Raisi Giovanni, esordio azzurro nel 1956 con l’Italia vs Germania Ovest. Ha giocato con ”Maci”, poi 3 scudetti col Rovigo. E da ds…


26/10/2010

Questa è una lunga storia sportiva, la storia di Giovanni Raisi un atleta e uno sportivo a tutto campo. Tanto più che col ‘Giovanni da Castelmassa’ ci siamo conosciuti partecipando assieme ad un corso FIGC per allenatori di calcio. Era Rovigo, ottobre 1971 e con noi c’era anche quel campionissimo di Saul Malatrasi da Calto e i fratelli Frazzetto da Cavarzere, e Minardi e Spolaore etc. etc. Poi …è sempre stato un piacere incontrarlo. Ma si può dire che per Giovanni il calcio sia stato più che altro una parentesi. Certo ricordo il ‘grande salto in Promozione‘ per quel Castelmassa 1971/72 del presidente Italo Mazzali che oltre all’allenatore Luciano Mazzali ( ndr, da gennaio Baruffi) poteva contare proprio sul ‘nostro Giovanni Raisi come preparatore atletico. Che bello vedere il ‘professor Raisi’ sorridente e soddisfatto a fine campionato, in foto tra i giocatori e i tanti palloncini, in una Castelmassa d’altri tanti, perché c’erano ben 1000 persone allo stadio per una giornata da apoteosi, con striscioni, bandiere e banda musicale. Ma questo appartiene al calcio, dove peraltro l’amico Giovanni non poteva starci più di tanto, perché …era troppo forte il richiamo della sirena-rugby, lo sport della sua vita. Perciò lasciamo la parola al nostro esperto Raffaello Franco, alla sua Raisi Story , dal cuore ‘ovale’ con relativi titoli e viaggio- storico.

GIOVANNI RAISI /  “GIOANON” RUGBISTA DI FERRO

<<Negli anni ’70 una mano anonima scrisse dietro ad una vecchia foto: “Rives, Bastiat, Skrela”. La fotografia in questione ritrae Vittorio Bordon, Giovanni Raisi ed Enzo Bellinazzo ed i tre nomi trascritti dall’anonimo appassionato tifoso, corrispondono a quelli di tre signori che possono vantare, complessivamente, la bellezza di 137 caps tra i “galletti” francesi. Rives, Basitat e Skrela, componevano una delle terze linee più forti mai esistite nel rugby francese e, fatte le debite proporzioni, anche la terza linea del Rovigo composta appunto da Bordon, Raisi e Bellinazzo, era una delle più devastanti dell’intero panorama rugbistico italiano nel periodo tra il 1962 ed il 1964. In quei primi anni ’60, che portarono al Rovigo ben tre scudetti firmati dall’allenatore Giordano Campice, il gioco dei “Bersaglieri” si basava principalmente sulla consistenza del pack composto da elementi di sicuro spessore tecnico, capaci di adattarsi alle esigenze della squadra grazie anche ad una favolosa versatilità.
Gente come Giancarlo Navarrini, un vero jolly della mischia, poteva giocare indifferentemente nei ruoli di tallonatore, terza linea o pilone, come il protagonista della nostra storia “Gioanon” Raisi il quale, oltre che ad essere un ottimo numero 8, sapeva adattarsi altrettanto bene nel ruolo di seconda linea trovando in quella posizione grande affiatamento con Enzo Vallini, tanto da andare a formare una coppia straordinaria, grazie anche alla loro altezza, nella storia delle seconde linee. La favolosa mischia rossoblu segnerà 64 delle 117 mete necessarie per conquistare tre scudetti! Oltre la metà delle realizzazioni arriveranno da questi atleti di ferro che non s’infortunavano mai. Faranno più danni le squalifiche degli incidenti di gioco.

