Castelnovo Bariano col Museo del Canar, dalle origini “Vicus Varianus” al castello di Matilde di Canossa fino al Ponte in chiatte sul PO dal 1902 verso Sermide/ Poi 200 anni di Storia-enclave che Franco Rizzi ‘ama e racconta’ così…


Castore e Polluce Gurzoni sono due gemelli di Castelnovo Bariano nati nel febbraio 1922 e sono stati entrambi pittori famosi in tutta Italia “perché i loro quadri vivissimi raccontano con poesia l’incanto del fiume PO danno una immagine suggestiva e molto sentita dell’ambiente polesano e degli angoli più significativi del Po e della campagna”.
Ecco allora che il racconto by Franco Rizzi , anche in questa occasione cantastorie dell’enclave altopolesano e che nello specifico ci racconta la Storia di Castelnovo Bariano, completandola con  la storia del ponte in chiatte a collegare il ‘suo paese’ con Sermide, diventa un altrettanto “quadro completo” del vivere nell’enclave altopolesano ai bei tempi di quella meglio gioventù della civiltà contadina vissuta dai suoi nonni e dai suoi genitori, integrata da quel suo ‘vissuto giovanile’.
Anche perché il reportage trasmessoci da Franco Rizzi è come la nota canzone “Girotondo in torno al mondo “ di Sergio Endrigo, quanto mai attuale ai giorni nostri , come è stato il “ponte in chiatte sul Po” tra Castelnovo Bariano e Sermide, anche in senso filosofico oltre che socio-economico.
Insomma , rimandandovi in calce al nostro tradizionale Extratime per ulteriori nostri commenti relativi al paese in cui è stato sindaco per 25 anni Corrado Chieregatti (classe 1911 e passato alla storia come ‘onestissimo’) , proponiamo con piacere ai nostri lettori questa Storia fatta ‘di cuore e di anima’ e raccontata da Franco Rizzi, anche perché “prototipo di memoria e futuro” al di là della trasformazione del citato ponte in chiatte nell’attuale ponte stradale, sempre tra Castelnovo Bariano e Sermide.

 

 

 

MAIN NEWS ( di Franco Rizzi, mail 29.07.2022)/ CASTELNOVO BARIANO: L'ARGINE DEL PO TRA IL PONTE E BARIANO
CASTELNOVO BARIANO: IL PONTE IN CHIATTE E LA STORIA DI BARIANO
Castelnovo Bariano ai primi del '900, come tutto l'Alto Polesine del resto, sente un'aria nuova  a livello socio-economico. L'agricoltura decolla (mais, grano, bietole, patate), nascono industrie (fornace, fecola, l'odierna Cargill...), urge rinnovare la viabilità, il Po lombardo-veneto non deve essere più un ostacolo ma collegare le due sponde, la castelnovese e la sermidese.

Il 6 novembre 1902 viene inaugurato, a cura dei Comuni di Massa Superiore (l'odierna Castelmassa) e Castelnovo Bariano il ponte in chiatte. "Esso poggia su barche di legno, che soltanto più tardi vengono sostituite da altre in cemento armato " (Sermide: un secolo di cartoline, Sermidiana Edizioni 2012, p. 163).

 

 

 

Un consorzio intercomunale porta a termine la strategica infrastruttura, superando grossi problemi finanziari e burocratici: costo finale lire 210.565,51. I vasti banchi di sabbia e l'esistenza di fronte a Castelmassa dell'isola Renaio, sovrani specie in periodo di magra, obbligano il progettista massese Oliviero Bianchi a concepire non un collegamento diretto fra Castelmassa e Sermide ma in corrispondenza dell'argine golenale castelnovese Mayol, lontano dal centro abitato massese. In questo punto funzionava già un traghetto rodigino-mantovano.

La Domenica del Corriere, il più popolare magazine di quei tempi, il 23 novembre 1902 dedica la copertina alla solenne inaugurazione lombardo-veneta. Le tariffe per il passaggio pontiere sono distinte in 19 categorie e all'uopo assunti un paio bigliettai.

Nel 1944, per cause belliche, il ponte interregionale viene bombardato e distrutto dagli alleati anglo-americani tanto che i collegamenti sermidesi-castelnovesi sono affidati a imbarcazioni varie.

