Antonella Bertoli trilogia in prosa/ Dopo “Bianca, una storia quasi vera” e il romanzo storico “La Boje”, fa focus-verità su Alluvione Polesine 1951 col libro “Lucia, Giacomo e il camion della morte”, su Giacomo Conti ‘eroe’ a Frassinelle


Della Grande Alluvione del Polesine nel 1951, abbiamo raccontato tante testimonianze su questo sito.  Innanzitutto quelle ‘indirette’ raccontate dai ‘Figli’ che hanno intervistato i propri genitore in sequenza polesana, a fronte di un progetto sviluppato dagli insegnanti di una Scuola Media; quindi una serie di ‘testimonianze dirette’ che una serie di studenti evergreen, dall’Alto al Basso Polesine, hanno raccontato a fronte di una analogo progetto di studio proposto dalla Università Popolare Polesana.

Oltre a personali interviste fatte dal sottoscritti e da alcuni altri giornalisti in occasione di ‘ricorrenze’ storiche per non dimenticare appunto la Grande Alluvione del PO, con tutte le sue implicazioni socio-economiche causate anche dal calo demografico determinato dalla emigrazione di tanti Polesani nel triangolo Milano-Torino-Genova, ma anche nel mondo. Tant’è che ho raccontato anche la lunga storia dei POLESANI NEL MONDO, soprattutto di quelli di Milano, della Lombardia, del Piemonte, ma anche attraverso tanti Italiani in America e in Australia ( proprio in questi giorni ho ricevuto una Testimonianza di Mario da Avellino che proprio qui su www.polesinesport.it ha ritrovato il suo ‘amico’ Ivo , frequentato a Melbourne ) .

Anche per questo, pur avendo agli atti ancora da pubblicare le ‘testimonianze’ del parroco di allora e di Don Licio Boldrin parroco attuale di Frassinelle, di Mario Rugin che aveva ‘fermato’ il viaggio del Camion della Morte parlando direttamente con l’autista Baccaglini che ‘quel camion’ stava erroneamente guidando verso ...la morte, ci sentiamo in dovere di onorare la pubblicazione del libro di Antonella Bertoli.

Anche perché , oltre agli 84 morti onorati nel ‘sacrario’ di Frassinelle Polesine, rende onore a Giacomo Conti anche lui scomparso in quel ‘camion della morte’ , ma praticamente un ‘eroe dimenticato’ e che oltretutto , pur essendo da Villadose e lavorando a Rovigo, non ci ha pensato un attimo ad offrirsi ‘volontario’ da autista sul camion di Baccaglini , così come aveva fatto sulle strade della Sicilia sugli auto degli Alleati.

Fatto questo preambolo sulla Alluvione del 1951, e rimandandoci in calce nel nostro tradizionale Extratime per ulteriori nostri commenti in merito, e giusto per avvalorare la promozione del libro citato nel titolo, riproponiamo innanzitutto quanto scrive nella retro-cover del libro la stessa autrice Antonella Bertoli.

E cioè :<< Questo romanzo racconta una storia vera che scaturisce in parte dai ricordi e dai racconti sulla Grande Alluvione che ha portato con sé lutti e disperazione, anche nella famiglia Bertoli – Girotto.

Esso intende ricostruire la vicenda di Giacomo Conti, che nella notte del 14 novembre del 1951 salì volontario per aiutare nella guida il cosiddetto “camion della moret” lasciando la vita nelle acque fangose ed impetuose della rotta del PO. E’ anche una storia che in parte è stata ricostruita e ricucita da chi scrive per riempire i “buchi” lasciati dalla memoria, andando a ricercare le fonti storiche e documentaristiche di quell’infausto periodo.

Sulla vicenda di Giacomo Conti non si è mai scxritto , o se ne è scritto in modo confuso e menzognero: l’unica testimoniamnza resa a lui a queei tempi è uina lapide che è sbiadita nel tempo e che solo ora abbiamo ricostruito grazie alla sensibilità del sindaco di Villadose. I libri e gli articoli che descrivono quei giorni disperati descrivono episodi diversi con più  versioni e molteplici ipotesi: di volta in volta ho scelto quella che consideravo più convincente e verosimile, e di ciò rendo conto citando le fonti archivistiche e storiografiche.

