ALBERTO OSTI, il bersagliere “Lola” volante. Ben 309 partite, 176 mete e 3 scudetti col Rugby Rovigo. E con Naas Botha e Campese...


09/11/2010

Protagonista anche con la Nazionale Italiana (15 match) e coi Dogi. Poi evergreen tra Feltre, Frassinelle e Villadose. “Stavolta tocca ad Alberto “Lola”Osti, un omaggio ai suoi 54 anni che compirà il prossimo 10 novembre (cioè domani)”.
Questo ci ha scritto Raffaello Franco. E poiché LUI di rugby se ne intende , noi gli lasciamo subito la parola, cioè Titoli e relativa Alberto Osti Story.
ALBERTO “LOLA” OSTI, IL BERSAGLIERE VOLANTE
<< Scartabellando nel mio personale e polveroso archivio sportivo ho ritrovato una di quelle fantastiche pubblicazioni magistralmente curate dai giornalisti Luciano Ravagnani e Alessandro Andriolli, edizioni che spopolavano nella nostra Provincia ai tempi d’oro della Sanson Rugby Rovigo. Il libro, giustamente intitolato “Rugby – Rovigo Capitale”, analizza tutto ciò che riconduce al rugby in Polesine alla fine degli anni ’70 ripercorrendone la storia, con brevi ritratti dei più grandi protagonisti dell’epoca. Tra questi trova posto uno dei giocatori più prolifici di tutti i tempi. L’uomo che può vantare il maggior numero di mete segnate in maglia rossoblu: Alberto Osti. Andriolli, nel suo profilo, lo considera “senza dubbio l’uomo più veloce del rugby italiano”.
Infatti Osti, detto “Lola” per quella sua particolare corsa che somigliava ad una danza di un’esotica ballerina, era un tre-quarti ala velocissimo, forse una delle più veloci ali dell’epoca in Europa e realizzava caterve di mete, oltre dieci di media a stagione in oltre quindici anni di serie A.

Il suo astro, iniziò a splendere con l’allenatore Carwyn James, che seppe sfruttare adeguatamente la terza generazione di rugbisti rodigini, nata sugli scudetti giovanili del 1970 e del 1975. In quell’epoca le ali della Sanson erano Nino Rossi ed Elio De Anna. Quando comparve sulla scena il talento innato di Alberto Osti, Elio venne dirottato in terza linea.
Così iniziò l’ascesa di un altro grande protagonista della storia dei “Bersaglieri” un uomo che, nonostante una serie di gravissimi infortuni, è stato protagonista di quasi vent’anni di storia rossoblu.
Alberto Osti si avvicinò alla palla ovale al compimento dei 14 anni grazie ai tornei scolastici e da allora si innamorò definitivamente e perdutamente del rugby, lasciando il gioco del calcio nel quale era una promessa. Le sue doti calcistiche comunque seppe metterle a frutto anche nel rugby. Se ce n’era la necessità, “Lola” sapeva trattare egregiamente l’ovale anche con i piedi.


Esordì in serie A a soli 17 anni, contro le Fiamme Oro di Padova e per Alberto fu una grossa emozione anche perché aveva giocato  appena due stagioni scarse con la giovanile del Rovigo. Trovarsi così, di punto in bianco, in mezzo a quei giganti del rugby gli sembrava un sogno. Tre scudetti, 309 partite e 176 mete nella massima serie nazionale con la maglia del Rovigo, “triplete” che difficilmente verrà eguagliata da qualcuno.

Dire Alberto Osti, non significa però dire solo Rugby Rovigo ma anche tanta Nazionale (15 presenze con quella maggiore in test ufficiali, n.d.r.) e prestigiose selezioni, tra le quali ricordiamo i Dogi, dei quali Alberto fu anche capitano.
Ma alla “Lola” quasi venti stagioni ad altissimi livelli non bastavano, la passione per il gioco era troppo grande. Eccolo allora ancora in serie B come giocatore-allenatore del Feltre (oltre la metà dei punti messi a segno nella stagione 1992-1993 dalla compagine bellunese furono opera del nostro Osti); e poi a Frassinelle per tre stagioni ed a Villadose per altrettante annate sempre nella doppia veste di allenatore e giocatore. Il tempo passava, ma “Lola” Osti, garantiva qualità, punti e spettacolo. Solo una regola federale ha fermato alla soglia dei 43 anni, per limiti anagrafici, una delle carriere più luminose del rugby italiano. Gli ultimi ottanta minuti della “Lola” con la casacca neroverde del Winworld Villadose? In serie C2 contro il Montereale, diretta concorrente per il successo nel girone. Il Villadose si aggiudicò quel match grazie a 16 punti di Osti (finale 19-8) e vinse il campionato (anche se dovrà poi rinunciare alla C1 per un regolamento Federale che imponeva un certo numero di giovanili che i neroverdi non possedevano, n.d.r.). In molti si ricordano ancora molto bene quell’ultimo match di Alberto Osti.

