La “Peste Nera” dei Promessi Sposi, vissuta a Badia dal medico Maurizio Tirello/ E nel suo trattato “La Peste dell’Abbadia del Polesene. Nel cui essempio LA Peste d’Italia dell’Anno 1630-31 si ragguaglia. Sue Cagioni, Rimedij, e Contagione”


Dopo il racconto storico sulla “PESTE NERA” vissuta in Altopolesine specificatamente a Melara in ‘Transpadana Ferrarese’ e raccontata da Don Sante Magro, adesso vi proponiamo a completamento questo ‘racconto diretto’ sulla stessa PESTE NERA vissuta dal medico Maurizio Tirello a Badia Polesine , poco distante da Melara ma all’epoca alle dipendenze di Venezia, la Repubblica Serenissima.

Talmente incisiva e specifica che ci basta riportarvi in prologo l’importanza del ‘trattato’ a firma del medico Tirello , peraltro citato nei libri d’inizio Terzo Millennio a cura dello storico  Pierluigi Bagatin , oltre che da Michela Marangoni con riferimento a “Trattati e considerazioni riguardanti la peste del 1630: Il gran contagio di Verona nel Milleseicento, e trenta di Francesco Pona(40); La peste dell’abbadia del Polesene. Nel cui essempio la peste d’Italia dell’anno 1630. 1631. si ragguaglia. Sue cagioni, rimedij, & contagione di Maurizio Tirelli(41); Della peste trattato di Gio. Battista Locatelli medico publico di Rouigo(42) “ 

PERCIO’ ECCO IL PREANNUNCIATO “PROLOGO- NEWS“ / Dalla «bramata salute» alla «salutifera croce»: itinerari di ricerca nella biblioteca del vescovo Baldassare Bonifacio(1)

MICHELA MARANGONI  ( A mia sorella Paola († 2016) ) 

La Biblioteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, nelle due sezioni che la costituiscono (Concordiana e Sivestriana)(2), conserva numerose opere riguardanti le scienze della natura e dell’uomo: alcuni manoscritti(3), decine di lezioni in fascicoli sciolti di soci accademici, centinaia di lettere di corrispondenti del medico e naturalista Antonio Vallisneri (1661-1730)(4), molte dissertazioni stampate tra la fine del XV e la prima metà del XIX secolo(5).

 


 

In questa occasione, tuttavia, si è pensato di procedere in modo assai circoscritto percorrendo la libreria del vescovo di Capodistria Baldassare Bonifacio (Crema 1585-Capodistria 1659)(6) alla ricerca di opere edite tra la fine del Quattrocento e la metà del Seicento riguardanti la botanica, la chimica, la mineralogia, la medicina, l’anatomia, la filosofia e la teologia naturale. I risultati ottenuti, superiori alle aspettative, sono qui presentati in una selezione tutt’altro che esaustiva.

La raccolta libraria del prelato, formata da circa 4.000 volumi, si trova oggi «dispersa ra libri di diversa provenienza»(7) all’interno della Concordiana con solo qualche rarissimo esemplare in Silvestriana dove, però, sono finiti quasi tutti i manoscritti autografi del Nostro.

È lo stesso Bonifacio a dichiarare la consistenza della raccolta scrivendone in terza persona in un lavoro autobiografico intitolato Peregrinazione(8): «[…] nella […] [libreria Bonifaccia] il vescovo di Giustinopoli ha ridotto sinora quattromila volumi e la va di giorno in giorno accrescendo più per la posterità che per se medesimo e per testimonio d’aver da lei ricevuto gran parte di quell’erudizione ch’egli ha raccolta nelle sue molte composizioni […]»(9).

