Ciò che vado raccontando in questo scritto si riferisce ad un fatto storico avvenuto a partire dal 1882 in Polesine e precisamente a Pezzoli che all’epoca dei fatti qui rappresentati faceva parte, insieme a Lama Polesine, del Comune di Adria.
I riferimenti ad Adria sono dovuti anche al fatto che molti dei braccianti, dei lavoratori dei campi e alcuni protagonisti del romanzo risultano appartenenti a quella cittadina, pur essendo nati a Pezzoli.
Sul luogo di origine de “La Boje” – così chiamato per il primo sciopero post unitario del Regno d’Italia – vi sono state alcune diatribe fra gli studiosi, ma alla fine tutti sono convenuti sul fatto che la rivolta sia partita proprio da Pezzoli.
Secondo lo storico Vittorio Tomasin e il diffuso ricordo orale infatti, “il luogo dove avrebbe avuto origine la rivolta è localizzato a Ceregnano, in località Pezzoli. Punto primo di ritrovo un’osteria all’entrata del paese sulla strada che arriva da Ceregnano” . A supporto della tesi di Tomasin c’è il fatto che la parola “la boje” – cioè [essa] bolle riferita alla pentola in ebollizione – fa parte del dialetto veneto/polesano : “La Boje, e de boto la va de fora” ( bolle, e tra poco trabocca).
Nell’800 il territorio della provincia di Rovigo era una zona appartata e marginale, stretta dentro la morsa soffocante dei grandi fiumi, Adige e Po, flagellata dalle alluvioni e dal ristagno delle acque, oppressa da condizioni di vita che povertà e malattie allo stato endemico rendevano quanto mai precarie. La campagna si estendeva fin dove l’occhio poteva arrivare. Dalle strade bianche che correvano lungo i canali e gli scoli orlati dalle canne che il vento faceva frusciare anche quando con le gambe a mollo si cercava di tagliarne il più possibile, si vedeva una terra piatta, disseminata di pietre e sassi, vincolata all’acqua nel bene e nel male.

 

 

 

La difficoltà delle comunicazioni era enorme. A fine ‘800 Rovigo era praticamente priva di vie di transito: basti pensare che il viaggio da Rovigo a Ferrara e da Rovigo a Padova era un’avventura che poteva durare anche due giorni. La gente abitava nei “casoni” e il catasto austriaco attestava che queste abitazioni di paglia e di canne erano la dimora di quasi tutti gli abitanti poveri del Polesine.
La mortalità era alta : causa di morte erano le estati caldissime che bruciavano i raccolti e rendevano gli acquitrini ancora più malsani, contribuendo al diffondersi nelle popolazioni, già di per sé stremate da una povertà degradante di malattie  esiziali, quali la malaria, la pellagra, la tubercolosi, malformazioni ossee e gravissime infezioni dell’apparato respiratorio, che mietevano vittime ad ogni età, ma che facevano sentire il loro peso soprattutto sui bambini. Il tifo (1817) , il colera (a835 e 1849)  e il vaiolo fecero decine e decine di vittime tra il 1841 e il 1870 e un’altra pandemia di colera nel 1885 portò nella fossa molti bambini e anziani.
I poveri consumavano un cibo scarso e di poca sostanza nutritiva: il pame era ottenuto da una percentuale bassissima di farina di frumento miscelata con quella di mais, farina di faceva o di altre leguminose, quando non addirittura di ghiande. La polenta di granoturco, a basso tasso di proteine, era condita a volte solo con delle erbe selvatiche, insipide e spesso amare.
Gli ortaggi potevano essere un complemento importante della dieta del contadino, ma facendo parte della ricchezza padronale dovevano essere sottratti di nascosto e raccolti speso ancora immaturi per sfuggire al controllo del padrone. Rape, erbazzone, bietole, insalate, fagioli e qualche patata erano gli unici vegetali che completavano il pranzo di questa misera gente che sul posto del lavoro consumava esclusivamente un tozzo di pane, a volte duro e ammuffito, quasi mai ottenuto da farine di frumento, mangiato a volte con una pera o una mela. Le uova, la carne di pollo e di maiale, nonostante esistessero alcuni pollai e porcili, erano considerati prodotti di lusso e consumati solo in occasioni particolari o in caso di malattia. Nel Polesine tuttavia i poveri si cibavano quasi esclusivamente di polenta, dato che anche gli animali da cortile erano di proprietà padronale.