 

 

 

Ciò dal 13 luglio 1944 al 10 agosto 1947. Dopo il 25 aprile 1945 si sente forte la necessità di ricostruire il ponte distrutto, in particolare le bietole altopolesane non raggiungono celermente lo zuccherificio di  Sermide, la cui direzione aziendale si attiva in tal senso.

Il 17 maggio 1947 si apre il cantiere e il 10 agosto successivo si inaugura il nuovo ponte in pompa magna. Il 2 luglio 2022, a causa della magra storica fluviale, sono riemersi per la prima volta sulla riva golenale aperta i resti del ponte bombardato dagli Usa nel 1944.

La Società Zuccherificio di Sermide e i Comuni di Sermide, Castelnovo Bariano e Castelmassa curarono nel 1947 la pubblicazione di un dossier fotografico intitolato Ricostruzione del ponte in chiatte sul Po, riscoperto recentemente da Renzo Bertazzoni, Enrico Bresciani e Michele Farnasa, cultori di storia locale mantovana, che hanno realizzato un pregevole calendario intitolato Anno 2019: ponti, traghetti, barche, da riva a riva... Edizioni La Kabbalà. 

 

 

 

Nel 1962 una legge nazionale prevede l'eliminazione dei ponti in chiatte sul Po (Castelnovo Bariano, Ficarolo, Polesella...) e la sostituzione con strutture in cemento armato adeguate ai tempi. Le cause: traffico specie pesante in continuo aumento; le lunghe interruzioni quotidiane per il passaggio delle navi fluviali (bettoline); le cattive condizioni dei vecchi ponti e le ingenti spese di manutenzione ordinaria e straordinaria; le piene autunnali e primaverili sempre incombenti e la relativa chiusura prolungata. Nel luglio 1971 è aperto senza inaugurazione l'attuale ponte: lungo 1026 metri e largo 10, diventa strategico per le comunicazioni lombardo-veneto-emiliane.

 

 

 

Il ponte sul Po per quasi settant'anni è stato un microcosmo socio-economico fra la sponda veneta e quella lombarda, avendo svolto un servizio prezioso per tutti. Camion, macchine, moto, bici, pedoni, una varietà umana peculiare, quando la motorizzazione spinta e l'inquinamento erano di là da venire. Una baracca in legno all'inizio della struttura dalla parte castelnovese ospitava l'esattore che ti dava il biglietto a pagamento con cui potevi passare. Le cifre erano adeguate ai tempi e non esose e si racconta di qualche portoghese che svicolava a sbafo, usando trucchi astuti. La navigazione fluviale era d'ostacolo alla circolazione pontiera. L'apertura del ponte durava circa 30', capitava che l'interruzione si prolungasse, se giungevano più imbarcazioni e l'operazione si iterava nell'arco delle 24 ore. Passavano su e giù le bettoline (in dialetto "petroliere"), che trasportavano in genere petrolio grezzo dalla laguna veneta alle raffinerie di Mantova e Cremona.

 

 

 

Sono proverbiali le piene del Po, nel' '900 ricco di acque. Le piogge autunnali lo ingrossavano assai e si ricorda che il 14 novembre 1951 ruppe in più punti ad Occhiobello, inondando gran parte del Polesine, una piena mai vista.

In primavera lo scioglimento delle nevi in montagna faceva alzare tanto il livello medio per cui più volte il ponte fu chiuso al traffico e alcune sezioni ("puntàde") ancorate a riva per lasciare sfogare la corrente. La fornace sorgeva in golena  tra l'argine principale e il secondario a fiume, la strada per il ponte le passava accanto. Questa veniva interrotta e chiusa verso il ponte  con una alto sbarramento in legno ("traàda") e sacchi di sabbia (apertura nell'argine dove la strada in discesa portava al ponte).