Il catalogo della libreria è conservato nel ms. 378 della Silvestriana: elaborato da Giovanni Piazza nel 1650, nove anni prima della morte del proprietario della raccolta, registra solo 2.500 opere con alcune aggiunte posteriori per lo più di mano di Vincenzo Bonifacio (1630-1706), vescovo di Famagosta e nipote di Baldassare; per questa ricerca il ms. 378 è stato utilizzato assieme al catalogo a schede della Concordiana(10).  >> 

 

 

 

MAIN NEWS ( di Franco Rizzi, mail 04.02.2023)/ BADIA POLESINE. 1630, LA PESTE MANZONIANA STUDIATA E SCONFITTA NELLA RELAZIONE DEL MEDICO DI BASE MAURIZIO TIRELLO SULLA “MORTE NERA” CHE ... LA VISSE DIRETTAMENTE

Per tutto il’600 la peste nera è più che mai atra mors, gran morìa, epidemia ad alto tasso di diffusione e mortalità: un accadimento ineludibile, fatale, letale, che assale il corpo sociale europeo nei gangli vitali, i grandi recinti urbani sovraffollati e miasmatici, mortiferi e consumatori di uomini. “Lungo le grandi vie commerciali, nei grandi empori d’Europa si scambiano merci, denari, malattie”, così J. Delumeau in modo magistrale (v. Il peccato e la paura. L’idea di cola in Occidente dal 13° al 18° secolo, Il Mulino, Bologna 1987, passim) ci descrive la paura collettiva in merito. Per l’area veneta sempre utile F. Vecchiato (Economia e società d’antico regime tra le Alpi e l’Adriatico, Verona, Libreria Universitaria Editrice, pp. 409-415).

La storia di un’epidemia è raccontata da chi ha una memoria puntuale, attenta a dettagli apparentemente secondari. La pandemìa bubbonica, o manzoniana, che colpì l’Italia nel 1630-31 è ampiamente descritta dai cronisti e dai medici-fisici (o medici di base d’epoca) con trattati scientifici più o meno validi, dai rapporti delle autorità sanitarie. Ogni capitale, ogni capoluogo, tanti centri urbani, anche insignificanti, vantano libri e racconti a stampa, accanto al vasto materiale manoscritto.

Badia Polesine, allora dominio veneto, ha una lunga e seria descrizione da parte del suo medico di base.

 

 

 

“La Peste dell’Abbadia del Polesene. Nel cui essempio LA Peste d’Italia dell’Anno 1630-31 si ragguaglia. Sue Cagioni, Rimedij, e Contagione”, libro edito a Rovigo da Giacinto Bissuccio nel 1631. L’opera è dedicata – una pagina, l’unica in carattere tondo – al marchese Corneli Bentivoglio che l’autore badiese e medico di base Maurizio Tirello chiama “signor mio e patrono colendissimo”. Un libro scritto “nel tempo, fra queste dure conditioni dell’Abbadia qualche giornata tradusse”.

Il manuale è scandito in quattro parti, o trattati: il primo (pp. 4-22) descrive l’”istoria della peste dell’Abbadia”; il secondo (22-50) sulla “cagione della peste”; il terzo (53-88) “i rimedi della peste”; l’ultimo (89-149) “della contagione”.

Il medico badiese ammette, come tanti, che tale morbo “è spada di Dio”: la causa prima di questa sventura collettiva sta nell’ira divina a motivo delle trasgressioni, delle irregolarità, dei peccati commessi dagli uomini.

La medicina combatte la malattia e le argomentazioni scientifiche saranno alla base di questo trattato.

Due motivi spingono l’autore a questo impegno scientifico-letterario: il primo per segnalare le grandi qualità morali ed intellettuali del medico (n.d.r.: di lui stesso!); il secondo il dovere deontologico di scrivere un trattato sulla peste, quando in merito solo Ippocrate è da considerarsi attendibile.

 

 

 

Badia Polesine nel 1630 conta circa tremila abitanti distinti in “cittadini, artisti et plebe”. Famiglie più in vista: Recanati, Rosini, Vecchi, Simeoni, genealogie familiari affermatesi nel tempo “per il meriti dell’armi e il chiaro delle lettere”. Artisti: borghesia mercantile e agrari.

Nel 1630 al Nord imperversa il conflitto per la successione di Mantova, fase italiana della Guerra dei trent’anni. La peste “diceuasi popolare in Lombardia”, non lontano da Badia tanto che la Dominante aveva rafforzato le linee confinarie relative come “l’Abbadia per tanto, come più vicina al fuoco della guerra”.