Arrivato in ritardo al raduno per un contrattempo, al suo posto cominciò la partita Mirko Zamana, un ragazzo della giovanile, che nei primi venti minuti di gioco mise a segno un calcio. Poi entrò la “Lola” e subito gli arrivò un buon pallone: due scatti, un paio di finte e fu meta in mezzo ai pali. Ma ancora non bastava per Osti che volle completare l’opera, l’ultima sua opera, mettendo dentro altri tre calci. Lo sapeva che sarebbe stata l'ultima partita della sua carriera e ci teneva a giocare bene. Le sue doti di rugbista sono riconosciute universalmente tanto che, in Australia, nel negozio di abbigliamento sportivo di proprietà del grandissimo David Campese campeggia, in bella mostra, una sua maglia da gioco.
Abbiamo parlato di un Osti calciatore prima di un Osti rugbista. In realtà però il suo primo amore fu l’atletica leggera che gli diede le basi atletiche che gli servirono per tutta la sua carriera e lo aiutarono ad affinare la velocità che era l’arma principale del suo gioco. Solo successivamente assecondò la sua passione per il football ed iniziò a tirare i primi calci all’oratorio. Non se la cavava per niente male nemmeno lì, anzi! Non aveva ancora compiuto i 14 anni che il Pezzoli lo chiamò nelle sue giovanili. Per l’adolescente Osti fu la realizzazione di un sogno! L’arrivare agli allenamenti in treno lo faceva sentire importante, come fosse approdato nel vivaio di una grossa società calcistica. Dal Pezzoli poi passò al Mardimago e da li arrivare al Boara Polesine il passo fu breve. A 15 anni già giocava in terza categoria e disputava anche i vari tornei estivi, in notturna, molto in auge in quei primi anni ’70. Si destreggiava davvero bene con il pallone tra i piedi, talmente bene che lo invitarono a fare un provino per il Lanerossi Vicenza, quella stessa società che sarà poi del presidente Giussi Farina e dell’allenatore G.B. Fabbri, la stessa gloriosa squadra berica nella quale giocherà anche Paolo Rossi, il “matador” dei mondiali di Spagna 1982. Il Vicenza si mostrò subito interessato alle sue giocate e da quello che gli riferirono sarebbe stato sicuramente preso dai biancorossi, però qualcosa nel giovanissimo Osti stava cambiando.

Il professor Nadalini, suo insegnante di educazione fisica, l’invitò a provare il rugby vista la necessità di allestire una squadra d’Istituto da iscrivere agli imminenti campionati studenteschi. La proposta del professore lo incuriosì tanto da disputare i campionati scolastici di rugby. Fu una “folgorazione sulla via di Damasco”! Questo sport nuovo per lui lo prese tantissimo. In quegli anni poi, la Tosi Mobili era lo sponsor della Rugby Rovigo e per i ragazzini di allora vedere in giro per la piazza i giocatori di quella squadra con le borse e le tute sponsorizzate, riconosciuti e festeggiati da tutti, era un richiamo incredibile. Anche loro volevamo giocarsi l’opportunità di diventare dei “miti” della Rugby Rovigo. Alberto Osti scelse così di diventare un “Bersagliere”. A dire il vero la scelta non fu condivisa a pieno dai suoi genitori. Anche a distanza di molti anni suo padre continuò a  rinfacciargli la scelta di essere passato al rugby. Gli ricordava che aveva scelto quel che più gli piaceva ed anche se aveva ottenuto nel rugby risultati straordinari, per quanto lo riguardava, avrebbe fatto meglio a continuare con il calcio. Il football però gli lasciò i piedi buoni cosa che anche nel rugby, in certi ruoli, può servire eccome.