 

 

 

"Il 25 aprile 1961 il Po è in piena e la corrente vorticosa trasporta a valle centinaia di tronchi di pioppo abbattuti in un bosco golenale. L'enorme pressione è fatale alle chiatte che vengono trascinate via. A bordo di alcune rimangono sette pontieri che vengono tratti a riva ad una decina di chilometri a valle  dagli ancoraggi del ponte. Altre pontate sono bloccate a diversa distanza da Sermide dopo un estenuante inseguimento. Il fatto dimostra che il ponte in chiatte è ormai inadeguato e pericoloso" (Sermide,cit. p. 182).
Ho frequentato le scuole medie a Sermide (la media unificata sperimentale, un anno prima che l'obbligo fosse alzato per legge a 14 anni in tutt'Italia) dal 1962 al 1965, percorrendo il ponte in chiatte sempre in bici.

 

 

 

Eravamo in tanti ad andare a scuola a Sermide, molti (pure da Castelmassa e Bergantino) iscritti all'avviamento professionale e per noi il ponte era croce e delizia, divertimento e difficoltà per una struttura ormai sgangherata ma ancora essenziale, per i copertoni danneggiati da un fondo in legno  abbondantemente usurato, per i tempi biblici d'interruzione da e per Sermide causa la navigazione fluviale.

Bei ricordi, monellate, pioggia, freddo, fango, caldo, nebbia, ghiaccio nel fiume, amicizie, bei voti e delusioni in aula e nei laboratori, i primi languori amorosi, le rivalità fra ragazzi, un'epoca di povertà e di intraprendenza, quando l'Italia era febbrilmente percorsa dal boom economico in tempi di natalità spiccata e le scuole piene solo d'italiani.

 

 

 

Un amarcord particolare. Nel novembre 1963 una piena pericolosa costrinse gli addetti ai lavori a chiudere il ponte per alcuni giorni. Per non perdere le lezioni io e altri compaesani in classe insieme raggiungemmo lo stesso Sermide, usando il traghetto Calto-Felonica in giornate piovose e in bici ovviamente. Una bella avventura rimasta indelebile nel cuore e nella mente, specie la lunga traghettata in mezzo ad un Po pieno d'acqua limacciosa e veloce, mentre dal cielo cadeva incessantemente una fitta pioggia.

Ricordo, attorno al 1970, il gigantesco cantiere per la costruzione del nuovo ponte in cemento armato, i tanti posti di lavoro creati alla bisogna, l'apertura senza inaugurazione nel luglio 1971, le barche in cemento del vecchio ponte tirate a secco e abbandonate in golena. Il vecchio mondo fluviale lombardo-veneto tramontava definitivamente, uno nuovo sorgeva all'insegna della motorizzazione di massa e del traffico pesante e inquinante, quello odierno.

 

 

 

Argine maestro in sinistra Po, quelli secondari, le golene, chiuse e non. Amore a prima vista. Un posto dalle bellezze un po' nascoste, che un occhio non allenato agli orizzonti bassi... piatti, magari fa fatica a riconoscere. Amarcord l'argine del Po dove intere generazioni novecentesche sono nate e cresciute, il luogo della natura presente in tutte le fasi della vita, ieri e oggi.
Da piccoli alla prima aria di primavera si andava sull'argine a raccogliere viole e margherite e si stava in giro finché si facevano almeno due mazzolini, uno per la mamma, l'altro per la maestra, gli stessi poi appassivano prima di sera. Per le vacanze estive passeggiate, marachelle, giochi vari all'ombra dei pioppi e in mezzo all'erba, una vita un po' selvaggia all'aria aperta fra i bagni in Po e i primi pruriti dell'adolescenza.

 

 

 

D'inverno c'era chi andava a scendere tipo bob dall'argine sulla neve con sacchi o slitte primitive. Pioveva molto allora in autunno e in primavera e le piene del grande fiume facevano paura; l'argine maestro invece dava senso di sicurezza, protezione, l'amico di sempre. Si andava sulla sommità arginale a vedere sin dove era salita l'acqua limacciosa e violenta da far paura e la gente, poi, là, a guardare e a fare previsioni. Pur se per tanti adulti e anziani oggi il paesaggio fluviale sa di affettuosa familiarità,  riesce ancora a prenderti di sorpresa nell'emozione e nel trasalimento improvvisi, ciò per la luce particolare che passa fra i pioppi o sull'acqua, o per gli aironi cinerini (belli a vederli lì, fissi, a guardare l'orizzonte come se fossero in meditazione), per le lepri che  sfrecciano improvvise, per i fagiani a volare fra cielo e terra. Oppure magari per dei ricordi che ti prendono all'improvviso, non sapendo neanche il perché, pur se sai che questo angolo di mondo tutto tuo, lo porti dentro da sempre e per sempre.

