Polesine “Mesopotamia” tra Po e Adige (Seconda parte by Rubis Zemella)/La rotta di Malcantone/Occhiobello. E’ la Grande Alluvione del 14 novembre 1951. Il Polesine è invaso dalle acque del Po


Questa “Seconda Parte” completa quanto raccontato nella rubrica precedente. Cioè la “Prima Parte” nella quale Rubis Zemella vi ha proposto un excursus storico, facendo focus sulle “ROTTE” che hanno cambiato il volto del Polesine (la rotta dell’Adige/Cucca nel 589 e la rotta del Po/Ficarolo nel 1152, Taglio di Porto Viro 1604-1623, Sostegno di Bosaro/Canalbianco 1794, Collettore Padano, inizio 1900)
Adesso in questa “Seconda Parte” c’è la Grande Alluvione del 1951. Fatti e analisi tratte dal suo libro “ La mia Polesella perduta” (stampato a maggio 1992 dalla Tipolitografia Queriniana-Brescia). Un Libro cha ha la capacità di collocare il ‘particulare’ (Polesella e la sua storia) nel contesto della ‘generale’ (Eventi e Alluvioni che tra Adige e Po hanno cambiato la storia nazionale/internazionale).
E che perciò vi proponiamo subito in sequenza news, completando il viaggio dentro il libro di Rubis Zemella, struggente cuore di emigrante polesano.

PRIMA NEWS/ L’ALLUVIONE DEL NOVEMBRE 1951 ( by LIBRO di Rubis Zemella)
<< Per chi , come me si trovava in quei giorni lontano dal pericolo mortale che minacciava invece tutta la gente Polesana, gli scarni comunicati della radio e i rapidi resoconti giornalistici non potevano di certo dare l’idea esatta di ciò che stava accadendo.
Di quella tragica vicenda, che ha colpito i territorio del Polesine, riporto in sintesi quanto letto sull’opuscolo del Consorzio Generale per la Ricostruzione delle Bonifiche Polesane dopo l’alluvione.

<< Alle 19,30 del 14 novembre 1951 si produceva la prima rotta per tracimazione a Vallice, seguita subito dopo da quelle di Bosco e Malcantone in sinistra del fiume e in comune di Occhiobello; la fiumana stramazzante sulle campagne sottostanti iniziò così la sua marcia distruttrice sul Polesine, volgendo il cuneo principale verso est.
Causa di questo enorme piena erano stati eventi meteorologici di rara gravità; e cioè le piogge in quantità eccezionale cadute nel breve spazio di sei giorni su gran parte del bacino imbrifero padano; a loro volta queste piogge erano state conseguenza di un largo flusso di venti meridionali, caldi e umidi, soprala regione alpina italiana; l’aria tiepida aveva aumentato la media termica facendo piovere anziché nevicare e sciogliendo per giunta la neve caduta.
Per di più i laghi alpini, data la copia d’acqua caduta, non avevano potuto esplicare la loro funzione regolatrice, ponendo in piena i loro emissari affluenti del Po.
A tutto questo bisogna aggiungere la eccezionale mareggiata che in quei giorni insaccò le acque dell’Adriatico nei rami del Delta. E da qui l’immane disastro che tuttavia richiamò tempestivi e notevoli interventi.
Come già nel lontano 1882, quando ruppe l’Adige, anche ora fu chiesta l’immediata demolizione di Fossa Polesella; ma anche in questa circostanza, prevalse il criterio di contenere l’allagamento far il Canalbianco ed il Po sotteso dalla Fossa Polesella, al fine di permettere un più lungo respiro allo sgombero del territorio ad est di quello sbarramento trasversale.