 

 

 

Nell’Ottocento la forza-lavoro agricola, al 90% analfabeta, nelle campagne polesane era già on parte significativa una “merce”, occupata com’era solo nel lavoro della mietitura e della zapponatura del riso.
In Polesine la forza-lavoro era reclutata attraverso reti personali o l’opera di mediatori a più livelli, sia fattori e caporali peer conto dei padroni, sia capi-squadra o boari. A fine secolo si delineò una doppia evoluzione, del mercato del lavoro e dell’inasprirsi del conflitto sociale: ciò per l’irrigidimento della discrezionalità padronale, che giunse fino all’importazione di “crumiri” esterni da altri comuni e province, come replica alle velleità di controllo del collocamento da parte del movimento bracciantile.
I braccianti avevano solo alcune occasioni di impiego extra-agricolo: formavano le squadre incaricate di rinforzare le arginature fluviali e pulire o scavare canali soggetti all’autorità dei consorzi di bonifica; oppure partecipare a lavori pubblici finanziati dallo Stato, dalle Province, dai Comuni per la costruzione di ferrovie e strade o accorrevano ai grandi cantieri di bonifica, in provincia o fuori.
Negli anni Ottanta maturò una coscienza collettiva che portò, dopo la rivolta partita nel 1882 grazie all’azione di democratici e radicali e conclusasi col processo di Venezia del 1886, alla formazione di cooperative bracciantili in grado di assumere i lavori pubblici senza la mediazione di un appaltatore. La necessità straordinaria di forza-lavoro per i lavori di sterro e canalizzazione, eccedente al possibilità locali, dovette richiamare costantemente flussi di braccianti da comuni più lontani.
I versi d’apertura del testo della nota canzone degli “scariolanti” ci descrivono manovali che si muovevano dai loro paesi, con attrezzi e carriole, “ a mezzanotte in punto” per raggiungere prima dell’alba le zone di bonifica dopo aver contrattato un lavoro di squadra o alla ricerca di un ingaggio settimanale da parte del caporale.
Appaltatori, ingegneri e direttori dei lavori esercitavano il “nobile mestiere di trovare nei poveri paesi del veneto, ove il prete domina incontrastato questo spregevole bestiame umano, con la lusinga degli 8 o 10 franchi di salario giornaliero”, così i braccianti lavoravano in squadre di cottimo collettivo.

 

 

 

