Alluvione Polesine 1951 ‘vissuta’ da Mario Pavanello, dall’Isola di Ariano tra Po di Venezia e PO di Goro/ Tra paura sugli argini e amarcord Sabbioni & Alluvione del 1140 (cancellò Corbola Veneziana), poi in anfibio coi Vigili Fuoco ad Adria…


Là dove il fiume Po diventa Delta… c’è Corbola, un paese once upon a time…’uno e trino’ visto che nello stemma ha tre sue ‘identità’ storiche: Corbola appunto, Bottrighe, Bellombra, di cui peraltro vi abbiamo già spiegato il perché. Come abbiamo già raccontato ai nostri lettori le storie di suoi tre Personaggi speciali, partendo da lontano, cioè da Pico della Mirandola ( era di casa…di campagna  a Corbola) a Rosetta Pampanini fino a Rik Battaglia, che guarda caso faceva il traghettatore proprio sul PO, tra Corbola e Bottrighe , prima di andare a cercare lavoro a Milano e diventare ‘grande attore’ nel Cinema con oltre 110 film.
Insomma, dopo la Guerra e il bombardamento del ponte in chiatte sul PO , adesso ci affidiamo anche al racconto dello studente evergreen Mario Pavanello di Corbola, in questo suo reportage sulla Alluvione del 1951 passato con tanta paura sull’argine del Po nell’Isola di Ariano , un bacino che comprende anche Taglio di PO , oltre che Corbola e Ariano).
Peraltro già pubblicato nel 1989, un testo raccolto da Irene Borletti e poi pubblicato nel 2002 anche su “Polesine 1951” , il meritorio libretto by Università Popolare Polesane, da cui abbiamo estrapolato anche le precedenti Storie della Alluvione già raccontate, partendo dalla “Rotta di Occhiobello" e poi step by step in alcuni altri paesi fino ad Adria arrivando appunto adesso al reportage by Pavanello dall’Isola di Ariano,
Per un racconto di tanta paura , giustificata anche dall’amarcord Sabbioni e Alluvione del 1140 (quando cancellò Corbola Veneziana) , ma che ha visto la gente di Corbola, come Taglio di PO e Ariano nel Polesine , protagonisti nella solidarietà nel ricordo anche della miseria causati dai bombardamenti della Guerra , quando fu distrutto tra l’altro il ponte in chiatte da Corbola a Bottrighe-Adria.
Anche per questo il seguente racconto di Pavanello, che vi proponiamo anche con riferimento alla paura per l’Alluvione e quella sera del 13 novembre 1951 ‘vissuta’ in processione verso gli argini del PO con la reliquia di S. Teresa per implorare l’aiuto di Dio, si abbina al senso di solidarietà della Gente del PO di cui è prototipo il viaggiare dello stesso Pavanello sull’anfibio dei Vigili del PO per portare aiuto in un Asilo di Adria, dove l’Alluvione invece era arrivata come in tanti paesi tra Adige e PO.

 

 


UNA STORIA DELL’ALLUVIONE DEL ’51 (di Mario Pavanello, da Corbola, testimonianza raccolta nel 1989 da Irene Borletti e pubblicata su “Polesine 1951” by Università Popolare Polesane nel 2002) /
CRONACA “VISSUTA” A CORBOLA NELL’ ISOLA DI ARIANO… TRA IL PO DI VENEZIA E IL PO DI GORO , TRA PAURA DELL’ALLUVIONE E GLI AIUTI AGLI ALTRI POLESANI DELLA SINISTRA PO