A questo ecco strutturata in sequenza la nostra panoramica  promozionale sul LIBRO “ Lucia, Giacomo e il camion della morte – 14 novembre 1951 : una storia da riscrivere”, appunto da pare della autrice Antonella Bertoli e di cui proponiamo in sequenza la ‘sua’ Scheda- Biografica, la Prefazione a firma di Luigi Contegiacomo, la Premessa della stessa Antonella Bertoli con relativi Ringraziamenti finali.

Oltre all’Indice del libro che evidenziando località e data ...non ha bisogno di altre spiegazione, se non l’invito ai nostri i lettori di andarselo a prendere il libreria, per leggerlo e memorizzarne le ‘radici dell’anima’ di fatti che, tra i suoi principali protagonisti, anche Giacomo Conti partito dalla Sicilia in guerra e che nella Grande Alluvione del Polesine ha avuto la sua sublimazione come volontario in aiuto della Gente di Frassinelle 

 

DAL LIBRO DI ANTONELLA BERTOLI INTITOLATO “ LUCIA, GIACOMO E IL CAMION DELLA MORTE -  14 novembre 1951: una storia da riscrivere “ 

ECCO LA “PREFAZIONE” A CURA DI LUIGI CONTEGIACOMO ( Già Direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo) / 

Un omaggio doveroso : questa la ragion d’essere e al tempo stesso il senso di questo nuovo libro dedicato a un eroe dimenticato, sorte che quasi sempre accomuna i veri eroi, che non sono quelli dei miti , né tanto meno le vittime inconsapevoli di tutte le guerre, danni collaterali che si contano in cifre , mai raffigurandosene volti né tanto meno le storie, perché la Storia viene scritta dai “grandi” , che poi tanto grandi non sono, viene delineata a grandi linee perché quel che conta è colpire l’immaginario con affetti dirompenti, capaci di segnare solchi e identificare epoche, mentre il sacrificio del singolo – se non è utile alla propaganda – diviene rapidamente diafano per poi svanire come neve al sole dopo pochi giorni.

Così non è per chi quella vittima, quell’eroe lo ha amato e apprezzato, per cui da lui è stato salvato , per chi semplicemente non rappresenta solo un numero  ma ha un volto, un’anima, un passato da raccontare senza retorica, senza altri fini se non quello di rendergli giustizia e restituirgli l’amore che Lui ha dato agli altri.

Nelle pagine seguenti si raccontano alcune storie, si delineano vite parallele che convergono verso quel fatidico 15 novembre del ’51, che portò via con sé tante vite ma soprattutto tante storie, che nessuno racconta mai ma che non devono essere rimosse perché noi siamo quel che seminiamo, di noi resta solo il ricordo e questo elemento immateriale si fa materia dentro di noi, divenendo parte di chi resta se lo si è meritato.

Le storie parallele che qui si narrano , da quelle di Giacomo e della sua amata Lucia a quelle delle sorelle e delle vittime dell’alluvione sono quelle di gente comune e si intrecciano con quelle di tante persone reali, picciotti, “consigliori”, carnefici con la divisa da galantuomini, angeli in camice, uomini tutti d’un pezzo, uomini vili : una varia umanità che incrocia le proprie strade , percorre gli stessi viali , annaspa tra le acque vorticose. 

L’Autrice di questo saggio si avvale con perizia e mano attenta alla verità di una quantità di fonti , da quelle cartacee, siano esse ufficiali, come i carteggi della Provincia e della Prefettura, a quelle private : lettere , memorie, interviste, incrociandone le informazioni con quelle fornite da una vasta bibliografia, non sempre purtroppo attenta alla verità storica

Tropo spesso frutto di improvvisazione e approssimazione, ora dovute alla frenesia di pubblicare , ora alla incertezza delle testimonianze rese nell’immediato della tragedia o da chi ricordava vagamente o per sentito dire. 

