Il giornalista polesano Germano Bovolenta è stato celebrato dalla sua “Gazzetta” nell’antologia rosa delle grandi firme. Ha scritto migliaia di articoli sul grande calcio/ Pubblichiamo un suo ritratto sul mitico allenatore Nereo Rocco


Germano Bovolenta, il nostro amico “ger.bo.”, polesano, portotollese di nascita, milanese di adozione ma legatissimo alla sua terra, è stato recentemente celebrato da Sportweek, il settimanale della “sua” Gazzetta, il giornale in cui ha lavorato più di trent’anni. Lo hanno inserito nell’antologia delle grandi firme de “La Gazzetta dello sport”, assieme a mitici direttori come Bruno Roghi, Gianni Brera e Candido Cannavò. Hanno pubblicato, oltre alla sua ricca biografia, un suo articolo scritto sulla sfida di coppa Campioni fra Juventus e Verona, a porte chiuse nel 1985. Germano ha scritto migliaia di articoli: interviste, storie, corsivi, pezzi di costume e di fondo in prima pagina. Ha spaziato anche in altri campi e incontrato uomini del cinema, dello spettacolo e della vita sociale. Famosa una sua intervista a Nelson Mandela, Nobel per la pace.
Conservo molti articoli dell’amico e Signore della Rosea, Germano Bovolenta, un professionista esemplare, sempre molto gentile e disponibile. Fra gli altri ho ritrovato un meraviglioso ritratto di una decina di anni fa sul Grande allenatore Nereo Rocco, uno dei giganti della storia del calcio. Lo ripropongo qui con piacere per ricordare l’immenso Paron Nereo raccontato da uno dei grandi giornalisti sportivi italiani.

 

 

FOTO 2 / Un’immagine di più di trent’anni fa. Barcellona 1989, Ruud Gullit, Germano Bovolenta e Carletto Ancelotti festeggiano la conquista della Coppa dei Campioni contro la Steaua. Ricorda Bovolenta: “Eravamo amici. C’era un altro clima, altri rapporti: giornalisti e giocatori dopo le partite andavano a cena insieme” (pubblicata su La Voce di Rovigo).

 

NEREO ROCCO - PERSONAGGIO STORY ( di Germano Bovolenta, by La Gazzetta dello Sport , febbraio 2009) / RACCONTATO DA GERMANO BOVOLENTA
Trieste, 20 febbraio 1979, fa molto freddo, la bora soffia a 150 chilometri all’ora. Nereo Rocco muore all’ospedale Maggiore. Al suo capezzale c’è Tito, il figlio minore, el dotor farmacista. Tito raccontava: «Il giorno prima mi guardò con gli occhi confusi e mi disse: Tito, dame el tempo». Come diceva a Marino Bergamasco e Cesare Maldini verso la fine della partita, quando non c’era ancora il recupero.
«Pensava di essere in panchina», sorrideva triste Tito.
Il funerale di Nereo Rocco viene celebrato due giorni dopo e Trieste si ferma e le rive sono piene, i ristoranti, raccontano i ristoratori, fanno anche tre turni. Ci sono tutti ai funerali del «filosofo, burbero, bonario, popolaresco, impetuoso uomo di sport».

Tutti, da Gianni Rivera a Bepi Straza, accompagnano Nereo al Campo Terzo del cimitero Sant’Anna. Lo portano lassù, verso Valmaura, dove c’è il vecchio stadio in cui ha giocato e allenato.

Poi vicino ne faranno uno nuovo: il Nereo Rocco, con la sua statua di bronzo e le targhe. Nello stadio moderno, elegante, forse troppo svodo, vuoto, ci sono le sue gigantografie, i faccioni, quel mento severo, i cappellini, gli occhi furbi e luminosi.

 

 

FOTO 3 / Germano Bovolenta, Dejan Savicevic e Franco Baresi sull’aereo di rientro da Atene dopo la vittoria del Milan in coppa dei Campioni contro il Barcellona nel 1994. E’ stato proprio Germano a soprannominare “Genio “il fuoriclasse montenegrino Savicevic (Foto pubblicata su Il Resto del Carlino ).

 

Hanno scritto: era un uomo buono, non un buon uomo. E un ottimo giocatore. E un grande, grandissimo, leggendario allenatore.
Figlio di Giusto, macellaio, è bravino scuola, ma gli piace troppo el balon. Il cognome del padre è Rock, austriaco. Il nonno, Ludwig, faceva il cambiavalute e veniva da Vienna.

