STORY PRIMA PARTE/ Dall’inglese John Newbry agli americani Doubleday, “Babe” Ruth e...


17/08/2010

E poi la “ Baseball Softball Club Rovigo” , tutto by Raffaello Franco. Una 40ennale storia straordinaria che diventa un ‘diamante incastonato’ dentro la grande storia del baseball mondiale. La vera storia, in “pillole”, del magico gioco del baseball & la vita. E poi la morte ed i miracoli di una Società che fa parte del patrimonio sportivo polesano.Tutto questo racconta Raffaello Franco partendo dalla …preistoria inglese/francese , per attraversare l’Atlantico e scoprire l’America e il suo ‘baseball’. Un viaggio indispensabile per chi ama il baseball e i suoi valori sportivi, prima di ‘celebrare’ i 40 anni di sport & cultura di quel “Baseball Softball Club Rovigo” e la sua ‘Storia Straordinaria’. Un viaggio enciclopedico e completo, e che perciò in questo sito svilupperemo in tre puntate.
PRIMA PARTE/ IL BASEBALL SECONDO “BABE” RUTH E …RAFFAELLO FRANCO
“Per giocare a baseball occorre essere veri uomini; è il gioco più completo che si conosca al mondo. Non è mai esistito niente di più adatto per misurare l’autentico valore di un uomo quanto a fegato, prontezza, velocità… E’ l’unico sport che non hai bisogno di giocare per sapere quanto sia bello, nobile, leale…”.
Così scrisse uno dei più grandi giocatori della storia del baseball, George Herman Ruth conosciuto da tutti come “The Babe”. Ruth gioco da professionista in Major League dal 1915 al 1935, frantumando tutti i record sia in difesa (come lanciatore), che in attacco. Il suo record di 714 fuoricampo in carriera ha resistito fino all’Aprile del 1974 quando Hank Aaron riuscì a superare quella barriera che aveva resistito la bellezza di 39 anni e che ancora oggi ritroviamo al top delle medie vita della Major League Baseball di tutti i tempi.
In questa frase c’è tutta l’essenza di uno sport che sa appassionare milioni di persone nel mondo, uno sport che nasce ufficialmente nel 1839 negli Stati Uniti ma che affonda le sue radici nella storia dell’umanità.
Il Baseball Softball Club Rovigo, festeggia il 38° anno di attività ed in questi giorni fervono gli ultimi preparativi per quella che sarà la 4ª “BASEBALL NIGHT”, la grande festa che avrà il suo clou il 10 Settembre prossimo nel cuore di Rovigo.
Iniziamo allora a raccontare la storia di questa società sportiva tra le più vivaci del panorama polesano e di questo sport, magari strano, ma certamente fantastico e molto appassionante proprio partendo dalla frase di “Babe” Ruth, grande campione del passato che ha saputo incarnare lo spirito di questo sport in quella frase di tre righe che sono rimaste impresse a fuoco nella storia del meraviglioso gioco del baseball.

LA PREISTORIA
Già nell’antica civiltà egizia, troviamo testimonianze di giochi fatti con l’utilizzo di palle e mazze. Al British Museum è conservata una palla di pelle risalente, con tutta probabilità,  a 2000 anni a.C. e come testimoniato dal ritrovamento di alcuni graffiti, sarebbe stata utilizzata dalle giovani egiziane per praticare un gioco che prevedeva appunto l’utilizzo di una palla ed una mazza. In epoca successiva ritroviamo giochi con palle e bastone praticati dai Greci, dai Romani, dagli antichi giapponesi e dai pellerossa americani.
Come successo per quasi tutti gli sport moderni, è in Inghilterra che si sviluppa un gioco molto popolare nel 1300 chiamato “Stool Ball”, gioco che prevede che un battitore difenda un bersaglio da un lanciatore che cerca di colpirlo con una palla. A tutti gli effetti lo “Stool Ball” può considerarsi a ragione il progenitore del “Cricket”, sport molto popolare ancora oggi in tutte le nazioni appartenenti al Commonwealth britannico.
Nel 1600, sempre in Inghilterra, nasce il “Rounders”. Il “Rounders” è un gioco che forse ricorda ancor di più il baseball, infatti le sue regole (anche se pubblicate solo nel 1829 in Inghilterra e nel 1834 in America) prevedono che un giocatore debba coprire un percorso delimitato da 4 pali per segnare un punto (rounders) dopo aver colpito la palla con una corta mazza che viene impugnata ad una mano sola.
Un secolo dopo, nei primi anni del 1700, appaiono in Inghilterra tracce inequivocabili dell’esistenza di un gioco chiamato “Baseball”. In alcuni scritti dell’epoca si possono leggere pareri discordanti su questo gioco, chi contrario e chi favorevole come il Principe di Galles Frederick che nel 1748 accorda la propria preferenza al gioco. Nel 1810 il nuovo gioco sbarca sul Continente e più precisamente in Francia dove viene pubblicato “Les yeux des jeunes garcon” che contiene le regole per un gioco da praticarsi con mazze e palline e che prevede la corsa sulle basi.