“Lola” Osti comunque non si pentì mai di quella scelta. Quella maglia rossoblu che ebbe la fortuna di indossare è stata la sua vita e la sua passione. Divenne come un tatuaggio indelebile sulla sua pelle. Per quella maglia e per quello sport ha dato tutto e questo gioco l’ha ricambiato con tantissime ed indescrivibili soddisfazioni, anche se gli è costato enormi  sacrifici. Per restare ad alti livelli faceva vita da “atleta”: niente fumo, niente alcolici ed alla sera a letto presto. Allenamenti tanti e sempre svolti al cento per cento. Sempre alla ricerca di migliorare le sue prestazioni. Questa è stato il suo stile, stile che gli permise di arrivare alla maglia azzurra ed a quella delle più prestigiose selezioni,  giocando con i migliori rugbisti dell’epoca. In tutti quegli anni di rugby d’alto livello ebbe  l’opportunità di confrontarsi  con moltissimi campioni, atleti straordinari anche sul piano internazionale. Su tutti da ricordare gente del calibro dell’australiano David Campese, dal 1984 al 1988 al Petrarca Padova, nazionale australiano e campione del mondo con i “canguri” nel 1991, che il nostro Osti affrontò più volte come avversario e lo straordinario sudafricano Naas Botha che ebbe come compagno di squadra. Quest’ultimo a Rovigo giocò tra il 1987 ed il 1993 e tutti se lo ricordano ancora! Un vero e proprio fenomeno capace di collezionare la bellezza di 1731 punti in 119 incontri disputati coronati da due straordinari scudetti, un campione che solo l’isolamento del Sudafrica a causa dell’Apartheid fu privato di ben altri successi. Secondo il giudizio dello stesso Alberto Osti, David Campese resta il miglior trequarti ala nella storia della palla ovale. L’amico Naas Botha il miglior mediano d’apertura, uno che sapeva calibrare un tiro al millimetro e poi anticipava le mosse dell’avversario con un altissimo senso della posizione. Lui si dal piede sopraffino tanto da essere ricercato anche dalle squadre pro del Football Americano dell’NFL, altra interessante esperienza che il biondo sudafricano visse come kicker  nei Dallas Cowboys.

L’amico Naas. Un’amicizia che è rimasta negli anni inalterata. Spesso si sentono al telefono, l’Osti di Rovigo ed il Botha di Pretoria e non è raro che accada che la “Lola” si rechi in Sudafrica per trovare l’ex compagno di squadra approfittandone anche per scambiare qualche colpo a golf, altra grande passione che accomuna i due. «Naas Botha - mi raccontò Alberto Osti in occasione di un nostro incontro per un’intervista - è considerato ancora oggi un mito, tanto da avere l’accesso persino al campo da golf riservato al presidente della repubblica sudafricana». Sul green presidenziale ebbe l’occasione di giocare con Naas ed altri grandi campioni di golf sudafricani anche il protagonista della nostra storia, con alterna fortuna perché anche coi “ferri” Botha si è rilevato un vero perfezionista. Si pensi solo che ha comprato casa vicino ad un campo da golf e quando è libero dagli impegni di commentatore sportivo, passa intere giornate ad allenarsi, come faceva quando giocava a rugby sottoponendosi ad ore ed ore di calci fra i pali. Anche in questo sport, il campione sudafricano, ha saputo far uscire tutto il suo innato talento tanto che gioca con handicap zero, roba da professionisti!
Non solo grandi avversari e grandi compagni di squadra nella lunga carriera di “Lola” Osti. Anche grandissimi allenatori si sono alternati nella sua vita sportiva. Julien Saby che per lui fu molto più di un allenatore. Il loro rapporto era quasi come quello che lega i rapporti tra padre e figlio. Osti era un ragazzino esordiente e se usciva dal campo acciaccato il buon Julien lo prendeva sotto le sue cure e lo massaggiava. Un altro grande maestro fu Carwyn James, colui che gli diede la possibilità di mettersi definitivamente in evidenza. Anche Nelie Smith, che fu uno degli artefici degli ultimi scudetti conquistati dal Rovigo e Benito Vanzan, il suo primo allenatore nella squadra giovanile campione d’Italia nel 1975. Tutte persone che contribuirono fortemente alla sua crescita di atleta.