Rock diventa Rocco nel 1925, quando per lavorare nel porto era obbligatorio avere la tessera del fascio.
Il cognome doveva essere italianizzato, doveva diventare Rocchi, ma l’impiegato all’anagrafe sbagliò e nacque così Rocco.
Nereo ha un fisico imponente, gioca nella Triestina e lavora nella bottega del padre. Un giorno, primi anni Trenta, arriva a Trieste il Napoli di Sallustro, Vojah e Cavanna.

Si sistemano in un grande albergo, davanti alla stazione marittima, Rocco passa da lì con il camioncino e scarica la carne. Racconterà,una sera nel suo «ufficio», all’Assassino: «Mi vergognavo su quel camion pieno di agnelli e conigli. Avevo la "traversa" bianca, non sapevo come nascondermi. Io, giocatore e macellaio, loro "lì belli e signorotti". Mi sono messo la mano sul viso, sono saltato di corsa sul camion e ho accelerato».
Vero? Mah. Gli amici lo chiamavano fiaba perché sapeva raccontarle molto bene.

 

 

FOTO 4 /  Una storica immagine. Germano Bovolenta con Nelson Mandela a Johannesburg nel giugno 1992. Il giornalista di Porto Tolle in  quell’occasione ha intervistato il mitico premio Nobel per la pace, l’uomo che ha sconfitto il razzismo in Sudafrica. (Foto pubblicata su La Gazzetta dello Sport.)

 

Racconta, si fa capire, spiega. Soprattutto il calcio. Triestina, Padova, Milan, scudetti, coppe, medaglie e popolarità.
Parla il dialetto, un italo-triestino pieno di battute, sarcasmo, ironia e saggezza.
Non è un contadino, non ha le scarpe grosse e il cervello fino.
Hanno scritto: «Inveisce, brontola, è uomo del popolo ma anche psicologo, furbo ma sincero. Giusto e umano. Sa insultare con eleganza, non lacera mai».
Prendiamo Helenio Herrera. Sono rivali nei derby, Helenio fa lo spaccone e lo provoca. Nereo lo chiama: quel mona de mago, soprattutto — dirà—«dà lavoro a quei mona di giornalisti».

Diventano tutti mona, i compagni, gli amici, i dirigenti federali e non, José Altafini.
Anzi Jòse con l’accento sulla o. I difensori, i portieri, gli arbitri, il compagno di tressette e di bevute Nicolò Carosio.
E’ sempre stato legato a Trieste, da un filo sottile e — raccontano i biografi — anche strano. Non riesce a starne lontano, ma nemmeno è capace di rimanerci.

 


FOTO 5/  Germano Bovolenta, Ruud Gullit e Arrigo Sacchi a Milanello nei primi anni 90. Germano ha seguito per molti anni i successi del Milan in Italia e nel mondo. Sacchi in un’ intervista di lui ha detto: “Germano è un vero fantasista del giornalismo. Nel calcio sarebbe un numero 10” (Foto pubblicata su La Voce di Rovigo).

 

 

Quando arriva vicino alla città, accelera:«Se la mucca la senti l’odor de la stalla la cori de più».
Dal «posto di lavoro», sempre in auto. Tutti i lunedì, dicono i figli. Con la Simca da Padova, con la Flavia e la Mercedes da Milano e con un’Alfa verde da Torino. Lui diceva: «Sono un buon guidatore». Esagerava.

Una volta con Rivera ha fatto Milano-Trieste in quarta.
Quando Gianni l’ha fatto notare: "Ma signor Rocco, non mette la quinta?", ha risposto quasi indignato: «Ciò, mona, pensa ai fatti tuoi".
Raccontava il figlio Tito: “A Torino aveva un’Alfa verde, la targa cominciava... Non ricordo, butto lì un numero a caso, mettiamo TO 345. Dopo due settimane torna a Trieste con la stessa auto, stessa cilindrata e un numero di targa diverso. Noi ragazzi a queste cose guardavamo. "Papà, è la stessa macchina?".
"Certo, perché?, che macchina dovrebbe essere?".
"La targa è cambiata...".
"Ma và, mona...".

 

 

FOTO 6/ Con il grandissimo Roberto Baggio nella redazione della “Gazzetta”. Il portotollese Germano Bovolenta ha curato la bellissima collana (un lungo film in 10 dvd) sulla storia del “Divin Codino” e scritto un libro, edito dalla “Gazzetta dello Sport”, sulla sua vita.  (Foto pubblicata su La Voce di Rovigo)

 

Era diversa. Sa cosa aveva fatto? Era finito dentro le rotaie del tram e l’aveva mezza sfasciata. E allora ne acquistò un’altra, uguale in tutto, ma ovviamente con una nuova targa. Non so, forse si vergognava, era fatto così».

L’uomo delle fiabe diventa un conduttore di uomini. Alla sua maniera. A Milanello lo chiamano mister.
«Mister te sarà ti, mona. Io sono il signor Rocco».