Dietro la prima linea Raisi fa il suo debutto nel rugby. Viene dall’atletica, è un ragazzo alto e potente. Con lui, il ruolo prende dimensioni moderne; inizia l’epoca dei saltatori. Appena diciannovenne fa il suo esordio in serie A contro la Rugby Roma e disputa otto incontri nella sua prima stagione. Sarà stagione tricolore nel quarto scudetto della storia rossoblu vinto nello spareggio dell’Appiani per 6 a 3 contro il Treviso allenato quell’anno da “Maci” Battaglini  grazie al piazzato di un “glaciale” Milto Baratella, in una giornata “tropicale”. Era il 20 giugno 1954, una delle tante giornate epiche nella storia dei “Bersaglieri”.
Giovanni Raisi s’impone definitivamente all’attenzione della critica nella stagione 1955/56. Saranno 12 le presenze e 3 le mete segnate in un campionato non troppo esaltante per il Rovigo che si trova in una fase transitoria nel passaggio di consegne tra la vecchia guardia e le giovani leve.
Nel 1956 fa le sue prime apparizioni anche con la maglia azzurra giocando in seconda linea ad Heidelburg, contro l’allora Germania Ovest ed a Padova contro la Francia. 
Poi saranno ancora quindici stagioni di grande rugby coronate, come detto, dalla conquista di tre scudetti consecutivi tra il 1962 ed il 1964 vinti da protagonista.
A fine carriera, gli viene assegnata la panchina della squadra riserve dei “Bersaglieri”. Poi assumerà l’incarico di Direttore Sportivo fino al periodo dell’allenatore scozzese Nairin Mc Ewan e dello Springbok, oggi CT azzurro, Nick Mallet. Siamo nel 1984 ma per Giovanni Raisi, uomo con il rugby nel sangue, non è ancora il momento di passare il testimone ad altri. La sua esperienza è fondamentale e deve essere messa a disposizione della Società. Saranno quindi ancora anni da dirigente e quando l’indimenticato Carlo Bego diventerà presidente dei “Bersaglieri”, lo vorrà dirigente responsabile della prima squadra con il compito principale di trasmettere ai rossoblu quello che è lo spirito e la tradizione del rugby rodigino.

Un episodio segnò la fine della collaborazione di “Gioanon” Raisi con la Rugby Rovigo. Un giorno, parlando con un giocatore, gli chiese se la stagione successiva fosse stato disponibile per giocare ancora con il Rovigo. Senza tanti giri di parole, il ragazzo, gli rispose che per avere una risposta avrebbe dovuto parlare con il suo procuratore. Erano i primi segnali del cambiamento: l’avvento del professionismo. Al “vecchio” “Bersagliere” Giovanni caddero letteralmente le braccia. In quel preciso momento si rese conto che ormai quello non era più il “suo rugby”, il rugby basato solo sulla passione e la “voglia di giocare”. Era finita per sempre un’epoca, quella del rugby epico e, se vogliamo, pioneristico dei suoi tempi e di conseguenza lui in questa nuova dimensione proprio non si trovava più. Diverso lo spirito della sua epoca da quello che si respira ai giorni nostri. E non aveva poi tutti i torti il caro “Gioanon” Raisi.
Qualche anno fa ebbi l’occasione d’incontrarlo ed intervistarlo per il mensile Area Sport, la Celtic League non era ancora entrata nemmeno nei pensieri Federali eppure il mio interlocutore sui vantaggi portati dal sistema professionistico anche nel rugby italiano rispose: «A mio avviso, gli svantaggi sono molti di più dei vantaggi. Almeno nel rugby italiano, il professionismo ha sancito la “morte” del campionato, la fine dei piccoli centri, spostando il baricentro verso lidi più ricchi. Squadre come il Benetton Treviso, ad esempio, possono disporre di budget milionari, potendosi così permettere i migliori giocatori del panorama italiano. Questa situazione ha portato al crollo anche della Rugby Rovigo. Senza i soldi, non si va da nessuna parte! Un altro errore poi – proseguiva nella sua disamina - è stato quello di eliminare il campionato under 21. Crescere un giovane fino ai 21 anni costa sacrifici ma dà anche molte soddisfazioni. La prima squadra, un tempo, poteva pescare tra i giovani maturati nel vivaio. Adesso invece i grossi club possono prendersi i giovani ancora acerbi, a basso costo, approfittando delle debolezze delle piccole Società».