Con una leva d’emergenza furono chiamati alle armi centocinquanta badiesi insieme a una settantina di bombardieri e ottanta cavalieri “armati di carabina e terzette”, al comando di Giacomo Recanati notabile badiese. Questi si meritò il plauso di Pietro Basadonna massima autorità militare veneta nel Polesine di Rovigo per essersi efficacemente opposto alle “grosse scorrerie de’ nemici verso Sanguené e Bouolone nel Veronese”.

Intanto arriva la peste con i primi morti e, allarmato, Maurizio Tirello allerta le autorità civili, sanitarie e militari locali e rodigine tanto che scattò l’emergenza. Proprio in giugno il morbo scoppiava un po’ dappertutto. A Badia la morte nera colpì per primi i giovani, che morivano numerosi, “diuorandone di loro dieci in quindici alla giornata”, poi gli adulti poveri. Si credeva che la pandemia nascesse fra i diseredati per arrivare alle classi dirigenti. I soliti sintomi: febbre altissima; delirio; lieve vomito; urine leggermente alterate; sistema arterioso in difficoltà. Di giorno in giorno la pandemia dilagava. La paura si fece isteria collettiva quando “in breve spatio” morirono ben tre chirurghi o medici; con i defunti si seppellivano anche i becchini e i religiosi delle cerimonie funebri.

 

 

 

Venezia adottò provvedimenti doc, affidando la gestione del morbo con pieni poteri a commissari straordinari. Nel Polesine di Rovigo (e quindi a Badia) operò efficacemente Domenico Ruzini che isolò l’”Abbadia” per bloccare il diffondersi del contagio: commerci e comunicazioni bloccati; palizzate dovunque e coprifuoco; aperto un lazzareto provvisorio; truppe ai confini… La morte nera sembrava invincibile, “da fanciulli, dalle donne, dalla plebe scorse più alto ne’ mercanti e cittadini. Funerali veloci ma tutti i morti furono inumati in terra consacrata, mentre Verona li gettava a migliaia nell’Adige, che arrivavano sino a Badia, dove affioravano a gruppi sparsi.

Maurizio Tirello si diede da fare assai ma si ammalò e si rifugiò in campagna. “fuggi fuggi… uscì dall’Abbadia e in una capanna della campagna mi ricouverai”. 

Ad agosto la tragedia collettiva raggiunse il culmine: su cinque medici, quattro morti e Tirello ko ma poi “alla pristina fermezza ritornai”. A Badia morivano una trentina di abitanti giornalieri, solito e rapido il decorso: febbre intensa, bubboni, deliri acuti, vomito “di poche materie, quelle di bianca bile, sofferenze atroci per chiudere gli occhi in meno di quattro giorni.

Molta gente si rifugiò in campagna onde evitare i perniciosi assembramenti urbani. A fine agosto 1630 restavano vive soli seicento persone, nonostante il coprifuoco e la militarizzazione, insieme a energiche misure sanitarie: processioni, messe, penitenze…

Unico rimedio invocato il ricorso ai santi taumaturghi, come S. Rocco e S. Sebastiano, ma specialmente si invocò Maria Vergine. Improvvisamente le piogge settembrine purificarono l’ambiente e il morbo lentamente sparì. Nel 1631 a Badia in onore di Maria salvatrice fi edificata la chiesetta della B. V. della Salute, tempietto aperto al culto sempre ed anche recentemente restaurato.

 

 

 

APPENDICE FLASH STORY / ABITO DEL MEDICO DELLA PESTE ( by www.wikipedia.it)

Con abito del medico della peste ci si riferisce all'abbigliamento utilizzato un tempo dai medici per proteggersi dalle epidemie.

L'abito era costituito da una sorta di tunica nera lunga fino alle caviglie, un paio di guanti, un paio di scarpe, un bastone, un cappello a tesa larga e una maschera a forma di becco dove erano contenute essenze aromatiche e paglia, che agivano da filtro per impedire il passaggio degli agenti infettanti.