Si calcolava infatti che ci sarebbero voluti poco più di due giorni per colmare la capacità ricettiva i quella zona; sta però di fatto che le cose precipitarono, la naturale pendenza del terreno verso la Fossa Polesella accelerò la discesa delle acque in quella direzione e, dopo soltanto sette ore dal momento in cui le acque incominciarono ad appoggiarsi contro l’argine destro della Fossa Polesella, e cioè alle ore 12 del 15 novembre, la sommità di detto argine venne superata su quasi tutta la sua estensione. 
Invaso così l’alveo della Fossa, l’incontenibile fiumana si riversò in Canalbianco, discese verso il vicino sostegno di Bosaro,   rigurgitò verso i ponte ferroviario di Arquà e ne squarciò le testate, dilagando sulla sinistra del Canalbianco verso Rovigo.

A questo punto si dovette per forza procedere ad alcuni tagli nell’arginatura sinistra della Fossa; le acque straripanti si rovesciarono sulle terre della sottostante Bonifica Polesana, raggiungendo Adria nelle prime ore del giorno 16 e la zona delle dune il giorno dopo.
Il cordone dunoso offrì un ostacolo all’enorme massa d’acqua determinandone un’inversione di marcia verso Rovigo, come si può notare dalle direttrici di invaso indicate sulla cartina.
L’acqua finalmente si arrestava nella serata del 19 proprio alla periferia del capoluogo.
Pochissimi territori rimasero all’asciutto; la maggior parte era stata ricoperta da una lama d’acqua della profondità media di due metri e mezzo con punte di oltre sei in corrispondenza dei catini più depressi.

Esauritasi la piena del Po e placatasi l’ira delle acque che intanto avevano raggiunto il mare, l’immensa laguna stesa sul Polesine restituiva una ad una le 84 creature umane che aveva ingoiate , mentre nella notte sul 15 novembre cercavano scampo sulle strade di Frassinelle, e depositava sulle rive centinaia di carogne di animali sorpresi in fuga, ma continuava anche a nascondere nelle sue torbide profondità il segreto  di altre distruzioni compiute.  
In quei momenti di angosciosa disperazione tanti pensarono che il Po, ormai disalveato, non sarebbe più stato imbrigliato nel suo letto e che il territorio a destra del Canalbianco era da considerarsi definitivamente perduto.
Ma il tempo, la tenace volontà dell’uomo, coadiuvato da potenti mezzi meccanici, restituirono ben presto a quel territorio il suo primitivo aspetto e la speranza di nuova vita; tanto che il 24 maggio 1952, a pochi mesi dall’inizio dei lavori di prosciugamento, il suono di tutte le campane del Polesine salutava il risveglio delle terre già riemerse.

Molte e complesse furono le opere che si dovettero affrontare per il loro recupero, per la riparazione della rete stradale nonché degli edifici pubblici e privati e per il ripristino delle arginature che furono anche rialzate sulla loro sommità, ma, a detta degli esperti, non sufficientemente rinforzate alla base con ‘banche’ e ‘sottobanche’ per garantire una sicurezza maggiore in caso di una nuova inondazione del Po.
A Polesella l’alluvione aveva sconvolto il centro vitale posto sul famoso ‘Liston’ ; proprio accanto all’edicola (indicata con una freccia sulla figura) si era aperto un pericoloso fontanazzo, fortunatamente tamponato i tempo, e subito dopo il muraglione del Sostegno di Polesella aveva subito uno slittamento a fiume, mettendo a nudo la prima casa del ‘Liston’ , quella col panificio di Max Turolla e ponendo tutte le altre vicine in situazione di grande pericolo con gli scantinati allagati. Allora venne segnato il destino della famosa Fossa!
Il primo intervento su di essa fu quello di sbarrarla, tamponando con mezzi provvisori i suoi 12 squarci in attesa di provvedimenti definitivi, questo per evitare possibili ritorni d’acqua sulle terre emerse.