L’Alberto Osti, a sua volta allenatore, si è impegnato su diversi fronti: a Monselice, dove ha seguito la locale under 17 impostando un interessantissimo lavoro sui settori giovanili con Raffaello Salvan, altro grandissimo ex “Bersagliere” degli anni ’70 ed a Frassinelle, negli ultimi anni, dove si è tolto diverse soddisfazioni in serie C. L’esperienza però che più di tutte l’ha entusiasmato e stata quella con  il Feltre. Aveva appena smesso la maglia del Rovigo ma effettivamente era ancora in piena attività e quindi andò nel bellunese nel doppio ruolo di giocatore ed allenatore. Due volte la settimana. Partenza dopo le 17:00 per arrivare alle 19:00 circa, giusto per iniziare gli allenamenti, senza mai che questa cosa gli fosse minimamente pesata. L’ambiente era stupendo, fatto da gente umile e con nell’anima l’amore più puro per il rugby. Alla fine dell’allenamento tutti assieme si ritrovavano in birreria per mangiare un boccone. Si, su quelle montagne aleggiava il vero spirito del rugby. A detta di “Lola” Osti:«Un’esperienza unica e davvero fantastica»! Fantastica anche perché poteva continuare a giocare. Non era rugby di serie A ma era comunque pur sempre rugby ed il suo desiderio era quello di proseguire la carriera quanto più a lungo possibile nonostante i numerosissimi infortuni subiti in tanti anni. Tanti momenti difficili come nel 1975 quando a Catania cadde a terra col pallone in mano. Lui, 76 chili, fu travolto da un pilone della squadra siciliana. Risultato: frattura scomposta della clavicola destra. Il ritorno a Rovigo fu un calvario! Dovettero fargli iniezioni per calmare il dolore. Arrivò alle 3 del mattino ad Adria e fu subito operato. Sei, sette mesi di stop poi il rientro in giovanile. Ma il debito con la sfortuna non l’aveva ancora saldato del tutto ed infatti, alla prima partita, dopo nemmeno mezz'ora di gioco in un raggruppamento subì nuovamente la frattura della stessa clavicola appena guarita. Altri sei mesi di stop! Al rientro è a Bologna con la squadra riserve. Nel secondo tempo, in uno scontro di gioco, si ruppe ancora la clavicola, questa volta però era quella sinistra. A quel punto, dopo la guarigione da questo ennesimo infortunio, decise di potenziare la muscolatura con quattro ore di tennis al giorno integrandole con molte sedute in palestra. Anche questa volta riprese a giocare senza problemi. Successivamente, a metà degli anni '80, cominciarono i problemi per una deficienza al ginocchio sinistro che si trascinò per due tre stagioni finché non finì di nuovo sotto i ferri. Questa volta era stato il menisco a saltare. Ancora riabilitazione e poi di nuovo in campo. Nel 1987, aveva già 31 anni, piantò il ginocchio nell'impatto con una terza linea del Parma. Ad operarlo questa volta fu il professor Viola il quale, anche a causa di  un inizio d’artrosi, sentenziò una cosa terribile per “Lola” Osti, una cosa che non avrebbe mai voluto sentire:"Lei non giocherà mai più a rugby"! Rimase ovviamente molto deluso. Troppa era la passione, nonostante tutto, che gli bruciava ancora dentro. Comunque non volle arrendersi e dopo la guarigione riprese a frequentare la palestra e a correre. E ancora palestra e corsa. Mesi dopo, alla visita di controllo, il professor Viola rimase a bocca aperta tanto che gli consentì di riprovare a giocare. Per la cronaca comunque, senza attendere il consenso dello specialista, già aveva provato a giochicchiare ma dopo una semplice partitella il ginocchio convalescente inevitabilmente si gonfiava. Un po’ di riposo e poi via di nuovo in campo. Riprese comunque ad allenarsi seriamente e da quel momento, finalmente, non ebbe più stop così lunghi. Negli infortuni e nelle guarigioni ci sta una potente componente mentale ed infatti il nostro Alberto “Lola” Osti non si è mai arreso. Voleva giocare a rugby a tutti i costi. Anche a Brescia ad esempio, nel 1990, aveva il quadricipite femorale sinistro strappato. Ancora oggi si può sentire, palpando il muscolo, un buchetto a perenne ricordo di quella giornata comunque straordinaria. Voleva infatti giocare e ci riuscì grazie ad una fasciatura ben fatta dal massaggiatore dei “Bersaglieri”. Scese in campo e vinse lo scudetto! Era un’altra grande Rugby Rovigo quella. Secondo Osti la crisi di risultati iniziò proprio dopo quell’ultima generazione di campioni, quella dei vari Botha, Lupini, Smal e tutti quei giocatori importanti di scuola rodigina, come Reale o i vari Brunello, Prearo, Baratella e De Stefani provenienti dalla fucina Frassinelle.