Le leghe bracciantili avrebbero voluto imporre agli agrari il collocamento “di classe” , cioè il monopolio sindacale del reclutamento , gestito con criteri egualitari, con turni rigorosi, anche in considerazione della composizione familiare e con attenzione agli elementi più deboli e alle donne.  Ad esso si affiancava la proposta dell’”imponibile di manodopera”., inizialmente due braccianti per versuro coltivato, da impiegare per lavori di miglioria durante la stagione invernale, quando la disoccupazione dilagava.
Ma al rivoluzione industriale e l’impiego delle macchine in agricoltura e nei lavori pubblici ridusse il bisogno di manodopera e il lavoro già scarso divenne ancora più raro da trovare.
Uomini, cose e paesaggi polesani dovevano anche misurarsi con un’altra grave incombente calamità , anch’essa costantemente presente: le alluvioni.
L’ultima spaventosa rotta dell’Adige  di quel tempo fu quella del 17 settembre 1882. Le sue acque , riversatesi nel Canalbianco incapace di contenerle, si erano ammassate alla Fossa di Polesella e al sostegno di Bosaro.
Fu necessario il taglio della Fossa in più punti per farle defluire verso il mare attraverso la campagna.
Gli abitanti furono costretti a bivaccare sugli argini del PO con il bestiame. Questa rotto portò nel Polesine del secolo scorso una grave desolazione in una terra già provata dalla ricomparsa delle paludi che si protraevano fino al mare. Causa di questa spaventosa situazione era il fatto che tutti i canali esterni per il ricevimento delle acque di bonifica e il loro recapito al mare erano in numero insufficiente.
L’alluvione e la mancanza di cibo e lavoro spinse i lavoratori della terra a ribellarsi alle condizioni disumane in cui erano costretti e organizzarono il più grande sciopero del nord Italia.
Alla fine le adesioni degli scioperanti arriveranno a oltre 40.000. il grido “la boje” , lanciato dai braccianti del Polesine divenne il grido d battaglia di tutti i lavoratori affamati e minati dalla pellagra e si diffuse presto verso il mantovano, il cavarzerano e nell’OltrePo Emiliano.
Il governo era retto dalla Sinistra storica sotto la guida di Agostino Depretis che fu riconfermato anche alle elezioni politiche del 1882 del 29 ottobre ( 1° turno) e del 5 novembre ( ballottaggi) . Queste elezioni si tennero cn una nuova legge elettorale: l’età di accesso al voto fu abbassata da 25 a 21 anni ed il requisito di censo da 40 a 19,8 lire di tasse pagate.

Coloro che avevano superato le tasse delle terza elementare non erano soggetti al requisito di censo. Il risultato fu l’allargamento del suffragio da circa 620.000 a oltre 2 milioni di aventi diritto al voto. In quella tornata elettorale andò a votare il 60,7% degli aventi diritto. Fino ad allora il governo era stato nelle mani della Destra storica composta per lo più da aristocratici, proprietari terrieri , soprattutto lombardi ed emiliani. Sia la Destra che la Sinistra erano tuttavia una piccola parte del popolo.
A quel tempo il suffragio permetteva di votare solo ai maschi, dopo i 25 anni di età, se paganti di una quota annua di 40mila lire: il numero dei votanti in questo modo era di 400.000 persone su 22 milioni, ossia il 2% della popolazione totale, anche se solo la metà di loro andava effettivamente a votare. La Destra e la Sinistra non erano partiti politici, erano gruppi di notabili, di ricchi proprietari terrieri, nobili e borghesi dell’alta società. In seguito alla riforma elettorale si formò il movimento dei Socialisti.

 

 

 

…” la classe politica – disse Ruggiero Bonghi – è bene che non sia campata in aria; voglio dire, è bene che abbia per ogni modo radice ed eserciti azione nel paese. Chi si vuole occupare di politica, non ne deve campare. L’uomo politico deve essere un signore, che è sempre il migliore mestiere, o un professore o un avvocato, o un medico, o un commerciante, o uno scienziato, o un uomo di lettere; e quella classe politica è migliore, che più si trova fornita da ciascuna di queste posizioni sociali in quelle proporzioni d’influenza che ciascheduna ha nel paese. […] Il pericolo maggiore, che sia possibile correre, è in ciò: che dalla vita politica si allontanino con nausea tutti quelli che hanno e che sanno “ …]  A. Silvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente italiana ( 1859 – 1876 ) , Biblioteca di storia toscana moderna e contemporanea. Studi e documenti, vol. I – 1965 ( cit. 19656, p. 75).
Il governo Depretis, interamente composto da ministri scelti fra gli esponenti della Sinistra, fu sostenuto da un’ampia maggioranza di deputati del Parlamento. La Destra si era sgretolata del tutto e si era costituito un forte schieramento liberale a sostegno del governo. Depretis dal 1882 guidò una serie di 8 governi e si vide appoggiato in Parlamento da una maggioranza di parlamentari sempre più ampia. Lo stesso Depretis coniò il termine “trasformismo” per indicare il comportamento dei parlamentari che appoggiano il progetto del governo, nonostante la loro  appartenenza a diversi schieramenti politici. La Sinistra aveva sempre sostenuto al necessità di introdurre in Italia importanti riforme, ma la sua capacità di farle si rivelò modesta e non fu in grado, ad esempio, di porre rimedio alla crisi dell’agricoltura.