 

 

 

Argine, argini, golene come vita, gioventù monella e sorridente, natura verde, estate canicolare, pioggia, neve, piene di Sua Maestà il Po, strada, bagni, sabbia scottante, le iniziazioni sessuali in "boschìna", le prime sigarette, il gusto del proibito, la vita all'aria aperta d'estate, il muschio per fare il presepe prima di Natale, le brine invernali, le fitte nebbie novembrine, il canto degli uccelli ad annunciare la primavera, le "banche"  arginali interamente fiorite multicolori di maggio, l'erba secca di luglio e l'ombra refrigerante dei lunghi e fitti pioppeti, le prime piogge di fine agosto ad annunciare l'autunno e il ritorno triste a scuola, abbandonando   fra poco per troppi mesi la frontiera dell'intimo, quella arginale.

 

 

 

Una categoria della mente ma specie dell'anima, un microcosmo novecentesco ormai memoria, sempre pregnante nell'immaginario collettivo, un "piccolo mondo antico" per noi gente del Po, un'oasi naturalistica verde tra le vie Gramignazzi, Giacciana, Spinea e Argine Po compresa fra Bariano e l'ex fornace Meneghini assurta sin dal 2000 a dimensione interregionale inglobando la mantovana l'isola Bianchi con il Po di Mezzano.

Nel 2019 questa chicca fluviale è entrata, tramite il corso medio del Po, a far parte del patrimonio Unesco, in un territorio rurale di 47,56 km2, compreso fra due fiumi, il Po e il Canalbianco, una mesopotamia irrigua e ferace, il vasto Comune di Castelnovo Bariano, terra di frontiera lombardo-veneto-emiliana.

 

 

 

 

Bariano, località arginale di ormai poche case sparse nella piatta pianura cerealicola: a est dista oltre un km dalla sede municipale castelnovese, a ovest 5 da Bergantino. Di fronte il fiume Po largo qui solo 400 metri a toccare, quasi, il minuscolo nucleo abitato di Carbonarola, dalla caratteristica chiesa settecentesca (Comune mantovano di Borgocarbonara; confine acqueo lombardo-veneto sfiorante quasi l'argine principale castelnovese). Un guado storico tanto che un tempo il genio pontieri di Legnago veniva volentieri qui a costruire il ponte militare per il mirato addestramento.

 

 

 

"In epoca romana, un vico, o insediamento umano, era situato sulla grande strada al punto in cui la Pestrina (o Fosse Filistine) si staccava dal Po. Trattavasi del Vicus Varianus (poi volgarizzato in Bariano), stazione posta sulla strategica via legionaria e commerciale da Aquileia a Bologna". Questo a più riprese raccontava il compianto maestro William Moretti, fra l'altro docente avanguardista, romanziere, sceneggiatore, sociologo e cultore originale di storia locale.

 

 

Nel medioevo si susseguirono i domini del monastero di Nonantola, della contessa Matilde di Canossa (che nel 1098 eresse il castello Badrignano, l'attuale toponimo Bariano; il maniero, più volte riadattato, durerà sino all'800), della diocesi di Ferrara.

Nel 15° secolo, vicino all'odierna isola Bianchi, fu eretta la chiesa di S. Bartolomeo, attorno ad un nucleo abitato golenale consistente, pur se il castello sorgeva a campagna dell'odierno argine maestro asfaltato. Dal 1485 Bariano dipese in temporale e in spirituale da Ferrara, prima con gli Estensi, dal 1598 tramite il papato. Tempi lunghi basati su alluvioni endemiche, pauperismo diffuso, epidemie, guerre... tanto che nel 1602 la chiesa di S. Bartolomeo e il relativo vico furono distrutti dalla furia terribile del Po. La gente abbandonò del tutto la golena, si spostò vicino al castello e nei dintorni, in un'epoca in cui si stava sviluppando la Bonificazione Bentivoglio, foriera del primo benessere agrario altopolesano. Nel 1815-18 Bariano fu assegnato definitivamente al Polesine.

