Amarcord Scudetto “Rugby Rovigo 1988” / Stefano Bordon, da ‘trequarti’ e 3 scudetti giovanili a ‘centro’ in Nazionale vs Lomu-New Zealand, spiega la vittoria vs Benetton pensando a papà Pierluigi…


“ …La differenza vera con i nostri avversari era sul piano mentale. Si pensi al Petrarca di allora, che praticamente costituiva l’ossatura, soprattutto in mischia, della nazionale. Io in terza linea giocavo contro Innocenti che allora della nazionale era il capitano. Sia loro, con Knox e Campese, che il Benetton con i vari Green e Kirwan in quegli anni potevano contare anche su fuoriclasse stranieri. Si sentiva forte, ma già dall’ambiente delle giovanili, il senso di appartenenza, essendo quasi tutti ragazzi di Rovigo…”
Questo pensiero incipit è di Stefano Bordon, estrapolato dal reportage written by A.G. – novello Umberto Eco nel nome della …Città delle Rose & Città in Mischia,  che ci accompagna in questo lungo viaggio amarcord insieme ai Bersaglieri protagonisti e vincenti la “Finale Scudetto 1988” che nel prossimo 1 giugno saranno festeggiati dallo specifico Comitato  Festa del Trentennale dello Scudetto 1988.
Per parte nostra, ci piace sottolineare la speciale variazione sul tema, che , dopo la confitta nella prima semifinale, ha portato Stefano Basson a spostarsi da ‘tre quarti a ‘centro’ , un nuovo ruolo per Lui che aveva già vinto 3 scudetti con le Giovanili, ma che poi sarà il suo habitat naturale, sia nei due scudetti vinti con la maglia rossoblu della Rugby Rovigo che in Nazionale con la maglia azzurra, dove ha avuto l’onore e la bravura di giocare contro il mitico Johan Lomu. Lo straordinario numero 11 dei Tuttineri/ All Blacks.
Oltretutto Stefano Bordon è stato un giocatore che ha maturato tanta esperienza internazionale come giocatore e anche come allenatore, perciò ve ne diamo conto nella specifica Appendice Flsh Story , come da dati ufficiali by wikipedia, anche se lo trovate già presente in questo sito www.polesinesport.it , perché …l’ho incontrato più volte tra campo e dintorni.
Tanto più che Bordon è sempre al ‘centro’ del Mondo Ovale, visto che oggigiorno è direttore tecnico del Rugby Gubbio, ma anche consulente di team building in società di formazione e mental coach per atleti e società sportive.

 

 

 

MAIN NEWS ( by Addetto Stampa, mail 10.05.2018) / INTERVISTA A STEFANO BORDON

Il Rovigo che vinceva lo scudetto della stella 1988 era formato in prevalenza da giovani rodigini. Tra questi, uno di quelli destinati a diventare tra i più conosciuti è sicuramente Stefano Bordon, oggi direttore tecnico del Rugby Gubbio, ma anche consulente di team building in società di formazione e mental coach per atleti e società sportive. Allora, all’età di vent’anni, uno strano cambiamento di ruolo, determinò le sue fortune future.

“Avevo giocato quasi tutto il campionato come terza linea, stavo bene, avevo 20 anni. Poi avevamo perso la prima partita di semifinale contro il Petrarca con centri Giorgio Visentin e Zuin. Al primo allenamento, mi han chiesto di passare centro, ruolo in cui non avevo mai giocato e quindi sentivo addosso un’enorme pressione.

Da lì ho lavorato duramente tutta la settimana concentrandomi sulla nuova posizione e sui movimenti necessari. Abbiamo vinto la seconda semifinale e anche la bella e poi la finale. Di sicuro, però, avevo addosso un’enorme tensione e stress nel giocare fuori ruolo”.

Ironia della sorte a pensare che ora Stefano Bordon è ricordato come uno dei centri più forti della storia rossoblu e anche in nazionale.

 “Io ho giocato sempre in terza linea anche nelle varie nazionali, fino alla nazionale B. Poi allora il tecnico era Cucchiarelli che sosteneva che secondo lui le terze linee dovevano essere alte dal metro e novanta in su e quindi io ero escluso. Ho quindi cambiato ruolo perché volevo assolutamente giocare in nazionale”.