A livello europeo l’agricoltura era caduta in profonda crisi tanto da divenire oggetto di studio di una commissione d’inchiesta affidata al senatore Stefano Jacini, che denunciò l’arretratezza dei sistemi di coltivazione, la mancanza di investimenti per le innovazioni, affermando che le condizioni di vita delle popolazioni rurali segnate da profonde malattie erano le stesse registrate fin dal 1861.
Di fronte a questa situazione lo stesso Jacini presentava come unica soluzione l’immigrazione.
Il Governo di Depretis si era posto l’obiettivo di rendere obbligatoria e gratuita la scuola elementare per tutti i cittadini poiché era stato registrato un analfabetismo della popolazione pari all’80%. Nel 1877 era stata introdotta la legge Coppino che rendeva la scuola obbligatoria e gratuita fino al 9 anni di età e prevedeva sanzioni per i genitori che non mandavano i figli a scuola .
In molti luoghi, al Sud e nel Polesine, nelle campagne soprattutto, questa legge non fu applicata.
A differenza di quanto avvenuto sotto il governo della destar storica la Sinistra decise di favorire lo sviluppo industriale che determinò una prima accelerazione dell’industria italiana rallentata poi dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità che danneggiò le classi sociali più povere.

 

 

 

Le altre informazioni politiche presenti in Italia erano: l’Alleanza repubblicana universale, erede delle idee del Mazzini, composta da piccoli e autofinanziati comitati locali dotati di un vertice centrale segreto che, per capacità organizzative, chiarezza di programma e forza propagandistica presentava numerose caratteristiche che in seguito saranno tipiche delle organizzazioni partitiche novecentesche; gli Internazionalisti, che si radicarono soprattutto in Romagna e nelle Marche per arrivare, secondo la polizia, al numero di 155 circoli e sezioni con oltre 32.000 iscritti, anche se, in realtà, questi numeri nascondono la galassia di un associazionismo operaio molto più vasto e diffuso anche nel Basso Veneto; i Radicali, gli Anarchici, i Comunisti di Bakunin, il Fascio e il Movimento cattolico che si liberò dai lacci della Chiesa solo dopo in “non expedit” del 30 luglio 1866, quando il Sant’Ufficio statuì ufficialmente che >>non expedit prohibitionem importat>>.

In questo romanzo molti sono i fatti storici ( gli scontri di Castelguglielmo, Cà Zen e in Corte Papadopoli, le lettere di Pachrazio, gli arresti e le condanne di varie persone)  anche se da me sono stati adattati alla struttura del racconto e alle vicende sono state aggiunte parole, canzoni, storie e personaggi inventati.
Alcuni dei protagonisti sono esistiti veramente, quali Francesco Ortore e sua moglie Santina Donà, l’Adele , Florindo Nordi, Andrea Costa, Luigi Scarmagnan, Nicola Badaloni, Achille Tedeschi, Pasquale Bacchiega, Ermenegildo Baroni, il Prefetto Augusto Mattei, il Delegato di P.S., Maganza, Giobatta campion, Luigi Rossi, Valente Fantato, Pietro Riberto, i Giornalisti del “Pane” e del “Barabao”, i due giornali che erano al fianco della lotta dei braccianti.
Molti altri personaggi sono stati da me inventati e i fatti romanzati per esigenze narrative; gli stessi personaggi la cui esistenza è storicamente documentata sono protagonisti di alcuni fatti mai avvenuti nella realtà ( almeno per quanto ci è dato conoscere) per dare scorrevolezza al romanzo.
I discendenti di quelle persone sono piuttosto in là con gli anni e il ricordo de “La Boje” è rimasto soltanto in alcune storie che gli anziani si raccontano; i giovani non ne conoscono nemmeno l’esistenza.
Ho cercato di ricreare l’ambiente e la miseria di quegli anni lontani per descrivere e comprendere, leggendo i documenti degli Archivi e i libri di altri Autori, perché molti nostri nonni, bisnonni e trisavoli dopo gli scioperi falliti e le condanne subite, nonostante abbiano patito le pene dell’inferno per aver il diritto id vivere e una paga dignitosa per il lavoro che svolgevano, furono sconfitti e siano stati costretti ad emigrare lontano, lasciando in questa terra gli affetti e le loro radici.