L’Autrice ha voluto far chiarezza sui fatti e restituire la dignità della verità storica a chi è stato protagonista di quei momenti, alle vittime della tragedia e in primis all’eroe dimenticato, Giacomo, a iniziare dal suo vero cognome. Premeva all’Autrice , nipote dello sfortunato Giacomo, ricordare a tutti chi era e perché si trovava questo bel “picciotto” dal baffo fascinoso e dagli occhi azzurri in Polesine al momento in cui conobbe la sua Lucia, nel luglio del 1944. E premeva all’Autrice ricordare da dove veniva, il coraggio che lo aveva animato nel lasciare la terra natale per combattere con gli Alleati nella lunga sanguinosa marcia verso il Nord Italia, una marcia irta di ostacoli ma anche di quei terribili drammi cha accompagnano tutte le guerre , che siano esse di conquista o di liberazione, a iniziare dalle violenze e dalle barbarie che spesso vedono vittime innocenti di donne e bambini. E premeva all’Autrice far chiarezza sulla spontaneità del gesto del ventinovenne Giacomo nell’offrirsi volontario per accompagnare l’autista del campion divenuto poi purtroppo celebre come “il camion della morte” : un atto di eroismo puro che andava ricordato ec he i familiari grazie anche a questa opera rivendicano come tale invitando a ricordare il suo gesto ai posteri, un gesto che si può sintetizzare in un’immagine: quella che qualcuno ha immortalato in un bellissimo disegno, l’ultimo gesto di un coraggio e amore verso il prossimo, quello dell’uomo che eleva sopra di sé in un ultimo estremo tentativo di salvarlo, l’esile corpicino di un bimbo, che il fango indurito ha restituito intatto, estremo involontario omaggio ad un atto di semplice eroismo, quello vero.

 

ECCO LA PREMESSA “ A CURA DELL’AUTRICE ANTONELLA BERTOLI 

Questo romanzo racconta una storia vera che scaturisce in parte dai ricordi e dai racconti che i miei famigliari mi hanno lasciato  in dono durante le lunghe serate invernali in cui si parlava di coloro che ci avevano lasciato e ci si narrava dele vicende capitate a Nonni e Ziii che noi Nipoti non abbiamo avuto al fortuna di conoscere.

Era giusto, diceva la mia mamma Lucinda Corinna ( conosciuta in paese a Villadose come “Curina Tenca” ) che sappiate , figli miei che cosa è accaduto ai miei genitori, morti quando voi non c’eravate ancora , c’eri solo tu Maria Grazia, che eri piccolissima, un fagottino sballottato tra le braccia di chi era venuto a salvarci quando è arrivata la Grande Alluvione.

Ed è giusto che conosciate la storia di vostro Zio Giacomo, quella vera di cui si sono tutti scordati. La zia Palmira ve l’ha raccontata una sera , la chiamavano Luci e come Lucia era conosciuta da tutti : Lucia Tenca, perché i Girotto avevano questo soprannome, non so da cosa derivi, forse dal fatto che molti anni fa qualcuno dei nostri trisavoli andava a pescare le “tenche” nel canale di Villadose.

Questa però è anche una storia che in parte è stata ricostruita e per certe parti ricucita da chi scrive per riempire dei “buchi” lasciati dalla memoria, mia e dei miei Famigliari andando a ricercare le fonti storiche e documentaristiche di quell’infausto periodo.

Su diversi episodi esistevano più versioni e molteplici ipotesi; di volta in volta ho scelto quella che consideravo più convincente e verosimile: di questo rendo conto citando le fonti.

Ho dovuto giocoforza leggere e rileggere la storia di Tortorici, paese che non conoscevo, le vicende dello sbarco degli Alleati in Sicilia e chi ne ha costruito le premesse, il ruolo della Mafia, le cronache della avanzata degli eserciti e gli scontri che si sono avuto proprio sui Monti Nebrodi tra tedeschi, fascisti repubblichini, inglesi americani e francesi.

Ho riletto con raccapriccio i libri sulle “marocchinate” di cui non avevo più ricordo e ho rivolto un pensiero a tutte quelle donne che sempre pagano un prezzo altissimo alle guerre, perché oggetto di violenza e di stupro, abusate dai Nazisti quanto dagli alleati. Degli abusi in guerra si parla sempre come di un incidente di percorso, ma dietro c’è e c’è stato sempre ben altro:  uno strumento di tortura ed i sottomissione per distruggere fisicamente e psicologicamente un paese.

La sbarco degli Alleati del 1943 aveva fatto sperare agli italiani che la guerra fosse ormai agli sgoccioli. L’orrore però non erra ancora finito, e proprio in quegli anni oi soprusi sul corpo femminile si  moltiplicarono.

Nel novembre del 1943, con l’ordine chiamato Merkblatt 69/1, i vertici militari tedeschi cancellarono ogni distinzione tra popolazione civile. Così, nel violento massacro dei cittadini, lo stupro della donna diventò una conseguenza inevitabile , un atto terribile per annientare l’avversario a ogni livello, fisico e mentale, il nemico non era più l’uomo, il militare armato da sconfiggere, ma un intero popolo, donne comprese.