Addirittura, sempre in quell’occasione, stuzzicato sulla non certo brillante situazione del Rovigo lanciò una serie di indicazioni che si sono realizzate, seppur parzialmente, solo quest’anno:«Sinceramente vedo un po’ dura la situazione generale e della Rugby Rovigo in particolare. Da sempre Rovigo ha una mentalità chiusa. La nostra gente, ha affrontato tante avversità date da una terra da sempre povera. Il polesano ha sempre lottato contro la furia delle acque, così si è un po’ chiuso in se stesso. E’ un vero peccato che gli Enti Locali non abbiano mai investito nel rugby. Fin dalla notte dei tempi nessun rodigino ha investito concretamente su questo sport. Tosi, sponsor con la Tosi Mobili, era mantovano ed anche Teofilo Sanson non era certo un polesano». E poi proseguì con una profezia degna del miglior Nostradamus:«Secondo me comunque non è più il tempo di puntare sui singoli club. Se il rugby italiano vuole veramente crescere bisogna puntare sulle selezioni. Formiamo almeno sei squadre che giochino tra di loro e che disputino le coppe internazionali. Si dovrebbe ritornare a quelle selezioni di una volta, com’ erano i Dogi, magari divise in zone simili per tradizione rugbistica: il Veneto, l’asse Parma-Milano, selezioni del Centro, del Sud ed Isole. Diamo la gestione di questo nuovo campionato a dei” super tecnici federali”, che lavorino alla stessa maniera collaborando tra di loro, che valorizzino e puntino molto sulla crescita dei giovani. Le selezioni così organizzate permetterebbero di integrare al meglio giocatori provenienti da scuole diverse».
Non inventò nulla il nostro Raisi, si confermava solo un intelligente ed attento osservatore di tutto ciò che di rivoluzionario stava succedendo nel mondo del rugby. Gli irlandesi del Munster ad esempio, espressione di un’intera provincia irlandese, già da anni dominavano in Heineken Cup, predominio che li vede anche quest’anno guidare la Magners Celtic League. I piccoli centri invece iniziavano già a soffrire sparendo così dal giro che conta. Ricordava infatti l’ex seconda/terza linea rossoblu che nel 1956 incontrò la Francia con la nazionale, Francia che era formata in maggioranza da giocatori del Lourde. Oggi quella squadra è sparita dal Top 14 ormai da diverse stagioni, nobile decaduta perché relegata in un piccolo centro. Il cruccio di Raisi è che, prima o poi, se la Società non si attiverà massicciamente anche la Rugby Rovigo sarà destinata ad essere fagocitata dal cambiamento dei tempi e lo stiamo, purtroppo, già vedendo anche in questa prima stagione dell’era Celtic League. Chi l’avrebbe mai detto! Anche la città del rugby sconta la sua crisi di vocazioni! Dal rugby della sua epoca, passando per la generazione degli anni ’70 ed arrivando fino ai giorni nostri, il gioco della palla ovale è cambiato moltissimo. Il rugby di quegli anni era un gioco più istintivo ed essenziale. Si giocava con la voglia esclusiva di puntare alla meta. Era un gioco più spezzettato rispetto a quello che siamo abituati a vedere oggi, anche se comunque era un gioco molto duro. La generazione di “Bersaglieri” successiva a quella di Giovanni Raisi, quella dei vari Rossi, De Anna, Thomas, Salvan, Visentin e dei Zanella, era un’ottima generazione, formata da atleti di indubbio valore tecnico. Quella squadra, purtroppo, vinse molto meno di quello che avrebbe potuto. Il Raisi-pensiero dice che quei ragazzi gettarono al vento almeno tre campionati:«Forse -  afferma Raisi - noi mettevamo più grinta, avevamo lo spirito battagliero, spirito che anche Geremia, presidentissimo del Petrarca, ha sempre tentato di carpire. Da grande osservatore qual’era, ha sempre cercato di scoprire il segreto della “mentalità del Rovigo”. Molto bello è stato comunque anche il periodo degli ultimi scudetti, quello dei vari Baratella, Brunello, De Stefani e Prearo, tutti ragazzi provenienti dal Frassinelle, squadra che ha sempre dato tanti giocatori alla Rugby Rovigo cosa che, purtroppo, un’altra realtà come Badia non ha mai saputo fare».