Per poter capire lo stato d’animo con il quale i miei compaesani hanno affrontato l’alluvione del novembre 1951, è necessario ricondurci a quei tempi e conoscere la situazione socio-economica in cui erano costretti a vivere.
La maggior parte della popolazione, nel dopo-guerra, tirava avanti a stento in una desolante miseria. Era venuta a mancare una risorsa che prima del conflitto aveva reso Corbola uno dei paesi relativamente più benestanti della zona.
I barcaroli, trasportatori con grosse barche, che percorrevano il Po da Venezia a Mantova, dopo giorni e giorni di navigazione fluviale, tornavano al paese, soddisfatti dell’incasso del nolo, con la voglia di spendere e divertirsi in allegra compagnia.
Con la guerra, tutti quei natanti andarono distrutti, per cui, in mancanza di lavoro alternativo, crebbe il problema della disoccupazione. In seguito, la costituzione di una cooperativa per il traghetto sul PO ovviò in parte il disagio.
Ma i soci erano troppi e la fetta della torta da spartire non bastava a mantenere la famiglia.
Alla costruzione del ponte sul Po, venne poi a mancare anche quell’esiguo introito e ne seguì l’esodo verso le grandi città che si stavano allora industrializzando: Milano, Torino, Bolzano, ecc…

 

La situazione però non accennava a migliorare: per tirare avanti si sfruttava quel po' di “compartecipazione” agricola; si trattava di zappare il terreno, mietere, diradare e raccogliere le barbabietole. Il tutto, eseguito da gente che non sapeva da che parte tenere l’attrezzo, in cambio di qualche manciata di grano.
“Pagherò! “, si diceva, e i negozianti continuavano ad aggiungere sul libretto le cifre che di giorno in giorno si accomunavano con ben poca speranza di essere estinte.
Quella era la situazione!
I “garzaranti” si consolavano venendo al cinema in centro per un “bel dramon d’amore” e rincasavano a piedi cantando “Bandiera rossa”.
Ognuno di noi era temprato dalle sofferenze della guerra (i familiari lontani in combattimento o in campi di concentramento, gli imboscati, i dispersi, i frequenti rastrellamenti, le guerre tra fascisti e partigiani, le uccisioni, i coprifuoco, i tedeschi per le case, gli sfollamenti, la mancanza di alimentazione, l’immancabile saluto di “Pippo e la sua mitragliata o bomba notturna, le devastazioni della ritirata, ecc. ecc. ecc. ) e infine dalla miseria del dopo-conflitto.
Date le tristi premesse, l’alluvione era quindi un ulteriore e naturale disagio, non ci faceva paura. L’acqua, inoltre, non invadeva più da molti anni, neppure le golene. Del bradisismo, causato dall’estrazione del metano, delle sue gravi conseguenze, non eravamo a conoscenza…
… Durante la notte finalmente circolava voce che il PO decresceva; vuol dire che il mare riceve… è il momento della bassa marea…” si diceva.
Ma più tardi sapemmo la verità: il PO aveva rotto gli argini a monte. La grande massa d’acqua si stava riversando inesorabilmente sul nostro Polesine, spazzando via tutto, depredando in maniera violenta quel poco che la nostra gente era riuscita con tanti sudori a costruire e conservare.
Angosciati dell’accaduto, ma sollevati per essere stati risparmiati a tanto, andammo a riposare.

 