 

 

 

All’anno dello scudetto 1988 è legato un ricordo dolceamaro.

“Avevo vent’anni e giocavo nella squadra della mia città, per cui fu una grande gioia poter vincere quello scudetto. Quello stesso anno, però, a mio padre Pierluigi fu riscontrato un tumore. Il medico gli aveva sconsigliato di venire alla finale, per via delle sue condizioni di salute. Quando arrivai, non sapevo se c’era o meno, proprio perché poteva essere ricoverato in qualsiasi momento, ma sapevo che dovevamo fare di tutto per vincere perché quella sarebbe stata l’ultima e l’unica occasione che mio padre avrebbe avuto di vedermi vincere. Quindi per me gli ultimi cinque minuti forse sono stati più importanti di qualsiasi altra persona e quando siamo passati in vantaggio 9-7, il pensiero immediato è stato di mantenere quel risultato. Dunque, quella fu una partita decisamente particolare, non solo per il primo scudetto conquistato, ma anche per questo aspetto, che racconto adesso per la prima volta dopo trent’anni e non credo in molti conoscano”.

Alla luce di questo, assume tutto un altro significato l’immagine dell’esultanza dopo la meta di Ravanelli.

“Adesso si capisce perché urlavo. Urlavo perché ero felice, ma anche perché dentro avevo qualcos’altro”.

Il padre Pierluigi sarebbe poi mancato poco più di un mese dopo, agli inizi di luglio. Dopo la partita, cosa vi siete detti?

“C’è una foto bellissima (vedi allegato, ndr) che è una di quelle che più mi piacciono dove mi si vede a fine partita mentre lo cerco con gli occhi sulle tribune del Flaminio. E’ normale, è sempre stato il mio primo tifoso, seguendomi ovunque sin da quando ero piccolo. Ci siamo abbracciati ed era molto contento di avermi visto vincere. Ci siamo visti alla fine e poi lui è partito per tornare a casa e l’ho ritrovato nei giorni successivi che conservava i vari giornali dell’evento. E’ stato sicuramente tutto bellissimo. La mia generazione ha vinto due scudetti in quegli anni, facendo poi altrettante finali, ma uno scudetto come quello del 1988 per Rovigo ne vale come cinque”.

 

 

 

Il gruppo di allora sembrava molto unito, costituito su una base locale con alcuni innesti fuori categoria.

“Il bello della squadra era di essere molto giovane, basata sui gruppi del 1966-67-68 che avevano vinto tre scudetti giovanili consecutivi. Questo aveva contribuito a creare in noi già allora, nonostante la giovane età, una mentalità vincente, con molti nazionali giovanili che avevano vinto altrettanto sia in vari tornei che ad esempio al Fira. Giocavamo consapevoli della forza del singolo e del gruppo. La differenza vera con i nostri avversari era sul piano mentale. Si pensi al Petrarca di allora, che praticamente costituiva l’ossatura, soprattutto in mischia, della nazionale. Io in terza linea giocavo contro Innocenti che allora della nazionale era il capitano. Sia loro, con Knox e Campese, che il Benetton con i vari Green e Kirwan in quegli anni potevano contare anche su fuoriclasse stranieri. Si sentiva forte, ma già dall’ambiente delle giovanili, il senso di appartenenza, essendo quasi tutti ragazzi di Rovigo. Ci divertivamo assieme, ma volevamo anche vincere non solo partecipare. Il livello di allora, secondo me, era più alto di quello attuale sia dal punto di vista tecnico che per quanto riguarda aggressività e cuore, che poi è quello che ti fa dare quel qualcosa in più”.

Una stagione caratterizzata anche dagli esordi del tifo organizzato, che scaturì nel treno rossoblu.