STORIA

L'uso di rudimentali maschere protettive è attestato a partire dal XIV secolo quando i medici, durante le epidemie, iniziarono a indossare particolari maschere a forma di becco, tenute ferme alla nuca da due lacci.[1]

L'idea di un indumento completo fu proposta nel 1619 da Charles de Lorme, medico di Luigi XIII, prendendo come spunto le armature dei soldati.[2] Oltre alla maschera a forma di becco, già esistente in Italia e in uso soprattutto a Roma e Venezia, de Lorme ideò una veste idrorepellente in tela cerata lunga fino ai piedi, comprensiva di guanti, scarpe e cappello a tesa larga.[1]

La maschera era una sorta di respiratore: aveva due aperture per gli occhi, coperte da lenti di vetro e un grande becco ricurvo, all'interno del quale erano contenute diverse sostanze profumate (fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e, quasi sempre, spugne imbevute di aceto).[3] Lo scopo della maschera era di tener lontani i cattivi odori, all'epoca ritenuti, secondo la dottrina miasmatico-umorale, causa scatenante delle epidemie, preservando chi l'indossava dai contagi.[4]

Come accessorio esisteva un bastone speciale, che i medici utilizzavano per esaminare i pazienti senza toccarli, per tenere lontane le persone e per togliere i vestiti agli appestati.[3]

 

 

 

EXTRATIME by SS/ In cover il MEDICO ai tempi delle Peste Nera , a simboleggiare quanto sopradescritto anche by wikipedia , e nello specifico anche la sua figura iconica rappresentata by Paul Fürst e titolata “ Der Doctor Schnabel von Rom” in colored version.

Quindi in apertura di fotogallery, giusto anche per contestualizzare la “Peste Nera” nell’habitat Badia Polesine, vi proponiamo la Abbazia della Vangadizze e poi le antistanti  notissime e storiche “arche sepolcrali di Alberto Azzo II e di sua moglie Cunizza e di Azzo VI” che... non hanno bisogno di specifiche didascalie.

Oltre alla Mappa dell’Altopolesine tra Badia & Dintorni, integrata dalla mini-foto trasmessaci da F.R., cantastorie dell’enclave interregionale.

E con riferimento al periodo della Peste Nera, di manzoniana memoria,  vi proponiamo il quadro rinascimentale della “Madonna della Salute” ( ora trasferito alla Sovrintendenza dei Monumenti) che era visitabile nell’omologo ORATORIO costruito nel XVI secolo come ex voto per la fine della citata Peste Nera del 1630-31 raccontata e vissuta dal medico Maurizio Tirello.

E come foto finale per onorare Badia Polesine vi proponiamo “Ecce Homo” , l’altorilievo della Chiesa arcipretale di San Giovanni, talmente significativo e rappresentativo che anche Gian Antonio Cibotto , il noto scrittore e storico polesano, che, dopo aver spiegato perché ogni anno andava a portare i fiori sui sopracitati ‘sarcofaghi’, scrisse così:<< .. il sottoscritto si reca a Badia non solo per la Vangadizza, ma anche per contemplare l’”Ecce Homo” della chiesa principale, l’Oratorio della Madonna della Salute, nonché la mano di san Teobaldo, patrono della città. Senza mai dimenticare la Piccola Fenice, ovverossia il Teatro Sociale, il Museo Civico, ricco di sorprese, nonché il balcone sull’Adige in località Bova, dove si celebra la <<Sagra degli Aquiloni>> ideata da Beggio e Mora, due sognatori dimenticati.

Mentre il sottoscritto non dimentica il ‘valore promozionale ‘ dell’amico professore Paolo Aguzzoni , cantastorie della Abbazia della Vangadizza oltre che di tutta la vita badiese, da giornalista innamorato del suo paese e del territorio , da vero ‘informatore scientifico’ pro habitat socio culturale.

 

 

Franco Rizzi & Sergio Sottovia

www.polesinesport.it