Il giorno successivo: la calma dello Spossamento.
L’acqua cominciava ad espandersi in modo meno violento, riempiva i canali, i fossi, le zone più basse per cui, più si allontanava dalla Rotta, minore era l’impeto.
I colpiti speravano in un breve passaggio delle acque verso il mare e per questo molti si erano sistemati nei piani superiori delle case, tanto che in certi punti di maggior depressione del terreno, furono costretti a portarsi sul tetro.
I rimedi si resero insufficienti e pertanto era inevitabile l’evacuazione di tutta la zona invasa.
L’esodo si convogliava verso i pochi punti di uscita: a nord-est per i punti sull’Adige a Badia, a Lusia, a Boara, a Cavarzere, a sud-est solo per il ponte sul PO a Corbola e a Taglio di Po per il “basso”.
Il 15 novembre successivo, cominciammo ad accogliere la grande folla straziata ed angosciata.
Noi fortunati eravamo impegnati in una gara di solidarietà; le nostre case erano aperte a chiunque ( i nostri scolari, i ragazzi e studenti furono trasferiti in una colonia a Loano per cui rimaneva qualche posto in più a disposizione).
Lo stato di emergenza aveva sensibilizzato e mobilitato tutti: chi liberava dalle cose le scuole elementari e vi sistemava le persone, altri organizzavano l’assistenza, i parcheggi, il municipio, per il ferrarese.
Con il passare dei giorni l’organizzazione diventava sempre più efficiente. Il Comune aveva realizzato in una palestra una grande mensa. La “Protezione Civile” di allora era un esercito di volontari che si mettevano a disposizione dei loro fratelli più fortunati.
Affluivano intanto assieme ai mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco, automezzi militari, vestiti, vettovagliamento. Un bel gruppo di giovani fiorentini si era affiancato a noi per dare il proprio contributo di solidarietà…
La realtà si manifestò tra il 10 e il 12 novembre del1951, quando ci accorgemmo che il livello del Po saliva vertiginosamente fino alla sera del 13, e l’acqua lambiva la strada dell’argine.

 

L’isola di Ariano, comprendente i comuni di Corbola, Taglio di Po e Ariano nel Polesine, per conformazione geografica, ha la caratteristica di un contenitore. Essa è circondata dai grossi argini del Po di Venezia e da quello di Goro, la cui unica valvola d sfogo (di qualche centinaio di metri di larghezza fra i due rami a Cà Vendramin) non sarebbe bastata a scaricare velocemente una grande massa d’acqua quale quella che avrebbe invaso l’isola, se gli argini non avessero tenuto; l’impetuosità delle acque avrebbe spazzato via tutto, l’isola si sarebbe riempita, sommersa, formando così un grande lago profondo.
Il maggior pericolo poteva verificarsi nella prima ansa, quella di maggior spinta, a Sabbioni (1), dove nel 1140 l’acqua cancellò Corbola Veneziana e dove ancora oggi è ben visibile la “bassa d’don Santo”, cioè un avvallamento provocato da detta rotta (2).
Consci quindi di questa emergenza, ricordo che ci trovammo la sera del 13 novembre 1951 in processione con la reliquia di S. Teresa per implorare l’aiuto di Dio, diretti verso gli argini (3).
 La probabilità di salvezza erano pochissime in quanto gli argini erano pregni d’acqua, i fontanazzi aumentavano, i “guardiani” ormai inutili si rifiutavano di prestare servizio e l’acqua ormai stava per tracimare.
Il maestro William Cantelli, con l’aratro coraggiosamente fece un solco sull’argine per cercare di rialzarlo di qualche decina di centimetri, mentre la popolazione dalle campagne con animali, pochi foraggi e alcuni attrezzi, raggiungeva Piazza Roma, la parte più alta del paese.
Ormai la chiesetta di S. Agostino e le scuole erano già affollate di vecchi bambini.
Si portava in salvo quanto più possibile ai piani superiori delle case; ciascuno preparava per sé una sporta col “cambio” e le cose più care e di maggior valore.

 

Non andammo a letto quella notte!
Dove si poteva eventualmente scappare? Quale poteva essere il posto più sicuro? Il ferrarese? Certamente no: il PO poteva rompere anche da quella parte. Verso Adria? Nemmeno: il pericolo era analogo. Oltre l’Adige quindi oltre Cavarzere: ma non c’erano né possibilità nostre, né mezzi.
Ci rassegnammo e nell’attesa eravamo sostenuti da una grande speranza che l’acqua fosse defluita in mare senza far drammi.
Ai nostri ospiti abbiamo cercato di offrire anche svago e serenità.
Con il gruppo giovani di azione cattolica e la corale parrocchiale era in preparazione uno spettacolo di rivista popolare-paesana che a causa dell’evento avevamo per forza di cose dovuto sospendere.
Approfittando dell’infelice situazione, lavorammo alacremente e nel giro di poco tempo la portammo sulla scena con notevole successo, tanto da doverla replicare per accontentare i nostri numerosi ospiti.
Era però difficile far cambiare su quei volti sconvolti l’espressione della tristezza; povera gente che come noi era attaccata alle proprie cose, costruite e difese con sudore, fatica e sacrifici di ogni genere.
Ecco perché molti di loro, nonostante i pericoli e l’abbandono nell’isolamento sono rimasti nel luogo del disastro. Per questo furono creati dei centri di assistenza in zona alluvionata, i quali provvedevano a distribuire generi di prima necessità a chi ne faceva richiesta a chi per caso veniva raggiunto nello stato di abbandono, isolato nelle campagne.