 “Non solo, è passata alla storia anche come il primo anno della formula a play-off, che secondo me è la migliore da un punto di vista d’immagine per il nostro sport. Ci fu una partecipazione davvero forte di pubblico della parte di Rovigo. Si ricorda molto il treno, ma io ricordo bene il viaggio di ritorno in pullman, la festa di piazza e sul corso tutto rossoblu. Sicuramente per un giocatore che vince lo scudetto è tutto bello, per uno che ha vent’anni ed è di Rovigo lo è ancora di più. Penso che in nessuna parte d’Italia si possa vivere una sensazione come quella di vincere il decimo scudetto, di essere a casa propria, dopo anni che non si vinceva e nel modo in cui è arrivato poi. Noi eravamo sicuramente una squadra competitiva, ma non quella da battere, piena di ragazzi giovani molto promettenti, pensando all’oggi quei ragazzi probabilmente sarebbero venuti fuori dalle varie accademie. Erano tutti atleti che facevano parte delle nazionali juniores, ma la grossa differenza era che venivano tutti da Rovigo e creati da un ambiente e da una struttura forte nel settore giovanile con allenatori autoctoni che trasmettevano i valori della Rugby Rovigo, che mi sembra si siano un po’ persi in questo momento”.

 

 

 

C’è un aneddoto che riassume quella stagione?

“Ricordo la delusione dopo la sconfitta con il Petrarca, se non sbaglio eravamo tredici giocatori di Rovigo e quindi c’era molta amarezza ma anche la voglia di tornare subito in campo a giocare per batterli. Ricordo i due giorni prima delle partite in cui andavamo in ritiro ad Albarella per stare assieme, far gruppo, passati a ridere e scherzare: un ambiente indimenticabile, si stava bene assieme ed era una cosa normalissima.  Anni splendidi, anche perché come oggi la città era molto vicina alla squadra, si vinceva ed eravamo competitivi con tutti. Se i giocatori sono di Rovigo, poi l’attaccamento è molto più forte. Ricordo la festa, le tante birre in pullman, i canti a squarciagola allo stadio tutti assieme. Ho abbracciato tutti i miei compagni e forse nemmeno mi rendevo conto di quanto stesse succedendo. Lottavamo contro grandi squadre e alla fine è stavo veramente un sogno divenuto realtà”.

Chissà che pensieri in testa in quei momenti finali e quando la palla è arrivata in mano a Massimo Brunello.

“Erano i minuti conclusivi quindi ovviamente dovevamo provare a fare qualcosa per vincere la partita. Ho visto che Treviso era messo male in difesa e ho pensato vediamo se riesce a trovare il buco e se noi riusciamo a dargli sostegno. Poi ho visto che lo spazio l’aveva trovato e che all’ultimo avversario c’era Hamrin e allora lì mi sono preoccupato che andasse il più possibile verso il centro dei pali, perché avevo fatto il calcolo che ci serviva la trasformazione e con i quattro punti eravamo fermi sul pareggio e Naas non era nelle sue migliori serate. Nel frattempo mi arrivavano immagini del fatto che comunque stavamo raggiungendo un obiettivo importante e allo stesso tempo la necessità di rimanere concentrati gli ultimi minuti, perché non giocavamo contro gli ultimi arrivati”.

 

 

 

APPENDICE FLASH STORY ( by wikipedia) / STEFANO BORDON – BIOGRAFIA

Stefano Bordon (Rovigo, 2 febbraio 1968) è un ex rugbista a 15 e allenatore di rugby a 15 italiano, già tre quarti centro del Rovigo per 12 stagioni, e campione d'Europa con la Nazionale italiana.

BIOGRAFIA

Da sempre nel rugby (iniziò a giocare all'età di 8 anni[1]) e cresciuto nel Rovigo, club nel quale militò fino al 2000 a parte una parentesi al Tolone, in Francia, Bordon vinse con il club rossoblu due campionati, nel 1988 e nel 1990. Messosi in luce a livello nazionale, fu convocato da Bertrand Fourcade nella selezione azzurra, nella quale esordì nel 1990 alle qualificazioni alla Coppa del Mondo di rugby 1991 contro la Romania.
Oltre a vantare la partecipazione alle Coppe del Mondo del 1991 nel Regno Unito e del 1995 in Sudafrica, Bordon fece parte della Nazionale che ottenne i risultati più prestigiosi dell'epoca immediatamente precedente all'ingresso dell'Italia nel Sei Nazioni: fu presente in due vittorie contro l'Irlanda e, soprattutto, la conquista della Coppa FIRA 1995-97 a Grenoble, nella finale vinta contro la Francia per 40-32. Quella di Grenoble fu anche l'ultima presenza internazionale di Bordon, che successivamente, nel 2000, lasciò Rovigo per giocare tre stagioni nel CUS Verona.