La Fossa Polesella doveva tuttavia essere interrata, perché rappresentava ormai un pericolo non solo per il centro abitato, ma anche per le campagne circostanti. Peraltro, da circa un decennio, assieme al sostegno ad aghi di Bosaro, la Fossa aveva perso l’originaria sua funzione di diversivo delle acque Veronesi e Mantovane sul Po, in conseguenza degli ultimi lavori di ampliamento e approfondimento del Canalbianco.
Solo alcuni anni dopo però, nel 1957, venne tombata, ma solo fino al ‘chiavicchino’, cioè poco oltre Villa Serafini.

Il tratto rimasto, fino all’imbocco col Canalbianco, persa la sua funzione idraulica, è andato a far parte dell’insieme dei canali consorziali a scopo di irrigazione.
Fossa Polesella non è morta totalmente, anche se mutilata, serve ancora all’uomo e nelle sue restanti sinuosità nasconde i ricordi di un passato ricco di storia e, immerso nella sua magica bellezza, ancora adesso mi riporta a rivivere i tempi gioiosi e gloriosi della mia adolescenza.
Purtroppo anche l’antico e caratteristico centro vitale di Polesella, che dal Liston si affacciava ridente e luminoso sul grande Fiume, è stato abbattuto.    Bisognava dare continuità e sicurezza all’argine dl Po, perché la terra lega con la terra e non con le murature.
L’abitato venne spostato sopra la Fossa ormai ‘tombata’.>>


SECONDA NEWS/ SEMPRE SULL’ALLUVIONE DEL 1951 ( sempre by LIBRO di Rubis Zemella)
<< L’articolo in questione suscitò allora un grande interesse per la polemica che propose, all’indomani dell’alluvione, sugli errori fatti in quel frangente e sull’utilizzo di Fossa Polesella.
Poteva essere salvato metà del Polesine?
Alcuni sostengono di sì, se fossero stati fatti saltare subito gli argini della Fossa onde permettere all’acqua di defluire in mare.
Altri, tra cui il Presidente del Magistrato delle Acque di Venezia, sostennero invece che l’allagamento completo sarebbe avvenuto comunque.
E ancora.
Fu fatto il possibile per cercare di tenere il Po nel suo alveo? La costruzione del soprassoglio sull’argine avvenne nel modo dovuto e in tempo utile?
Non dimentichiamo che nel 1926 l’ondata di piena del Po, che arrivò nel Polesine, superò il livello dell’argine, ma fu completamente contenuta dal soprassoglio (rialzamento dell’argine con sacchetti di sabbia e terra).


Perché da Occhiobello a Guarda Veneta il reclutamento di volontari ebbe così scarsi risultati?
Questi ed altri angoscianti interrogativi assalirono l’animo e le coscienze di molti. Se tutti, o parte di questi interventi, fossero stati tempestivamente eseguiti, forse sarebbe stato scongiurato l’allagamento di metà del Polesine.
A distanza di anni, tuttavia molto è stato fatto o rifatto, ma purtroppo non tutto si può ricostruire. Vi sono cose che, una volta distrutte, non si ricostruiscono più.
E l’alluvione del 1951, con tutte le sue rovinose conseguenze, anche ad opera dell’uomo, ha cancellato per sempre l’immagine romantica e suggestiva di una Polesella che ormai possiamo far rivivere soltanto nella memoria.>>

EXTRATIME by SS/ La cover è per il Polesine sott’acqua, una specie di... sguardo dal ponte del cavalcavia della 'Spianata’ di Rovigo seguendo la sottostante linea ferroviaria.
Poi nella fotogallery tutta by Libro di Rubis Zemella c’è tutto il dramma dell’alluvione del 1951. Con la Fossa di Polesella e le golene invase dalle acque, coi primi soccorsi aerei a Occhiobello, quindi con i lavori Post Alluvione che hanno ridato funzionalità alla Fossa di Polesella fino all’ultima foto verso il Terzo Millennio, con il nuovo Ponte sul Po a Polesella che peraltro il sottoscritto ha visto ‘nascere e completarsi ogni giorno a partire dai primi anni ‘80 ’ al posto del sottostante vecchio ponte in barche.



Sergio Sottovia
www.polesinesport.it