Anzi el Paròn. Comanda lui. Quando qualcuno lasciato fuori formazione, si lamenta, («Perché, signor Rocco?»), risponde pronto: «No xe mia la decision, ma de la siora Maria». Cioè sua moglie. Lo dice, una volta anche a quel mona de Jòse. Ma è soltanto un modo di dire per tenere alto, e soprattutto in mano, lo spogliatoio.
Altafini è il suo centravanti preferito e, con rispetto parlando, il «buffone» della compagnia.
Altafini inventa lo scherzo dell’armadietto che entra di diritto nella hit parade dell'aneddotica rocchiana.

 

 

Foto 7 / Germano Bovolenta con il direttore de “La Gazzetta dello Sport”, Candido Cannavò. Il giornalista polesano ricorda con grande affetto il mitico direttore della “rosea”: “ci voleva bene, era come un padre: splendido professionista e straordinario conduttore di uomini” (Foto pubblicata su  La Voce di Rovigo)

 

 

Nereo vive negli spogliatoi, si cambia con i giocatori, è uno di loro e con loro resta a parlare a lungo, specialmente il martedì, sulle panchine. José si nasconde nel suo armadietto. Rocco arriva, lo trova aperto, si alza il cappello e s’interroga.

«Mah, strano, neanche ieri l’ho chiuso».
Lo apre e spunta fuori, nudo urlante, Altafini: «Baahhh!».
E Rocco spaventato: «Bruto mona, te me fa vegnir l’infarto».
Si siede sulla panchina fingendo di ansimare pesantemente: «Non farlo più, non farlo più... Disgrassiato».
Altafini lo rifaceva e la scena si ripeteva. L’anno dopo Rocco va via, arriva Nils Liedholm, Altafini ripropone con il Barone la scena dell’armadietto. Ma quando salta fuori, nudo, urlante, il Barone sussurra: «No. Non è questo tuo armadietto».

 

 

FOTO 8 / Il Milan di paron Nereo Rocco in versione poster , protagonista in Coppa delle Coppe 1967/68 (Foto pubblicata su www.polesinesport.it, nella Storytelling dedicata al polesano Saul Malatrasi).

 

 

Era un attore. Federico Fellini nel 1973 gli propose di recitare in Amarcord. S’incontrano in un ristorante a Bologna, pranzano a tortelli e lambrusco, si scrutano.

Rocco doveva fare il padre di Titta. Ci pensa. Poi, quando i suoi giocatori vengono a saperlo e lo prendono in giro, cambia idea.
«No, grassie sior Fellini».
Ma la rinuncia è dovuta, soprattutto, agli impegni del Milan in coppa e campionato.
«Peccato—dirà il grande Federico — nel padre di Titta io volevo un uomo burbero, sentimentale, romantico, antifascista, rozzo ma simpatico. Rocco era il personaggio giusto».

 

 

FOTO 9_ROCCO / Gianni Rivera con Nereo Rocco. El Paron  ascoltava Gianni, lo adorava, era il suo terzo figlio. Lo invitava a passare le vacanze nella sua casa di Trieste o al mare a Lignano Sabbiadoro.  «El Gianni – diceva - xe i me oci».

 

 

Il suo set era il campo, era lì che offriva performance indimenticabili, accompagnato dal più grande di tutti i grandi: Gianni Rivera.
Lo ascoltava, lo adorava, era il suo terzo figlio, Gianni. Lo invitava a passare le vacanze nella sua casa di Trieste o al mare a Lignano Sabbiadoro.
«El Gianni xe i me oci». C’è tutto in questa definizione. El Gianni doveva solo giocare dove voleva o sapeva. Hanno giocato e vinto. Gianni ha sempre detto: «Rocco manca fisicamente a tutti quelli che lo hanno conosciuto».
Gli hanno dato del catenacciaro, anche nel Milan.
«Ma per favore, davanti eravamo io, Hamrin, Sormani e Prati e prima ancora Mora, Altafini e Barison».
Hanno chiesto al suo bambino d’oro: Rocco era più persona o personaggio? E Gianni: «Uomo. Lui era sempre vero, sempre se stesso. Sia nelle decisioni ufficiali, sia nei momenti di relax».
Vero, autentico. Come la sua vita.

 

 

Foto 10_ROCCO /  Due fantastici protagonisti del calcio degli Anni 60. Helenio Herrera  e Nereo Rocco erano grandi rivali nel Derby di Milano ma si stimavano. Helenio lo provocava sui giornali e Nereo rispondeva: “Sta zitto, mona de mago”.