 

 

 

Il castello nei secoli cambiò ovviamente proprietà, sempre nobiliare. Si ricordano, fra gli altri, i Camelli (o de' Petri) e i Cybo. Nel 1798 Napoleone invasore cedette il castello, preda bellica, a Giacomo Mayol per motivi politici, che lo recuperò in pieno, trattandosi di una villa signorile turrita circondata da un fossato. Ai primi dell'800 Castelnovo Bariano s'esprimeva in tre frazioni: Bariano, Castelnovo e S. Pietro in Valle (poi Polesine), dipendenti dalla municipalità di Massa Superiore, l'odierna Castelmassa. In epoca austriaca il piccolo borgo di Bariano cominciò a perdere importanza, prova ne sia che la figlia minore di Giacomo Mayol vendette il castello già obsoleto a degli speculatori. Questi nel 1853 lo demolirono ricavandone pietre da costruzione. L'abate Bellini, nei suoi studi locali, ci ha lasciato notizie e illustrazioni del castello ancora in auge. In municipio esiste da molti anni un bel quadro effigiante con toni enfatici il castello di Bariano, il primo nucleo abitato comunale.

 

 

 

Durante i moti rivoluzionari europei del 1848 si ribellò agli austriaci il Comune di Massa Superiore. Per rappresaglia Vienna creò una nuova municipalità denominata Castelnovo (toponimo derivato da un altro castello scomparso ed ubicato vicino alla fornace ex Meneghini, oggi dismessa e sempre vicino al Po), comprendente, appunto, Castelnovo, S. Pietro e Bariano. Nel 1866 ci fu l'annessione all'Italia e l'anno dopo il governo di Firenze, con apposito decreto, aggiunse giuridicamente il toponimo Bariano, l'attuale Castelnovo Bariano.
Bariano tornò in primo piano negativo quando l'Enel costruì, fra il 1981 e l'85, la centrale termoelettrica oltre il Po tra Sermide e Carbonara (adesso detti centri si chiamano Sermide e Felonica e Borgocarbonara), mentre era in funzione già dai primi anni '70 la similare di Ostiglia a pochi km., due bombe ecologiche nel tempo.

 

 

 

A Sermide: 4 gruppi di 320Mw ciascuno alimentati ad olio pesante, un camino alto 220 metri, un polo energetico lontano da Sermide e Carbonara ma a poche centinaia di metri da Bariano sulla riva veneta del Po. Inquinamento aereo per tutti ma in primis per Castelnovo Bariano. Si mobilitò la stampa locale, comitati di cittadini di qua e di là del Po, le istituzioni a vari titolo furono obbligate a muoversi tanto che il governo Prodi nel 1997 deliberò di metanizzazione di Sermide e Ostiglia.
Domenica 3 gennaio 2021 il settimanale L'Espresso, uno dei magazine più autorevoli e diffusi a livello nazionale, alle pagine 46-47 pubblicò una foto dell'argine maestro del Po in piena visto da Bariano: sullo sfondo mantovano la centrale a metano di Sermide-Carbonara. Ciò in un ampio e documentato articolo a firma di Fabrizio Gatti ("Virus e cambiamento climatico: inquinati senza traffico. Nei mesi del lockdown la qualità dell'aria nella Pianura Padana non è migliorata..."). Ecco: Bariano, un toponimo ormai insignificante scelto per dimostrare uno dei mali pandemici del pianeta su cui tutti dobbiamo riflettere e agire in senso positivo.

 

 

 

EXTRATIME by SS/ In cover la icona di Castelnovo Bariano ‘in the world by wikipedia.
Peraltro in una location-enclave Altopolesine con dirimpettaia la mantovana Sermide, che Sua Maestà il Po divide e unisce al tempo stesso, anche nei problemi quotidiani, come la Centrale di Sermide mesa ‘a pagina intera’ ( vedi flash in apertura di fotogallery) sul news magazine Espresso e ‘studiata’ a gennaio 2021 come fatto nazionale e di ambientalismo universale.
Anche per questo, a corredo di tutta la Castelnovo Bariano Story e degli ultimi 200 anni con specifico focus by Franco Rizzi e il suo amarcord tra Ponte sul PO e habitat golenale ed enclave altopolesano interregionale, vi proponiamo una serie di immagini che ‘tutto certificano’ partendo da lontano nel tempo.