Nell’unico dibattito in Parlamento sul tema , ben 60.000 donne chiesero un risarcimento per violenza, mentre molte altre probabilmente preferirono tacere, anche se l’ex Partito Comunista Italiano, le forze cattoliche e l’Unione Donne Italiane, le incoraggiarono a raccontare gli abusi subiti. Avere dei numeri precisi è difficile, anche perché il problema degli stupri sulle donne venne in parte sfruttato: non solo le violenze erano un ottimo strumento per raffigurare il nemico come ancor più terribile, ma molte donne finsero di essere state abusate per ottenere l’indennizzo, cumulabile con la pensione di guerra.

Mediamente , glia busi sessuali della Seconda guerra mondiale più denunciati erano quelli legati alle truppe coloniali. In effetti, le violenze sia fisiche che sessuali, venivano chiamate marocchinate, in quanto eseguite dai militari francesi provenienti dalle colonie, soprattutto – ma non solo – marocchini.

Gli ufficiali francesi chiesero addirittura di assumere più prostitute per placare la furia dei goumiers , ma la questione era solo in parte sessuale. D’altro canto , gli Alleati no  fermarono mai questi episodi di violenza sulle donne, tanto che, quando i soldati americani di passaggio da Spigno sentirono le urla delle donne violate, il sottotenente Buizick rispose al sergente McCormick, che gli chiese cosa fare : << credo che stiano facendo quello che gli italiani hanno fatto in Africa>>.

Incolpare i soli goumiers degli stupri, tra il 1943 e il 1945, sarebbe quindi riduttivo. Tra i soldati europei e quelli delle colonie, tra quelli nazisti e quelli americani non c’è più alcuna differenza : la guerra porta a una totale perdita di civiltà , un trionfo delle barbarie contro chiunque. Basti pensare che alcuni gruppi di fascisti stuprarono le partigiane o le donne civili: una colpa quindi, di cui si sono macchiati gli uomini provenienti da ogni parte del mondo, di ogni fazione politica o credo religioso. Invasori o presunti liberatori, nessuno risparmiò nessuno.

Se quindi da un lato, le donne parteciparono attivamente alla guerra, rendendosi utili non soltanto come infermiere, dall’altro lato questo trionfo del genere femminile venne oscurato dai soprusi subiti, fatti di una violenza non solo fisica, ma più di tutto simbolica e psicologia, umiliante , troppo spesso ignorata.

Ho letto e riletto i vari libri scritti sull’Alluvione dai vari Autori che sono citati nel Post Scriptum per scoprire i refusi e le fallaci “verità” descritte, per portare alla luce ciò che veramente successe allo zio Giacomo in quei giorni fatidici dell’Alluvione, e di quando a a causa di strani accadimenti arrivò in questa provincia e conobbe Zia Palmira Lucia.

Chi scrive non lo ha mai conosciuto se non attraverso la lapide che sta in cimitero a Villadose e dalle tristi parole di sua moglie.

La descrizione del 14 e 15 novembre 1951 per quanto riguarda lo zio Giacomo Conti è dunque totalmente vera, frutto della testimonianza diretta di chi con lui ha vissuto e lo ha amato.

Ciò che ho tentato di ricostruire e in parte inventato basandomi su storie raccontate dai suoi Famigliari siciliani e dalle letture sulla Tortorici di quei tempi, sono l’infanzia di Giacomino, i suoi sogni, le sue vicende con i vari “caporioni” che si sono avvicendati nel Paese siciliano e sui monti Nebrodi.

Non me ne voglia chi legge se ho immaginato sentimenti e corse sui selvaggi e tortuosi sentieri e torrenti di quei monti lontani, se ho descritto le corse sfrenate portando la “vara” , le sue scappatelle in montagna per saltare i giorni di scuola, de ho inventato “don Saverio” e il “sergente Clint”, ma un Autore ha il dovere di delineare vari personaggi e la sua storia, cercando i catturare l’attenzione del tettore ed emozionarlo.

Quando con l’immaginazione ho connesso i fatti, colmato vuoti, ricostruiti dialoghi, ipotizzando scene e luoghi e dato corpo a pensieri ed emozioni, ho cercato di farlo in modo mai arbitrario, ma basandomi su fonti storiografiche e testimonianze reali. Questo vale anche per l’ex Sanatorio rodigino e i nomi dei medici.