E non poteva essere altrimenti. Lo spirito battagliero che caratterizzava Giovanni Raisi ed i suoi compagni di squadra derivava proprio dal fatto di aver avuto la fortuna di giocare ed essere allenati da “Maci” Battaglini, l’indimenticato campione che sapeva dare carica, volontà, impegno e anima. Questo in sintesi quello che “Maci” Battaglini trasmetteva ed applicava in prima persona. Egli fu un grandissimo allenatore finché giocava; una volta smessa la maglia di gioco non riuscì più a comunicare quello che aveva dentro altrettanto efficacemente. Il rugby l’aveva nel sangue, era un istintivo. Solo mostrandolo in campo riusciva a spiegare quello che bisognava fare. Dalla panchina, purtroppo, non aveva la stessa comunicativa. “Maci” fu un grande giocatore anche in Francia, nel suo gioco c’era una potenza sovrumana e non potevi fermarlo in nessuna maniera. Uno stile di gioco dirompente ed inarginabile. Mario Battaglini non fu l’unico grande maestro del giovane “Gioanon”.  Anche Giordano Campice ebbe un importante ruolo nella sua crescita sportiva anche se, a dire il vero, aveva più lo spirito del dirigente che dell’allenatore. Sapeva dare comunque la carica ai suoi giocatori e le nozioni tecniche che trasmetteva venivano egregiamente  tradotte e diffuse in campo da Romano Bettarello, un altro che scrisse pagine importanti nella gloriosa storia della Rugby Rovigo. Tutti personaggi importantissimi ma secondo lui, a Rovigo, il primo vero allenatore nel senso stretto del termine rimane Julien Saby. Con lui si iniziò a parlare davvero seriamente di rugby.
Comunque sia, il nostro “Gioanon” conquistò la bellezza di quattro scudetti in rossoblu, titoli che per quanto ovvio gli regalarono tantissime emozioni. Soprattutto il primo, vinto nel leggendario spareggio con il Treviso e deciso dal famoso calcio piazzato di Milto Baratella realizzato da quasi metà campo, quando non erano bastati i tempi regolamentari, i due supplementari ed altri 20 minuti di tempo ad oltranza per sbloccare il risultato. Fantastico ed indimenticabile! Una sensazione unica per il giovane Raisi. Anche perché quel titolo così sofferto arrivava alla conclusione della sua prima stagione in serie A. Gli altri tre sono stati diversi, molto belli anch’essi da vincere ma comunque diversi. Furono scudetti conquistati da tutto il complesso della squadra con un grosso contributo, come detto, venuto dalla forza della mischia rossoblu, mischia nella quale Giovanni Raisi era divenuto uno dei leader indiscussi.
Chiusa la carriera con il rugby giocato, sfruttando il diploma ISEF, ne aprì un’altra altrettanto brillante come insegnante all’Istituto Tecnico Commerciale “Edmondo De Amicis” di Rovigo. Nei tanti anni trascorsi nel mondo della scuola, avviò alla pratica del rugby tantissimi dei suoi alunni. Altrettanti ne avviò anche quand’era ancora studente. Allora si disputavano infatti i campionati studenteschi ed è ancora oggi fresco è il ricordo delle intense sfide tra la Ragioneria, frequentata da Giovanni Raisi, ed il Liceo Scientifico. Delle vere e proprie “guerre” rugbistiche di formidabile intensità agonistica. La sua efficace attività di proselitismo non si focalizzò però solo sugli studenti della Ragioneria, ma anche su quelli delle scuole medie, dove insegnò per un certo periodo. Poi, nel tempo libero, grazie all’interessamento del Preside Sanna, andò anche a Badia pronto a reclutare ragazzi desiderosi di conoscere il “suo” sport, contribuendo così a gettare i primi semi del verbo di William Webb Ellis anche nella cittadina altopolesana.
Un’intensissima attività di proselitismo figlia della passione e di una carriera da giocatore lunghissima, prolungatasi per ben diciannove stagioni. Un vero “uomo di ferro” che ai tempi della Ragioneria aveva avvicinato anche il sottoscritto alla pratica del rugby. A margine dell’ultimo incontro avuto con il professor Raisi che mi ha permesso di completare la stesura del profilo di questo grandissimo campione del passato rossoblu, ha voluto svelare il suo segreto, la pozione magica che gli permise di giocare nell’inferno della mischia per tutto quel tempo: «Prima di tutto l’intensa preparazione atletica. Prima di dedicarmi al rugby, praticai con buoni risultati l’atletica leggera. Ero un polivalente: scagliavo il peso a 14 metri, saltavo 6 metri in lungo e 1,65 metri in alto. Ricordo ancora con soddisfazione quella volta che in una gara di pentathlon, mi piazzai al secondo posto alle spalle di Paccagnella, il campione italiano della specialità. L’atletica, “regina” di tutti gli sport, mi diede le basi per proseguire al meglio tutta la mia carriera di rugbista. Per quanto ovvio, anche la fortuna ebbe il suo peso. In quasi vent’anni di rugby giocato, fortunatamente, non subii mai gravi infortuni, tranne che  nella stagione 1958/1959 quando a causa di un durissimo placcaggio ci rimisi tutti i legamenti di un ginocchio. La mia carriera sembrava finita. Tutti i medici consultati mi sconsigliarono di proseguire». Conoscendolo, caparbio com’è, non si arrese proseguendo come un carro armato per la sua strada e grazie anche a quello “spirito guerriero” che lo animava, riuscì a recuperare totalmente dall’infortunio giocando così per altre tredici stagioni!
Alla sua epoca la passione era prioritaria rispetto a tutto il resto e l’impegno che quei “Bersaglieri” mettevamo sul rettangolo di gioco era lo stesso che permetteva loro di poter superare ogni difficoltà, anche nella vita privata. Passione e impegno che, purtroppo, sembrano spesso latitare oggi nel “professionistico” sport del rugby.>>