 

 

 

IL ROMANZO DE “LA BOJE” - INDICE DEL LIBRO : ( TITOLI dei CAPITOLI nella relativa pagina iniziale)  /
TITOLI DEI CAPITOLI/ Febbraio 1882/ Pezzoli, provincia di Rovigo ( pag. 17) ;  Febbraio 1882/ Sera ( pag. 23); Primavera del 1866/ Adria ( pag. 28); Francesco Ortore ( pag. 34); Trecenta. Marzo 1881 ( pag. 37); Luglio 1882 . Adria. Sede della Società Democratica ( pag. 39); 1882. Inizio di settembre, Adria ( pag. 40);  16 settembre 1882. Pezzoli ore 8, Osteria dell’Adele ( pag. 44); Osteria dell’Adele, stesso giorno ( pag. 45); 17 settembre 1882 ( pag. 46); In barca (pag. 48); Gennaio 1883. Pezzoli, Osteria dell’Adele ( pag. 50); Pezzoli ( pag. 52); Gennaio 1883. Rovigo, Prefettura ( pag. 53); Aprile. Mazzorno di Adria ( pag. 54); Fine maggio. Pezzoli di Adria, Osteria dell’Adele ( pag. 59); Pezzoli, lungo il Canalbianco ( pag. 60); Rovigo. Sede degli Agrari ( pag.64); Pezzoli di Adria, Osteria dell’Adele ( pag. 66); Panchrazio ( pag. 67); Rovigo. Prefettura ( pag. 68) ; Magnolina. Sede della Società Democratica ( pag.69); Maggio 1884. Adria ( pag. 72); La Boje ( pag. 75); Cà Zen di Taglio di Po ( pag. 78); Morte ai siori… ( pag. 80); Domenica 22 Giugno 1884. Castelguglielmo (pag. 82);  Rovigo. Prefettura ( pag. 87); Polesien , 1884 ( pag. 89) ; Carcere di Rovigo ( pag. 90) ; Violenza e scontri ( pag. 92); L’intervento del Governo ( pag.95); La zerla ( pag. 96); La miseria dopo gli arresti ( ( pag. 97); Maggio 1886. Lungo le rive del Canalbianco ( pag. 98); Maggio 1886. Osteria dell’Adele ( pag. 101); Epilogo. Cominciò l’esodo dei braccianti verso altre terre… ( pag. 104); Egidio, dal Polesine all’Argentina ( pag. 105); Menego, il Baule Volante ( pag. 109); 1882-1886: La Boje recitata e cantata.

 

 

 