Smessa l'attività nel 2003, nella stagione successiva iniziò ad allenare, partendo proprio dal club veronese che lo vide giocatore per l'ultima volta; nel 2004 al Colorno e nel 2005 al Modena, nel 2006 firmò un biennale con l'Amatori Alghero; dopo solo una stagione, peraltro conclusa al quarto posto e l'ingresso in serie A, Bordon lasciò il club sardo per trasferirsi al Rugby Roma, sempre in serie A; alla fine della stagione 2007-08 la squadra fu promossa nel Super 10; a metà stagione, nel gennaio 2009, il club romano annunciò l'esonero del tecnico[2]; le motivazioni addotte per l'esonero spinsero Bordon a emettere un comunicato di preannuncio di azione legale nei confronti della Rugby Roma[3]. Nel successivo arbitrato federale, la cui sentenza fu emessa nel marzo 2010, a Bordon fu riconosciuta la legittimità del suo operato e il club fu condannato a rifondergli un risarcimento danni di 87 000 euro[4].

 

 

 

Dopo l'esonero Bordon fu ingaggiato come consulente tecnico di SPQRugby, consorzio con sede a Roma propostosi come franchigia per il centro-sud Italia per la Celtic League, dopo che il consiglio direttivo di quest'ultima aveva deciso l'allargamento del torneo a due compagini italiane[5]. Di nuovo all'Amatori Alghero in serie A/2 nel luglio 2009[6], la seconda esperienza in Sardegna terminò a gennaio 2010[7] dopo i risultati non soddisfacenti ottenuti dalla squadra.

Nel dicembre 2010 Bordon assunse la guida del Badia, formazione del rodigino che militava in serie A1[8]; dopo una salvezza ottenuta alla fine della prima stagione e un quarto posto in quella successiva, la società e l'allenatore decisero di separare le loro strade.
A dicembre 2012 fu chiamato a sostituire Francesco Mazzariol alla guida dei Crociati di Parma ultimi in classifica di Eccellenza[9]; al termine della stagione la squadra si salvò dopo avere vinto uno spareggio contro L’Aquila, giunta a pari punti dei parmigiani[10].
A febbraio 2014 assunse la guida del CUS Genova che lo ingaggiò a metà stagione con l'obiettivo di portare la squadra, ultima in classifica di A2, almeno agli spareggi-salvezza[11], compito portato a termine a fine stagione vincendo il play-out contro il Romagna[12]. Dopo un'ulteriore stagione, Bordon si dimise alla fine del campionato 2015-16[13].

PALMARES:
 Coppa FIRA: 1
Italia: 1995-97
 Campionati italiani: 2
Rovigo: 1987-88; 1989-90

 

 

EXTRATIME by SS/ In cover lo sguardo di Stefano Bordon rivolto al cielo, dedicando a  papà Pierluigi la vittoria dello Scudetto 1988 vs Benetton, la stessa immagine che alla fine della nostro viaggio fotogallery vi riproponiamo in versione poster.
Mentre in apertura di fotogallery ripronoriamo by wikipedia il suo famoso placcaggio sul mitico Johan Lomu nel testa match Italia vs New Zealand a Bologna nel 1995 vs gli storici All Blacks.
Con riferimento a Bordon giocatore, allenatore, mental coach ve lo proponiamo presente nella Chun House Rossoblu a Roovigo durante la Mostra su maci Battaglini, nell’immagine primo da sx con  a fianco Innocenti, Raisi, Rossi, Reale, Bettarello e alle loro spalle i ‘conduttori della serata’ Ivan Malfatto e Saverio Girotto.
A seguire il flash che ho scattato durante una serata televisiva by Rugby su Prima Free, con da sx Pedrazzi , Baschesi, Cappato conduttore, Frati, De Rossi, Roberto Aggio e appunto Stefano Bordon.
A questo punto ecco due eloquenti kit sulla carriera di Stefano Bordon in kit flash anche da mental coach e allenatore, e in poster serale targato Rugby Gubbio.
Preludio alla già citata storica foto post finale Scudetto 1988 a Roma vinta by Rugby Rovigo vs Benetton con la nota meta di Ravanelli al fotofinish.

Sergio Sottovia
www.polesinesport.it