Anche se certi nomi sono frutto della mia fantasia, appartengono tuttavia alla cronaca locale e alla situazione che si viveva a quei tempi nei Paesi delle montagne siciliane, così come le battaglie che si sono svolte a Troina e a Tortoirici, l’arrivo degli Americani e la fuga dei Fascisti e Tedeschi.

Non c’è una conclusione per questo romanzo, solo la volontà di ripristinare una storia per troppo tempo scordata. In memoria.

 

ECCO I “RINGRAZIAMENTI” FINALI A CURA DI ANTONELLA BERTOLI  

Gli avvenimenti sconvolgenti di quel novembre del 1951 sono stati di una importanza determinante per la stesura di questo scritto, che si ritrova a metà tra il romanzo e la storia vera.

Naturalmente, per un Autore, scrivere un libro nel quale l’azione ha avuto luogo in anni lontani, dove i personaggi scomparsi, dove l’ambiente è estraneo in quanto vissuto solo attraverso i filmati , fotografie , registrazioni e libri, è di per sé un progetto complicato.

Ma diventa necessario se i Documenti degli Archivi confermano i ricordi dei racconti fatti dai famigliari che quelle disastrose vicende le hanno vissute sulla propria pelle.

Sicuramente il compito di un Autore è ricostruire pensieri, azioni e sensazioni. 

Diventa un obbligo ricostruire la verità storica , mistificata e malamente raccontata nelle varie cronache riportate da libri e giornali.

E per quanto riguarda l’opera presente sono riconoscente a un gran numero di persone per il loro aiuto. A due in particolare: Cristina Tognon per avermi aiutato nella consultazione degli Archivi della Provincia di Rovigo e a Emanuele Grigolato Direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo per avermi dato la possibilità di scartabellare tutti i Registri e i Faldoni dell’Ex Sanatorio.

Il mio ringraziamento più grande va a mio marito , Ivan Dall’Ara , che mi incita a scrivere e a continuare a farlo, nonostante tutto.

Grazie a mia sorella Maria Grazia che ha scritto con me le lettere al Sindaco di Villadose e al Presidente della Provincia e che mi è stata sempre vicino quando siamo andate a presentare le richieste e a raccontare ai vari Comuni , nel 70° Anniversario dell’Alluvione, quanto avevamo scoperto.

Un pensiero riconoscente ai parenti che abitano in Sicilia per le informazioni e per le foto che ci hanno inviato, facendo in modo di sentirci vicini anche se così lontani e ripristinando affetti e legami famigliari dispersi nel tempo.

Alcuni dei nomi riportati sono di pura finzione, il dottor Piccino, don Saverio e il sergente Clint ad esempio, ma lo zio Giacomo che avrebbe potuto dirmi i nomi veri di chi lo ha accompagnato durante la sua crescita e la risalita dalla Sicilia al Veneto, purtroppo io non l’ho mai conosciuto ed è scomparso tragicamente tra el acque in cui quel camion che ha contribuito a guidare , si è inabissato.

Per ultimo , ma non per importanza, un grazie immenso a Luigi Contegiacomo , già direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo, per la bellissima prefazione.

INDICE DEI CAPITOLI ( Titoli e Pagine di riferimento nel Libro , edito by “ilmeloneditore”, settembre 2022)

Non sapevi che ti aspettava la morte ( pag 7); Prefazione di Luigi Contegiacomo ( 11); Premessa ( 15); Villadose , 14 novembre 1965 ( pag 23); Villadose, 6 luglio 1944 ( pag 27) ; Tortorici, 18 settembre 1921 ( pag 45); Tortorici, luglio 1940 ( pag 55); Tortorici, agosto 1943 ( pag 59); Rovigo, 6 luglio 1944 ( pag 71); Rovigo , 6 luglio 1944 ( pag 77 );  Sanatorio di Rovigo, 7 luglio 1944 ( pag 83); Villadose , 16 aprile 1947 ( pag 95); Villadose , novembre 1980 ( pag 103) ; Post Scriptum ( pag 109); Villadose, 14 novembre 2021 ( pag 121); Tortorici, 22 febbraio 2021 ( pag 122) ; Da Villadose a Tortorici  ( pag 122); Villadose , 4 ottobre 2021 ( pag 123); Villadose , 19 ottobre 2021 ( pag 125); Ringraziamenti ( pag 127); Documentazione allegata ( pag 1341); Note ( in ordine di inserimento nel testo) ( pag 139) .