Primo errore quindi, sempre secondo l’Osti pensiero, è quello di non utilizzare più giocatori locali, retaggio di una politica societaria che non ha mai aiutato una realtà come Frassinelle, da tutti riconosciuta come una “macchina” che creava giocatori per la Rugby Rovigo. In secondo luogo ha influito lo sperpero di importanti risorse finanziarie per prendere una miriade di stranieri e di oriundi di livello non certo eccelso. Ricordate gli scudetti? Quanti atleti di scuola straniera giocavano in rossoblu?  Al massimo tre! La differenza stava nel fatto che erano si pochi ma indubbiamente di grandissima qualità. I grandissimi stranieri poi, portavano allo stadio pubblico ed erano di esempio e traino per i giovani. Vero è comunque che, per prima cosa, bisognerebbe risanare il bilancio societario perché tutte queste idee, senza un’adeguata copertura finanziaria non sono fattibili, soprattutto in questo nuovo rugby  professionistico dell’era “celtica”. In buona sostanza, bisognerebbe quindi trovare prima di tutto un saldo punto di riferimento: imprenditori capaci, giocatori ed allenatori di prestigio e consolidata affidabilità; chiudere le vecchie pendenze e ricominciare a (ri)seminare, magari partendo dalle scuole. Solo così il rugby, a Rovigo, avrà un futuro.
Questo è il pensiero di uno dei più grandi campioni della storia rossoblu, uno che ha fatto del carattere la propria forza e che ancora oggi, a 54 anni compiuti lo scorso 10 Novembre (ndr, anzi oggi happybirthday), continua a fare una vita d’atleta mantenendo una forma fisica davvero invidiabile. Gli infortuni subiti suo malgrado e che sembravano avergli compromesso per sempre la possibilità di continuare a giocare a rugby gli insegnarono davvero molto. Da quelle esperienze, con tanti sacrifici e tanta forza di volontà, riuscì sempre a rientrare in campo, se possibile, anche più forte di prima nonostante che i medici, come detto, l’avessero già dato per finito a soli 31 anni. Da allora ha imparato che il lavoro in palestra gli garantiva il giusto tono muscolare e gli permetteva di evitare infortuni gravi. Come si dice, le sane abitudini non vanno mai perse e di conseguenza, anche adesso, continua ad allenarsi con regolarità. Anche a casa dove si è creato una piccola palestra. Pratica regolarmente footing oltre che a qualche ora di tennis, per chiudere rilassandosi con il golf, sport che lo diverte e lo impegna tantissimo e che inizia a dargli anche delle bellissime soddisfazioni, tanto che il suo handicap di gioco si è notevolmente abbassato.
Che sia l’inizio di una nuova esaltante carriera? >>

EXTRATIME by SS/ Bando ai preamboli e a qualche flash amarcord, la foto cover è per Alberto Osti ‘piede d’oro’ della Colli Euganei. Quindi la fotogallery parte dal suo esordio ‘volante’ al Battaglini ( perciò in fuga con l’ovale), quindi con Osti (primo a dx) nel 1979 allo Stadio Wembley con la storica Sanson Rovigo scudettata. A seguire Osti in azzurro nel 1983 , in foto ufficiale dell’Italia vs Canada. Una Nazionale che, come recita la successiva foto singola, il nostro “Lola” si era meritato sul campo a suon di mete. Come si era meritato sul campo i 3 scudetti targati Rugby Rovigo. E perciò proponiamo il ‘bersagliere volante’ Alberto Osti nella foto ufficiale 1986 con la maglia Deltalat, e nella foto ufficiale Colli Euganei 87/88 con al fianco il grande Naas Botha. Col quale peraltro “Lola”Osti gusta il trionfo e gli applausi della vittoria scudetto (nella foto vedi la loro entrata trionfale , col trofeo, in Piazza Vittorio a Rovigo). L’ultima foto recente di “Lola” Alberto lo mostra in tuta, giusto perché Osti sportivamente parlando sarà sempre evergreen.


Raffaello Franco
www.polesinesport.it