 

Queste persone vigilavano allo sciacallaggio purtroppo presente anche se in minima parte. Più volte mi recai con un anfibio dei Vigili del Fuoco a portare pane ed altri generi, raggiungendo un asilo di Adria dove appunto c’era uno dei detti centri.
Ricordo che durante il percorso potevamo trovare acque relativamente calme, dove il fondale non era basso, ma in alte zone, dove l’impeto delle correnti si faceva forte, l’anfibio stentava a tenere la rotta. Mi rendevo conto allora di quello che potevano aver subito coloro che ne erano stati colpiti.
Col tempo la maniera di vivere si stabilizzavano.
 In conformità al nuovo stato, nell’attesa sospirata di tornare ai propri paesi, alle proprie case. Le acque ormai defluivano in mare, la vita, a stento, riprendeva con le gravi conseguenze immaginabili ed inimmaginabili da superare. Le grandi città, che andavano sempre più industrializzandosi, accoglievano i nostri polesani, riconosciuti soprattutto come buona gente e bravi lavoratori.
 NOTE ESPLICATIVE RISPETTO AI “ TRE PUNTI” INDICATI NEL TESTO/
1)_ Si ricorda che in quel punto la spinta delle acque provocava profonde corrosioni che costituivano un grave pericolo a cui si doveva ovviare con l’immersione di grandi quantità di massi. Recenti lavori, eliminando la golena di Panarella ( il “Balutini”) hanno fatto deviare leggermente il corso del PO, diminuendone la spinta, convogliandola ad un isolotto creato al centro del fiume.
2)_ Tale avvallamento ha cancellato il tratto dell’antica Via Popilia che congiungeva San Basilio ad Adria, tratto ora non più rilevabile ai raggi infrarossi.
3)_ Si ripeteva così il rito secolare rogazionista.

 

EXTRATIME by SS/ In cover il significativo ‘monumento’ nell’Isola di Ariano a Santa Maria in Punta.
Quindi in apertura di fotogallery i Dati Demografici del Comune di Corbola con significativa immagine della sua gente rifugiatasi con le masserizie sull’argine del PO di Venezia ; gente poi salvata dai militari accorsi in aiuto ( vedi immagine successiva ) .
A seguire, sempre con riferimento all’Isola di Ariano, ecco un'altra salvataggio sull’argine del PO stavolta proprio ad Ariano nel Polesine , con le barche nel Po di Goro.
Tutto questo per un’Alluvione del Polesine che ha invaso i territori tra Po e Adige, come anche a Pettorazza Grimani di cui proponiamo una immagine della campagna allagata.

In prologo a due immagini della città di Adria allagata, sia in centro che nelle campagne dintorni, dove è andato anche Mario Pavanello da Corbola a portare aiuti su un anfibio dei Vigili del Fuoco, ai bambini di un Asilo.
Infine, a conferma delle problematiche che l’Alluvione ha comunque prodotto anche alla gente dell’Isola di Ariano, vi proponiamo in last flash e in kit le schede anagrafiche sia del Comune di Taglio di Po che del Comune di Ariano nel Polesine, a dimostrazione del calo demografico causati fino al Terzo Millennio.

 

Sergio Sottovia
www.polesinesport.it