EXTRATIME by SS/ La foto d’apertura mostra la grinta da ‘bersagliere’ del giovane Raisi, a braccia conserte tra due suoi compagni della Rugby Rovigo. Poi la fotogallery propone una perentoria touche di Giovanni ‘azzurro Italia’ nel famoso stadio inglese di Twickenham, quindi il ‘bersagliere’ Raisi nella Rugby Rovigo del presidente Lanzoni e poi nella Rugby Rovigo 65/66 di Maci Battaglini allenatore (a sx)  e del presidente Rizzieri ( a dx, con cappello e occhiali). Storie indimenticabili anche nei tempi moderni. E perciò la fotogallery del Terzo Millennio, nelle serate  pro Polesine in Mischia per L’Aquila, mostra in sequenza Raisi, al fianco del notaio Sergio Viscardini, Saverio Girotto e Roberto Aggio. Quindi Raisi al fianco di Colanchini, Susanna Vecchi e Paolo Brizzante. Ed infine, nella serata sul rugby promossa dal Panathon Adria nella location Borgo la Romanina, nella foto ‘grande rugby’ che mostra da sx, Sigolo, Giancarlo Checchinato, Ravagnani, Raisi, Toniolo, Malfatto, Zanato e Carlo Checchinato. Per la serie ‘protagonisti di ieri e di oggi’.




Raffaello Franco
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