IL ROMANZO DE “LA BOJE” - RINGRAZIAMENTI FINALI ( da parte di Antonella Bertoli)
<< Grazie a mio marito che mi ha spinto a scrivere. Grazie a mio figlio Enrico, primo lettore, suggeritore e correttore in corso d’opera, per i consigli e il prezioso aiuto digitale.
A Silvia, Mery, Sara, Maria Grazia, Anita, Graziella, zia Lory e zia Alpide donne di senno.
Grazie a mia Suocera Elva, emigrante in Brasile, che mi ha raccontato la vicenda di “Menego”, chiamato il Baule Volante.
Grazie ai miei nonni Vittorio e Ida che mi hanno portato con loro da piccola, nei campi e mi hanno fatto comprendere “la fatica” di stare curvi su una terra spesso avara.
Grazie a Roberto Bottari, Luigi Cortegiacomo già direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo, alla CCIAA di Rovigo, per le foto.
Gari Autori che hanno documentato storicamente la rivolta de “la Boje” rinnovandone la memoria altrimenti perduta.
Grazie a Vittorio Tommasin che ha reso giustizia al fatto che il movimento dei Braccianti contro il padronato Agrario è nato a Pezzoli ( ora frazione di Ceregnano e nel 1882 di Adria).
Grazie a Leonardo Raito per le informazioni preziose sui Achille Tedeschi.
Grazie ad Angioletta Masiero che mi ha dato il “coraggio” di pubblicare i miei scritti.
Grazie ai componenti della Compagnia “La Boje” di Ceregnano che mi hanno aiutato a presentare la Commedia in appendice.
Tutti loro hanno contribuito in vari modi a dar vita a questo romanzo.
Grazie ad Antonio Lodo per la bella prefazione perché ha compreso il mio intento di rendere giustizia al ruolo che le donne hanno avuto nel proteggere la famiglia e lottare per la loro dignità in questi tempi lontani.
Anche se non sono mai menzionate nei libri di storia.
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EXTRATIME by SS/ In cover …la copertina del libro Il Romanzo de “La Boje”, scritto da Antonella Bertoli che proponiamo (foto sempre dal suo libro) anche in apertura di fotogallery.
Quindi vi proponiamo una serie di immagini che ho scattato durante l’evento organizzato a Palazzo Celio, sede della Provincia di Rovigo, proprio da Antonella Bertoli, in qualità di presidente della “Commissione Pari Opportunità”, con la Mostra delle sculture ‘Storia del Polesine” dell’architetto castelmassese Natale Calesella di cui abbiamo già proposto specifico reportage a giugno 2020 sempre qui su www.polesinesport.it ( basta chiedere a Google… e vi rimanda direttamente su questo sito alle pagine interessate).
Per la cronaca e per la storia nella copertina del dépliant illustrativo c’era proprio la scultura in terracotta dedicata a “La Boje”, mentre nel taglio del nastro-inaugurazione segnaliamo da sx Antonella Bertoli, Ivan Dall’Ara presidente della Provincia, Natale Calesella architetto-scultore, Luigi Petrella sindaco di Castelmassa.
A questo punto, visto i volti noti al tavolo dei relatori, segnaliamo ancora Antonella Bertoli in trio mascherine col prof. Franco Rizzi ( sx) e Natale Calesella perché… mi hanno sollecitato ad essere presente alla Mostra.
E con riferimento al libro Il Romanzo de “la Boje” vi proponiamo la stessa immagine ( ma a colori’ di un tipico sciopero del Polesine dell’Ottocento ‘recitato per un film’ che ho visto ‘girare’ sotto l’argine del Po a Crespino, in località Passetto , in quello che era chiamato il “ghetto” e davanti all’entrata dell’oratorio dedicato alla “Madonna della Neve”
Mentre con riferimento alla commedia “La Boje recitata e cantata” , scritta e diretta da Antonella Bertoli, presentata in data 1 maggio 2012 dalla Compagnia di Ceregnano “La Boje” , vi proponiamo tre immagini della civiltà contadina, con tra gli attori la stessa Antonella e suo marito Ivan.
Per una ‘storia’ completata anche dalle canzoni-spirituals “Merica”  e “Scariolanti” , tra voce solista e coro , ma in foto proponiamo la giovane “ragazza che suona la chitarra”, perché … sono i giovani e gli artisti che possono continuare a viaggiare tra memoria e futuro.
Come ha fatto anche la stessa Antonella Bertoli col ‘rivisitato’ quadro sui “Braccianti” proposto nel suo disegno in controcopertina fatto per il costruendo Museo de La Boje di Pezzoli, dedicato ad una ‘rivolta’ che ha avuto tante donne in prima linea, come è successo nell’osteria della Adele e nelle campagne di un Polesine in miseria.
Anche per questo dulcis in fundo riproponiamo Antonella Bertoli, da sempre ‘habitat sociale’ anche per dna familiare, e che ho fotografato nella sala del Consiglio a Palazzo Celio, sede della Provincia di Rovigo, mentre parlava dei diritti delle donne  in qualità di presidente della Commissione Pari Opportunità.

Sergio Sottovia
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