 

 

EXTRATIME by SS/ Germano Bovolenta & Nereo Rocco, uniti qui su www.polesinesport.it, come fossero due convergenze parallele che miracolosamente si incontrano.
Perché, signori, qui parliamo di Nereo Rocco, “El Paron” per tutti i suoi giocatori. Quante volte me l’hanno raccontato i rodigini Martinelli e Cattozzo, suoi giocatori nel Treviso 1951/52, e Celestino Celio suo giocatore nel Grande Padova. Per non parlare di Saul Malatrasi che il Paron ha voluto al Milan. Che ricordi, che bellezza…
E potrei svelare anche alcuni aneddoti polesani col ‘paron’ Rocco, protagonista ad Adria con Polo (suo compagno nel Padova). A Rovigo con Don Mario Bisaglia, il “prete volante biancazzurro” e l’allenatore Romolo Camuffo.

 

 

Foto 11_ROCCO / "El Paron" Nereo Rocco 'ospite gradito' ad Adria nel 1977 alla Trattoria Laguna. Con polesano Giuseppe polo suo compagno da giocatore nel Padova e a dx il cavaliere Ugo Levi storico dirigente dell'Adriese ( Foto pubblicata su www.polesinesport.it, nella Storytelling dedicata a Ugo Levi). .

 

 

 

E le struggenti confidenze di Saul Malatrasi, quando col paron Nereo che gli diceva: “Ciò,  Rovigoto, me raccomando, controlla le due cocorite ”. Il riferimento era agli esuberanti  Lodetti e Trapattoni, quando andavano in “libera uscita”.

Ma mi fermo qui, perché già citate nei rispettivi Personaggio Story raccontati sempre qui su www.polesinesport.it , ricordando soltanto che per certi versi anche Germano Bovolenta è un ‘paron. Ovviamente dal punto di vista giornalistico, punto di riferimento per molti suoi colleghi giovani.

Ricordo alcune speciali ‘prefazioni’ di Germano a libri sportivi polesani. Dalla biografia Arnaldo Cavallari, strepitoso vincitore della Parigi-Dakkar con Sandro Munari , alla storia dello Scardovari Calcio,  fino alla mia trilogia “Polesine Gol – Campioni & Signori”. Senza dimenticare i consigli e dritte affettuose a noi tutti che lo stimiamo e ammiriamo.

 

 

 Foto 12_ROCCO / Germano Bovolenta in una recente rimpatriata amarcord col sottoscritto e con alcuni suoi amici calciatori del Delta Po , che LUI da giovane giornalista emergente ha raccontato come protagonisti nelle blasonate , da Cà Venier a Scardovari, da Contarina ad Adria e in tour polesano e veneto ( Foto pubblicata su www.polesinesport.it, nella Storytelling dedicata sia ai fratelli Silvano e Sergio Cester che al portiere Ottorino Veronese).

 

 

Germano Bovolenta & Nereo Rocco. Me li immagino come nelle vignette dell’Arcimatto di Gioan Brera fu Carlo sul Guerin Sportivo dei bei tempi.  Germano e Nereo che parlano di Calcio & Vita, magari camminando lentamente lungo gli argini del Po della Donzella, da sempre casa e “buen ritiro” del Germano del Delta.

Ma il personaggio principe di questo nostro reportage stile “Memoria & Futuro” è innanzitutto lui, il ‘Signore della Rosa’. Cioè Germano Bovolenta, cantastorie di sport e di vita.

Perché ha ‘vissuto dal di dentro’ il Grande Calcio Mondiale a fianco di tanti campionissimi, poi celebrati come solo lui sa fare. E qui, scusate se mi ripeto, ricordo ancora quel suo incontro con Nelson Mandela, il grande premio Nobel della pace, che ha speso la sua vita per regalarci un mondo ‘senza apartheid’.

 

 

FOTO 13 / Il giornalista polesano Germano Bovolenta, qui nella redazione della Gazzetta dello Sport con la coppa del mondo di club (Fifa Club World Cup), ha raccontato 30 anni di grande calcio italiano e internazionale. (vedi storica prima pagina de La Gazzetta dedicata all'Italia Campione del Mondo winner 3-1 vs Germania) .

 

 

Anche per questo onoriamo Germano Bovolenta in fotogallery, con sottostanti relative didascalie by specifici Mass Media, proponendolo altresì in cover in tandem col Nereo Rocco da lui raccontato con rispetto e dolce ironia,  da “rabdomante dell’anima”, tra calda umanità e divertita aneddotica.

Lui, Germano Bovolenta, esperto anche di cinema (la sua grande passione) me lo immagino un po’ regista come il Fellini di Amarcord, dove anche le nebbie della Pianura Padana sono sfumature dell’anima, della nostra civiltà contadina e del nostro piccolo mondo antico.



Sergio Sottovia
www.polesinesport.it