 

 

E che parlano da sole, dai ‘vasi storici’ scoperti sul territorio e in mostra nel Museo del Canàr che ho visitato insieme ai ‘cinque’ Ciceroni in foto ( da sx il tandem consorziale Bombonato e Padovan col Direttore del Museo e il sindaco di Castelnovo Bariano a fianco di Franco Rizzi) alla doppia certificazione del dominio by Matilde di Canossa tra ‘dipinto a cavallo e mappa geografica dell’epoca, col Polesine ‘appartenente’ giuridicamente a due “Poteri” temporali diversi ( vedi colori arancio e viola) .
Entrando nei tempi della storia del Ponte in Chiatte sul PO tra Castelnovo Bariano e Sermide eccovi una serie di “cartoline” che ne certificano la sua evoluzione storica a partite dall’inizio del ‘900, quando sul PO altri ponti, da Ficarolo a Polesella ( vedi ultima foto con Ponte vecchio in barche-chiatte e ponte nuovo in costruzione negli anni ’70) hanno collegato le Comunità venete a quelle emiliane-romagnole.
Al di là dei problemi idrografici e delle varie ‘piene del Po’ che si sono verificate nel tempo, come dimostra la foto che ho scattato nel 2010 con gli automezzi dei Vigili del Fuoco pronti ad intervenire ‘sotto il ponte di Polesella’.

 

 

A questo punto, partendo dalla foto che ho scattato a Franco Rizzi con sfondo la chiesa parrocchiale di Castelnovo Bariano, prima di partire in escursione “Oltre Po” nelle Terre Matildee  tra Sermide, Felonica e dintorni , vi proponiamo una serie di certificazioni sia personali che storiche ,  a partire dal fatto che alle spalle del ‘trio’ Sergio Sottovia, sindaco Massimo Biancardi, Fausto Merchiori in Municipio a Castelnovo Bariano sulla parete c’è una foto storica del ‘ponte in chiatte sul PO’.
Mentre a rappresentare il quintetto in tour nelle sue varie escursioni “Oltre PO”  vi propongo anche il trio Sottovia, Rizzi, Padovan davanti al Castello di Stellata e poi insieme a Bombonato e ‘Donna Prassede’ nel tradizionale cerimoniale dello scambio culturale – culinario tra …libro e pranzo a tavola.
E dopo le varie ‘mappe’ che certificano le “Terre Matildee” dell’Oltre PO e le terre storiche dell’enclave Altopolesine tra Po, Tartaro, Canalbianco, Adige, con epicentro la zona archeologica del ‘Canàr, facciamo rientro nella Sinistra Po in Altopolesine partendo dalla foto dell’ingegner Padovan ( già direttore della Bonifica Padana Adige Po) sull’argine a Sermide con sfondo dirimpettaia sponda di Castelmassa , che poi fotografiamo con di cui fotografiamo poi la piazza con sfondo la facciata della chiesa ‘celebrata’ in copertina nel primo libro di Giovanni Guareschi nella storica saga ”Camillo e Don Peppone”.

 

 

Mentre, considerando che anche la Grande Storia ‘cammina’ sulle gambe delle persone, tanto più se sono giovani, vi propongo dulcis in fundo a mo’ di cartolina-saluto con invito a segnalarne i relativi nominativi, tutti gli studenti della Scuola di Castelnovo Bariano ‘premiati’ sul palco ai Giochi Studenteschi di…qualche anno fa, da parte di Bruno Nissotti (vedi sua Story qui su www.polesinesport.it) all’epoca vice presidente Coni Rovigo, per una “Top Ten” con tanto di Diploma tra le mani degli studenti altopolesani.

 

 

Franco Rizzi & Sergio Sottovia
www.polesinesport.it