LA NASCITA DI UN NUOVO SPORT: IL BASEBALL

Nelle Colonie d’America, nel 1762, arriva un libro intitolato “A little pocket book” scritto 18 anni prima in Inghilterra da John Newbry che contiene anche una poesia che inneggia al “Baseball”. Fu il primo seme gettato nel “Nuovo Mondo” di un gioco che appassionerà, in futuro, milioni di americani.
Sembra che la prima partita “ufficiale” disputata nel Continente Americano si sia giocata in Canada, a Beachville nell’Ontario, nel 1838. Anche qui le dispute, ovviamente, si sprecano in quanto gli storici statunitensi non concordano assolutamente con quanto ipotizzato dai colleghi canadesi. Non è per loro ammissibile che, quello che diverrà successivamente “The American Past Time” possa aver visto la luce sul Continente Americano in Canada. La contromossa dunque fu quella di trovare il padre inventore del nuovo sport ed ancora oggi chiunque, negli Stati Unti, è convinto che il baseball sia stato inventato nel 1839 a Cooperstown (New York), città non a caso sede della “Hall of Fame” del baseball statunitense, da Abner Doubleday, eroe delle guerre combattute contro il Messico e gli Indiani Seminoles. A Doubleday sono riconosciute la primogenitura del diamante, l’invenzione dei ruoli e delle regole. Un eroe di guerra che inventa il gioco in una città abitata solo da persone nate in America è una storia perfetta per dimostrare al mondo che il baseball è “Figlio degli Stati Unti”. La leggendaria ipotesi è accettata fin dai primi anni del ‘900 sulla base di una ricerca condotta da Al Spalding (giocatore professionista e produttore di articoli sportivi). Il dubbio è che quella di Spalding non sia una ricerca della verità ma un adattamento di parte di come le cose siano andate nella realtà. Di certo comunque c’è che le regole del gioco vengono pubblicate solo nel 1845 dal padre riconosciuto del baseball moderno, Alexander Cartwright, il primo a stilare il regolamento tecnico dal quale deriva, con poche modifiche, il baseball dei giorni nostri. Nello stesso anno a New York nasce la prima società ufficiale, il Knickerbockers Baseball Club ed il 19 giugno 1846, nel New Jersey, venne disputata la prima partita ufficiale tra i Knickerbockers ed una compagine appena formata, denominata New York Nine che si impose con il risultato di 21 a 3.
Prima di allora il baseball è ancora un gioco primordiale e molte regole vengono fissate dai capitani delle due squadre in relazione al numero di basi da utilizzare, a quale distanza porle una dall’altra fino a quanti giocatori potevano prendere parte alla partita. La tendenza era quella di ridurre il numero di difensori in quanto in pochissime occasioni il battitore e/o i corridori potevano sfuggire all’eliminazione visto che l’out veniva effettuato anche se la palla faceva un rimbalzo a terra prima di essere presa da un difensore. Anche il campo non era da per tutto uguale. Generalmente per segnare un punto il battitore doveva correre, una volta colpita la palla, toccando le quattro basi finendo a casa base che, a differenza di quel che accade oggi, non corrispondeva al punto dal quale era partito. Comunque, negli ultimi anni, prima che Cartwright codificasse il nuovo regolamento vennero accettati un po’ da tutti queste regole: campo tracciato come sopra descritto e  numero di giocatori fissato in 12 elementi: un lanciatore, un ricevitore che si avvaleva anche della collaborazione di un assistente ricevitore, quattro interni più uno fluttuante e tre esterni fissi più uno fluttuante.
Messo un po’ d’ordine da Cartwright, il baseball iniziò a diffondersi velocemente soprattutto negli stati del nord e neppure la sanguinosa Guerra  Civile (1861 – 1865) impedì la crescita di questo sport, anzi i sudisti lo impararono nei campi di prigionia nordisti. Il primo stadio chiuso venne inaugurato nel 1862 e nel 1866 il baseball diventa il primo sport in assoluto ad essere praticato a livello professionistico.

Nel 1868, a soli tre anni dalla fine della guerra, si contano la bellezza di 400 club in 18 Stati: il baseball ormai era diventato lo sport americano per eccellenza. Il popolo americano, giovane ed in rapida crescita, bisognoso di ampi territori da conquistare aveva trovato lo sport bandiera della propria anima: un gioco intenso e combattivo che incarnasse lo spirito della nuova frontiera, dell’uomo solo con se stesso proiettato alla conquista del nuovo mondo.
Negli stessi anni decade la regola che decreta l’eliminazione sulla palla raccolta al primo rimbalzo e nel 1875 nasce la National League che come primo atto decide di proibire il gioco del baseball professionistico a chi non è di pelle bianca (questa decisione costringerà gli afro-americani, nel 1920, a creare le cosiddette “Negro Leagues” che cesseranno di esistere solo nel 1947 quando Jackie Robinson diventò il primo uomo di colore ad essere ammesso nelle Major Leagues con la squadra dei Brooklyn Dodgers). Nel 1881 nasce l’American Association, ente concorrente della National League, che chiuderà i battenti soli 10 anni dopo. Nasce l’idea delle moderne World Series quando i campioni delle due Leghe si affrontano alla fine della stagione, idea che verrà ufficializzata solo nel 1903 quando la National League sigla un accordo con la neonata American League (1900) sviluppatasi sulle ceneri di una lega minore creata nel 1893 e che aveva assunto lo status di lega maggiore solo nel 1901.
Nel frattempo il baseball esce dai confini degli Stati Uniti e sbarca in Estremo Oriente.
EXTRATIME by SS/ Nella fotogallery la ‘locandina’ promozionale è dedicata a Babe Ruth in ‘mazza e casacca’ , completata come kit storico dalla foto ‘abbottonata’ di Abner Doubleday e infine dalla foto - datata 1866 , primo anno di professionismo per “ The American National Game of Base Ball”. E …appuntamento alla PROSSIMA puntata, la seconda!




Raffaello Franco
www.polesinesport.it