SINTETICA “SCHEDA – BIOGRAFIA” DELLA AUTRICE ANTONELLA BERTOLI 

ANTONELLA BERTOLI , di Villadose ( RO) , è laureata in Scienze della Formazione ed Educazione con Master in Andragogia; giornalista dal 1990, è stata assessore provinciale alla Cultura, Pubblica Istruzione, Università, Turismo e membro della Commissione Edilizia Scolastica e Pubblica Istruzione presso il Ministero della P.I.

“Lucia , Giacomo e il camion della morte” è la sua terza opera in prosa , dopo “Bianca, una storia quasi vera” e il romanzo storico su “La Boje”.

Ha al suo attivo anche un libro di testi teatrali “Se come il viso si mostrasse il core” e due sillogi poetiche “Emozioni per l’Uso” e “Il tempo non aspetta”.

Appassionata della storia del movimento femminile, tiene conferenze su Donne, Società, Femminismo e Politica.

 

EXTRATIME by SS/ Promesso che vi proporremo più avanti una piccola rassegna di altre testimonianze polesane sulla Grande Alluvione del 1951, ci basta proporvi in questa occasione, il seguente ‘pertinente’ flash-testimonianza (anche se scrive Conte anziché Conti...) raccontato pubblicamente nel 1991 da Vittorio Padovan , uno dei sopravvissuto del ‘camion della morte’:<< “Avevo ventun anni, ero ufficiale di censimento per il comune di Rovigo. Da qualche giorno facevo parte del comitato di emergenza costituito dalla Provincia. Si lavorava in previsione di un cedimento degli argini, per lo sfollamento delle zone più minacciate e per portare viveri a chi intendeva restare… Migliaia di persone avevano già lasciato le case, altrimenti chissà mai come sarebbe finita … “.

E poi continuava Padovan:<< In cabina, con Baccaglini, c’era Primo Tramarin, cuoco al collegio Di Rorai: aveva la madre a Fiesso e s’era offerto per far da guida, lui che conosceva la zona. Dietro, nel “cassone”, Giacomo Conte, usciere in Provincia, Ugo Bertin, Giorgio Bellini ed io, seduti sul tavolato, spalle alla cabina, avvolti nei cappotti. Viaggiammo per più di un’ora, con brevi soste. La strada era difficile, disseminata di roba abbandonata; qualcuno la percorreva in fretta, diretto non so dove. Ad un certo momento sentii che era necessario tornare… Non si passava … “.

Spiegava poi Padovan: << Ad un ponte, credo vicino a Roncala, una borgata tra Fiesso e Pincara, l’acqua tracimava da un canale. Impossibile proseguire… Vicino c’era una fattoria. Arrivò gente, volle salire sul camion… C’era da litigare… Salirono in molti… Ne arrivavano da ogni parte. Quanti, non lo so. Il camion era stipato. Gente perfino sul tetto della cabina… lo ero sul parafango sinistro… Sul cofano erano anche Bertin e Tramarin, che indicava la strada nella caligine umida.>>.

 

Il resto  fa parte della Storia , quella che abbiamo già raccontato in parte qui su www.polesinesport.it , compreso i nomi degli 84 morti residenti  Frassinelli ( basta chiedere a Google e vi rimanda direttamente alle pagine interessate su questo sito...) , per cui con riferimento a Libro-romanzo scritto da Antonella Bertoli, dopo averla onorata in cover, vi proponiamo in fotogallery la lapide dedicata a Giacomo Cinti ne cimitero di Villadose, abbinandola agli altri sfortunati del ‘camion della morte’ ricordato nel Sacrario di san Lorenzo a Frassinelle ( vedi foto con dedica).

Mentre a completamento per onorare direttamente il ‘terzo libro’ scritto da Antonella Bertoli, vi proponiamo infine la relativa copertina- libro, col sottotitolo significativo “14 novembre 1951: una storia da riscrivere”, come ha ben fatto l’Autrice per celebrare Giacomo Conti, eroe di sensibilità e di volontariato.

 

 

Antonella Bertoli & Sergio Sottovia

www.polesinesport.it